L’Esercito di Kiev spara è uccide il reporter italiano Andrea
Rocchelli, il suo interprete russo e ferisce un francese. Da Popoff la
cronaca di Franco Fracassi e una biografia di chi ha conosciuto il
fotoreporter FreeLance. Senza fronzoli su eroismo del giorno dopo e
senza ipocrisie sui colpevoli
«Anche se gli scontri di piazza sono finiti l’Ucraina
non è uscita dalla crisi, anzi la tensione internazionale e le
difficoltà economiche mostrano un Paese molto fragile. In questo
contesto a rischiare di più sono i soggetti più deboli tra cui i bambini
malati di cancro. Video e foto di Andy Rocchelli, CesuraLab», video su YouTube del 22 aprile scorso.
di Franco Fracassi
«Nel villaggio di Andreyevka, non lontano da Slavyansk, un giornalista italiano e il suo interprete sono stati uccisi da proiettili sparati contro la loro auto e un inviato francese è stato ferito. Si sono trovati sulla linea di fuoco, ha dichiarato una fonte delle forze di autodifesa a Ria Novosti». Un comunicato scarno. Non vengono fatti nomi. Non vengono forniti particolari. Un reporter italiano è morto sul fronte ucraino. Si chiamava Andrea Rocchelli, Andy per gli amici. Lavorava per l’agenzia Cesura.it. E da mesi informava dal campo su quanto stava accadendo in Ucraina.
Rocchelli si trovava nella regione del sud-est del Paese da giorni con il suo traduttore russo Andrei Mironov. E da ventiquattro ore la sua agenzia non aveva più sue notizie. Informazioni successive spiegano come a sparare siano stati gli assedianti di Andreyevka, ovvero le truppe inviate da Kiev. Altre raccontano di come, improvvisamente, i due reporter (il piacentino e il francese) si siano trovati in mezzo a un’offensiva. «Sono caduti intorno a noi almeno sessanta colpi di mortaio», ha dichiarato William Roguelon dall’ospedale. «Si è trattato di un vero e proprio agguato».
Lucia Sgueglia,
su La Stampa, da Donetsk.
«Lo avevo incontrato a Mosca, quando era un fotografo giovane ma promettente, Andy, tre o quattro anni fa in un caffè alternativo del centro, amato dai giovani bohèmien della capitale russa. Voleva andare in Cecenia, era affascinato dalla Russia e in particolare dal Caucaso del Nord, la zona più calda del paese di Putin. Un paese che all’epoca ancora conosceva poco ma che aveva una gran voglia di esplorare.
Mi aveva chiesto di accompagnarlo, ci eravamo visti e sentiti altre volte al telefono. Poi ci è andato da solo Andy, tra Grozny e Makhachkala e ha cominciato a entrare nel ventre profondo della Russia.
Nel frattempo si era fatto le ossa: Libia, Afghanistan, Algeria, scenari di guerre e non, anche in Italia, usando colore e bianco e nero. Magro, alto e curioso, sembrava un reporter umile, la razza migliore, non di quelli che cercano adrenalina, ma che sanno riconoscere il valore dell’esperienza dei senior.
Poi era a finito a Maidan, come tantissimi suoi colleghi di tutto il mondo, intrappolato in quella che nata come una pacifica rivolta civile contro oligarchi, corruzione e vecchio regime, era diventato un funerale collettivo nel cuore di Kiev. Solo l’inizio della tragedia Ucraina: “Tre mesi di proteste sfociati – nelle parole da lui stesso scelte per presentare le foto – in un epilogo sanguinoso”.
Sulla home page del sito di Cesura-Lab, il suo collettivo militante di fotografi fondato nel 2008 da Alex Majoli, giusto al centro c’è un link al suo lavoro recente nell’Est Ucraina, dal titolo “Sloviansk ongoing”.
Didascalia: “Rocchelli è basato nell’assedio di Sloviansk, nella regione del Donbass orientale. Sta producendo storie diverse e mantenendo tracce dei suoi movimenti con aggiornamenti quotidiani”, si legge. Quell’assedio che era già diventato quasi un memo per il mondo, un simbolo della lotta senza quartiere tra l’ala più dura, e più armata, dei separatisti, e le forze militari di Kiev. Il cuore della ribellione da spezzare, o glorificare.
Meta di moltissimi giornalisti e fotografi, alcuni in cerca di avventura, altri molto esperti; con giubbotto antiproiettili o senza, alcuni scortati dalla security privata delle proprie (grosse) testate occidentali. Nell’ultimo link di Andy da Slaviansk si vedono foto di uomini in maschera e kalashnikov, mentre sparano o a riposo, contadini che piangono e case distrutte, bambini nascosti in una cantina buia, tremanti, stipati in mezzo a barattoli di conserve di frutta, civili feriti, trincee.
Ad accompagnarlo c’era Andrey Mironov, per me un amico carissimo di vecchia data: non era solo un interprete, ma uno che in guerra c’è stato abbastanza, troppo: Cecenia dagli anni 90 a oggi, ad aiutare nel lavoro decine e decine di giornalisti occidentali, parlava benissimo italiano e più volte era stato ospite del nostro paese. Ex prigioniero del GuLag e dissidente storico, vicino alla celebre ong Memorial, Andrey in guerra non sarebbe più dovuto tornare».
di Franco Fracassi
«Nel villaggio di Andreyevka, non lontano da Slavyansk, un giornalista italiano e il suo interprete sono stati uccisi da proiettili sparati contro la loro auto e un inviato francese è stato ferito. Si sono trovati sulla linea di fuoco, ha dichiarato una fonte delle forze di autodifesa a Ria Novosti». Un comunicato scarno. Non vengono fatti nomi. Non vengono forniti particolari. Un reporter italiano è morto sul fronte ucraino. Si chiamava Andrea Rocchelli, Andy per gli amici. Lavorava per l’agenzia Cesura.it. E da mesi informava dal campo su quanto stava accadendo in Ucraina.
Rocchelli si trovava nella regione del sud-est del Paese da giorni con il suo traduttore russo Andrei Mironov. E da ventiquattro ore la sua agenzia non aveva più sue notizie. Informazioni successive spiegano come a sparare siano stati gli assedianti di Andreyevka, ovvero le truppe inviate da Kiev. Altre raccontano di come, improvvisamente, i due reporter (il piacentino e il francese) si siano trovati in mezzo a un’offensiva. «Sono caduti intorno a noi almeno sessanta colpi di mortaio», ha dichiarato William Roguelon dall’ospedale. «Si è trattato di un vero e proprio agguato».
Lucia Sgueglia,
su La Stampa, da Donetsk.
«Lo avevo incontrato a Mosca, quando era un fotografo giovane ma promettente, Andy, tre o quattro anni fa in un caffè alternativo del centro, amato dai giovani bohèmien della capitale russa. Voleva andare in Cecenia, era affascinato dalla Russia e in particolare dal Caucaso del Nord, la zona più calda del paese di Putin. Un paese che all’epoca ancora conosceva poco ma che aveva una gran voglia di esplorare.
Mi aveva chiesto di accompagnarlo, ci eravamo visti e sentiti altre volte al telefono. Poi ci è andato da solo Andy, tra Grozny e Makhachkala e ha cominciato a entrare nel ventre profondo della Russia.
Nel frattempo si era fatto le ossa: Libia, Afghanistan, Algeria, scenari di guerre e non, anche in Italia, usando colore e bianco e nero. Magro, alto e curioso, sembrava un reporter umile, la razza migliore, non di quelli che cercano adrenalina, ma che sanno riconoscere il valore dell’esperienza dei senior.
Poi era a finito a Maidan, come tantissimi suoi colleghi di tutto il mondo, intrappolato in quella che nata come una pacifica rivolta civile contro oligarchi, corruzione e vecchio regime, era diventato un funerale collettivo nel cuore di Kiev. Solo l’inizio della tragedia Ucraina: “Tre mesi di proteste sfociati – nelle parole da lui stesso scelte per presentare le foto – in un epilogo sanguinoso”.
Sulla home page del sito di Cesura-Lab, il suo collettivo militante di fotografi fondato nel 2008 da Alex Majoli, giusto al centro c’è un link al suo lavoro recente nell’Est Ucraina, dal titolo “Sloviansk ongoing”.
Didascalia: “Rocchelli è basato nell’assedio di Sloviansk, nella regione del Donbass orientale. Sta producendo storie diverse e mantenendo tracce dei suoi movimenti con aggiornamenti quotidiani”, si legge. Quell’assedio che era già diventato quasi un memo per il mondo, un simbolo della lotta senza quartiere tra l’ala più dura, e più armata, dei separatisti, e le forze militari di Kiev. Il cuore della ribellione da spezzare, o glorificare.
Meta di moltissimi giornalisti e fotografi, alcuni in cerca di avventura, altri molto esperti; con giubbotto antiproiettili o senza, alcuni scortati dalla security privata delle proprie (grosse) testate occidentali. Nell’ultimo link di Andy da Slaviansk si vedono foto di uomini in maschera e kalashnikov, mentre sparano o a riposo, contadini che piangono e case distrutte, bambini nascosti in una cantina buia, tremanti, stipati in mezzo a barattoli di conserve di frutta, civili feriti, trincee.
Ad accompagnarlo c’era Andrey Mironov, per me un amico carissimo di vecchia data: non era solo un interprete, ma uno che in guerra c’è stato abbastanza, troppo: Cecenia dagli anni 90 a oggi, ad aiutare nel lavoro decine e decine di giornalisti occidentali, parlava benissimo italiano e più volte era stato ospite del nostro paese. Ex prigioniero del GuLag e dissidente storico, vicino alla celebre ong Memorial, Andrey in guerra non sarebbe più dovuto tornare».
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