Forse non usavano i barconi della speranza per far entrare i jihadisti votati alla morte,
ma certo lucravano sull’immigrazione clandestina per foraggiare i
militanti di Al-Qaeda e fornire soldi all’organizzazione. Approfittando
dell’isolamento dell’Italia nel gestire il massiccio arrivo di migranti,
si insinuavano nelle crepe del sistema di accoglienza e progettavano
l’attacco al cuore della cristianità: Roma.
Lo facevano consci della sostanziale impunità che l’ordinamento italiano offre ai criminali.
Una parte dell’ordinanza con cui sono state arrestate 20 persone
(l’organizzazione con base in Sardegna predicava la lotta armata contro
l’Occidente e attentati contro il governo del Pakistan) riguarda infatti
l’attentato esplosivo nel mercato di Peshawar del 28 ottobre 2009 che
causò la morte di oltre cento persone e che gli inquirenti ritengono
essere stato preparato e finanziato in Sardegna, in particolare a Olbia.
“Qui la legge è diversa da quella del Pakistan!… – emerge da una
conversazione tra gli indagati – Qui non c’è l’impiccagione! Soltanto
tre anni di carcere e basta! E poi se uccidi qualcuno fai soltanto tre
anni di carcere”.
A 48 ore dall’operazione della procura di Cagliari, dunque, emergono nuovi particolari.
Soprattutto si chiariscono meglio – grazie proprio alle intercettazioni
– i contorni dell’organizzazione criminale che da anni si stava
muovendo in Italia pronta a colpire, e quanto la scelta del suolo
italiano fosse funzionale ad agire con il minor rischio possibile,
complici un sistema legislativo e un ordinamento giudiziario
particolarmente garantisti.
Il fatto che si parli di episodi risalenti al 2010 è del tutto marginale,
visto che i protagonisti sono ancora tutti nel Belpaese, alcuni
addirittura residenti e inseriti a pieno titolo nel tessuto sociale.
L’attentato ipotizzato al Vaticano era di quelli “classici”: far esplodere un kamikaze in un posto molto affollato.
Dalle parole registrate dagli inquirenti appare chiara la dinamica e
presumibile l’obiettivo: piazza San Pietro, in un giorno in cui la folla
di fedeli fosse al suo limite massimo.
“Roma era piena, quando arriverà a quattro milioni di persone,
se lui entrerà dentro, in mezzo alle persone… No, lui, in quell’aria
delimitata, però qui”. Quando lo intercettano, al di là delle frasi poco
comprensibili e di una traduzione approssimativa, Nazi Mir si trova al
telefono, a breve distanza da piazza San Pietro. È il 24 settembre del
2010 e già da tempo la Digos indaga su quel pakistano dalle amicizie
pericolose.
Sempre secondo la procura di Cagliari, per realizzare l’attentato era arrivato un uomo chiamato Tanveer.
Lui “non è un kamikaze qualunque”, si dice in un’altra delle
intercettazioni contenute nell’ordinanza del gip del capoluogo sardo, “È
un fidai dai piedi al collo”, riferendosi a “un combattente votato al
martirio”.
A settembre 2010, però, quando Mir viene intercettato,
Tanveer non è più nella capitale, fatto sparire qualche mese prima dopo
una serie di perquisizioni della Digos che aveva deciso di accelerare i
tempi per anticipare le mosse dei terroristi. L’allarme, però, non
impedisce ai presunti estremisti di continuare a progettare un
attentato. Scrive il gip di Cagliari: “L’allontanamento forzato
dell’attentatore designato non fece comunque cadere i progetti
delittuosi”.
In un’ennesima intercettazione datata 19 settembre 2010 si dice:
“Quella missione che noi ti abbiamo affidato, è importante eliminare il
loro plar (capo, ndr)… Cosa hai fatto? Ci sono tanti soldi sul loro
papa (o baba, ndr), noi stiamo facendo una grande jihad contro di lui”.
Aggiunge in nota il gip: “I riferimenti al “capo”, secondo la Digos,
potrebbero essere correlati al Pontefice (all’epoca Benedetto XVI, ndr),
ma, come si è detto, non vi sono elementi sufficientemente univoci per
trarre questa conclusione”.
Se non c’è matematica certezza su tempi ed obiettivi,
c’è però sul fatto che un’organizzazione jihadista abbia attecchito in
Italia. E c’è altresì sul perché sia stata scelta la nostra nazione: non
per una motivazione strategica dovuta alla sua posizione geografica, ma
alla debolezza del suo sistema giuridico-legislativo. Ed è questo
l’aspetto più inquietante.
Angelo Perfetti - 26 aprile 2015
fonte: http://www.interris.it
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