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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

02/12/15

L'AMBASCIATORE DANIELE BOSIO, UNA PERSONA PERBENE "Bosio e un Paese affetto da codardia di Stato"







Bosio e un Paese affetto da codardia di Stato

Qualcuno ci spieghi se può avere dignità un Paese come il nostro, affetto da codardia di Stato, un Paese che non tende la mano ai suoi figli detenuti all’estero ingiustamente, e che non si preoccupa di strapparli via da certi inferni di corpi e anime straziati e compressi dentro la cella di un carcere sovraffollato dal peggio del peggio, che non si preoccupa di abbracciarli in processi-farsa, a spregio di quei valori in cui diciamo tanto di credere. Il caso dei Marò è forse il più noto, ma non l’unico. Oggi Daniele Bosio, ambasciatore blasonato, racconta al nostro Andrea Ossino una storia che trasuda orrore da ogni parola, la sua storia. Già ambasciatore in Turkmenistan, da sempre dedito al volontariato, Bosio mentre era in vacanza nelle Filippine finì risucchiato in uno di quei frullati montati con ingredienti ben combinati a creare tutti i sapori mediaticamente appetitosi: il mostro, la depravazione, il pruriginoso. Bosio, infatti, fu accusato di un abominio, abusi su minori, mentre cercava di fare ciò che è sua vocazione: aiutare gli altri, e nello specifico alcuni bambini che rivendicavano il diritto di un bagno in piscina e di vivere qualche ora nel sollievo da una povera esistenza di fame, droghe precoci e sporcizia.

La cruda nemesi del bene, però, l’ha cacciato in venti mesi da incubo, tra l’ignominia di un processo con un’accusa gravissima e l’orrore di cinquantacinque giorni in una galera da girone dantesco, tra l’inerzia del nostro governo e l’indifferenza del suo mondo, quello diplomatico, che si è rifiutato di tutelarlo e assisterlo. Bosio ha dovuto attendere che la giustizia delle Filippine facesse il suo corso, e lo scagionasse con pieno riconoscimento della correttezza dell’operato. Ora che è tornato in Italia dovrà ricostruire la sua vita. Ci riuscirà. Molto più difficile riesca a farlo, con la propria anima, questa Italia, malata com’è di ipocrisia allo stato terminale. Tanto da credere che le libertà degne di protezione oramai siano solo quelle degli altri.

Di Gian Marco Chiocci Pubblicato il: 02/12/2015 11:17
fonte: http://www.iltempo.it

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