Unione europea e Turchia siglano un accordo per fermare il flusso di migranti che, partendo dall’Anatolia, sta sommergendo il Vecchio Continente. A questo scopo ad Ankara saranno versati 3 miliardi di euro l’anno. Non solo: la Ue apre ulteriormente le porte sul futuro ingresso della Turchia nell’Unione.
In questo modo Angela Merkel porta a compimento la promessa fatta a Erdogan alla vigilia delle recenti elezioni politiche turche,
quando, con il risultato ancora formalmente in bilico (anche
se la stretta sulle opposizioni non lasciava molto spazio a
possibili alternative), si recò in Anatolia ad offrire il suo
sostegno, e quello dell’Europa tutta, al presidente
turco, favorendo così il successo elettorale del suo partito.
Ciò avviene mentre la Turchia di Erdogan è preda di una
deriva autoritaria senza precedenti. In un’intervista
rilasciata alla Repubblica del 29 novembre, Yavuz Baydar,
giornalista turco che vive a New York, ha ricordato i
23 cronisti rinchiusi nelle segrete di Ankara per «lesa
maestà». A questi si aggiungono Can Dundar e Erdem Gul, rispettivamente direttore e giornalista di Cumhuriyet,
imprigionati con l’accusa di spionaggio per aver
documentato i rifornimenti di armi ai miliziani jihadisti
siriani.
Proprio questi ultimi hanno scritto una lettera indirizzata
ai vertici della Ue nella quale si legge: «Vorremmo anche sperare
che il vostro desiderio di porre fine alla crisi [dei migranti
ndr.] non ostacolerà la vostra sensibilità verso i diritti
umani, la libertà di stampa e di espressione come valori
fondamentali del mondo occidentale».
Missiva che è stata di fatto obliata, in contrasto con quei
valori ai quali i due cronisti si erano appellati: a quanto pare
l’onda lunga della retorica sulla libertà di informazione che
seguì alla strage di Charlie Hebdo è già in piena risacca…
Non è solo la libertà di informazione a rischio nella Turchia
di Erdogan: mentre Ue e Turchia firmavano l’intesa, veniva
ucciso Tahir Elci, avvocato che difendeva i
diritti della minoranza curda. Non un avvocato qualsiasi, ma
una figura carismatica nell’ambito del variegato
movimento politico curdo.
L’opposizione ha parlato di omicidio di Stato, lo Stato ha
negato. Resta che da tempo i curdi, e in genere i partiti
di opposizione, sono al centro del mirino: non solo le stragi di Soruc e alla Stazione ferroviaria di Ankara, che hanno fatto centinaia di vittime, ma anche svariati omicidi mirati.
Infine, sull’accordo pesa il sostegno, più o meno nascosto, di Ankara allo jihadismo armato
internazionale, da tempo oggetto di controversia sui media e
nel dibattito politico. Una controversia che non ha trovato
spazio nel dialogo tra Ue e Turchia avvenuto a Bruxelles.
Particolare che stride, e non poco, sia con l’orrore delle stragi di Parigi che con i proclami e le iniziative europee contro il terrorismo.
Sempre sul fronte esterno, va infine ricordato che la Turchia si è lanciata in un duro confronto con la Russia. A Putin, giustamente indignato per l’abbattimento del bombardiere russo
da parte dell’aviazione di Ankara, Erdogan ha risposto con la
boria del bullo di quartiere, affermando: «Mosca non scherzi con
il fuoco».
Un bullo, tra l’altro, che non ha i mezzi per un confronto vero e
proprio, dal momento che la Russia potrebbe incenerire
l’antagonista in due minuti, ma che prende la sua forza
dall’appartenenza al branco, nel caso specifico l’ambito
Nato.
Così, invece di riportare il bullo alla ragione (ché nella
controversia con Mosca ha torto marcio), il branco, la Ue nel caso
specifico, firmando accordi ed elargendo lauti
finanziamenti, lo spalleggia, accrescendo i rischi globali
insiti in questo irragionevole confronto.
È in questa temperie che la Ue si accorda con il Califfo di
Ankara. Anzi la Merkel, la quale, arrogandosi senza alcuna
legittimità il ruolo di dominus d’Europa, ha portato a
compimento l’intesa raggiunta in precedenza con Erdogan.
Altrettanto tragico che quanto avvenuto a Bruxelles sia inquadrato nell’ottica della realpolitik.
In realtà la realpolitik è ben altra cosa: è alta politica che
vive della ricerca del compromesso in ragione di un bene
superiore. Nel caso specifico si tratta di una politica di
bassa lega, dove si è ottenuto un minimo beneficio (che
peraltro si poteva ottenere in altri modi) cedendo a un
ricatto. Un compromesso al ribasso che rafforza Erdogan sia
sul fronte interno che internazionale, a danno dei diritti del
popolo turco e della sicurezza e dell’equilibrio del mondo.
30 nove,bre 2015
fonte: http://piccolenote.ilgiornale.it
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