Matteo Renzi, in visita a Washington, ha anticipato che dirà a Barack
Obama che l’impegno italiano nella crisi libica continua e che dobbiamo
lavorare “per rendere più sicuro il Mediterraneo, dove oggi rischiamo
di perdere la dignità” a causa delle decine di donne e uomini che ogni
giorno “perdono la vita nel tentativo di raggiungere il futuro”.
Difficile concordare con il premier poiché la responsabilità dei
clandestini morti in mare non può in nessun modo essere addossata
all’Italia mentre ci sembrano ben altri gli episodi che compromettono
quanto resta della nostra dignità nazionale.
In febbraio gli scafisti spararono su una motovedetta della Guardia
Costiera italiana per farsi restituire il barcone su cui avevano preso
il mare centinaia di clandestini. Martedì è stata invece una motovedetta
della Guardia Costiera libica, al soldo dei trafficanti di esseri
umani, che ha esploso colpi in aria per accelerare il trasbordo di 250
immigrati sul rimorchiatore italiano Asso 21 con l’obiettivo, ancora una
volta, di mettere le mani sul barcone. Una bagnarola che rivedremo
presto nelle acque del Canale di Sicilia carico di africani diretti in
Italia con la complicità della nostra flotta e di quella della missione
europea Triton.
“Gli
scafisti hanno sparato in aria e non al nostro equipaggio né ai
migranti” ha detto Mario Mattioli, armatore del rimorchiatore Asso 21
in un’intervista a Radio 24. “Il nostro rimorchiatore è stato chiamato a
fare questa operazione di salvataggio di 250 migranti – ha aggiunto
Mattioli – e a un certo punto, mentre era in corso il trasbordo, è
arrivato un barchino con una certa velocità. A bordo alcune persone che
hanno di fatto recuperato il barcone su cui erano stati trasportati i
migranti. Hanno sparato in aria per velocizzare l’operazione di sbarco, è
come se avessero voluto dire ai migranti fate in fretta“.
Mattioli ha spiegato che “il fatto è avvenuto in acque internazionali”,
sostenendo che era impossibile una reazione dell’equipaggio del
rimorchiatore.
“Noi siamo civili, a bordo della Asso 21 ci sono 12 persone. Noi
rispondiamo in primis per la coscienza che ha chiunque opera in mare, e
deve salvare vite umane in pericolo. Teoricamente non voglio dire che
non li dovremmo salvare, potrebbe sembrare una affermazione terribile,
ma da cittadino italiano dico che questo flusso migratorio non può
essere risolto attraverso l’utilizzo di imbarcazioni civili. Immaginate
12 persone di equipaggio a dover gestire 250 migranti, molti dei quali
malati, e non abbiamo di certo un medico a bordo”.
Con
il barcone al traino, la motovedetta libica ha navigato verso casa
guardata a vista da un elicottero della Marina italiana e dalla fregata
lanciamissili Bergamini, gioiello tecnologico da mezzo miliardo di euro
ma impotente di fronte alla beffa compiuta dalla piccola unità libica
che ha giustificato il suo comportamento con la necessità di non
lasciare in mare una imbarcazione abbandonata e pericolosa per la
navigazione.
Certo anche l’Asso 21 avrebbe potuto rimorchiare il barcone in Italia
dove sarebbe stato sequestrato e distrutto ma se i militari libici
hanno addirittura sparato in aria per prenderne il possesso significa
che per loro costituiva un ricco bottino. Considerata la penuria di
imbarcazioni di cui soffrono i trafficanti libici e che un barcone da
250 posti può fruttare a viaggio oltre mezzo milione di euro si può ben
comprendere “il senso del dovere” le motivazioni dell’equipaggio libico.
Un po’ meno l’arrendevolezza di un’Italia che non usa mai la forza
per rispondere a minacce, aggressioni e attacchi terroristici rischiando
così di incoraggiare i trafficanti/miliziani/terroristi ad alzare il
tiro considerata l’elevata esposizione a queste minacce degli equipaggi
italiani militari e civili impegnati a ridosso delle coste libiche.
Certo
in base al diritto internazionale se la fregata Bergamini avesse
bloccato la motovedetta libica avrebbe compiuto un atto di guerra. Ma di
guerra contro chi? Lo Stato libico non esiste e quella motovedetta
della Guardia Costiera risponde al “governo” di Tripoli non riconosciuto
dalla comunità internazionale e pieno zeppo di gruppi islamisti, dai
Fratelli Musulmani ai salafiti sostenuti da Qatar e Turchia.
“Il Bergamini, appena informato dell’evento, si è immediatamente
diretto verso l’area e individuava via radar il natante, ne monitorava e
seguiva i movimenti anche con un elicottero ripristinando la
necessaria cornice di sicurezza” ha spiegato la Marina militare. La nave
da guerra “ha così proseguito nell’attività di pattugliamento in corso
non riscontrando le condizioni per dare seguito ad ulteriori azioni,
mentre la il barchino veloce entrava nelle vicine acque territoriali
libiche. Sulla vicenda sono in corso ulteriori accertamenti per chiarire
tutte le dinamiche” ha concluso il comunicato della Marina.
Con un po’ di coraggio, l’Italia avrebbe potuto fare di più per
impedire l’ennesima beffa consumata sotto i nostri occhi ma occorrerebbe
dare ai militari regole d’ingaggio più aggressive che certo l’attuale
governo, come i precedenti, non sembra avere la capacità politica di
autorizzare.
Del
resto l’Operazione Mare Sicuro (nome infelice che rischia di venire
sbeffeggiato ancor più di Mare Nostrum) ha dimostrato con questo
episodio di non essere in grado di esprimere una credibile deterrenza
nei confronti delle bande libiche mentre l’assistenza riservata ai 10
mila immigrati clandestini portati in Italia negli ultimi giorni induce
ormi a considerare che le navi italiane e le poche europee
dell’operazione Triton concretamente non fanno altro che proseguire
l’opera di accoglienza umanitaria perpetrata da Mare Nostrum.
Il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, ha condannato senza
appello Triton affermando che “il dispositivo non è sufficiente. In 90
giorni ha salvato 1.700 persone, nello stesso periodo la nostra Guardia
Costiera ne ha salvate 17 mila, dieci volte di più”. Il problema che
sembra sfuggire anche un politico attento e preparato come Pistelli è
che nella gara a chi porta più immigrati sulle nostre coste l’unica a
perdere è l’Italia perché senza respingimenti il flusso non avrà mai
fine e perché non siamo in grado sul piano finanziario e sociale di
accogliere queste masse e non si è mai visto uno Stato aiutare così alla
luce del sole criminali e terroristi ad arricchirsi pur sapendo chi
lucra sui traffici di esseri umani.
Del
resto i flussi di immigrazione clandestina potrebbero ancora più
intensi se i trafficanti disponessero di un numero adeguato di barconi.
Molti report hanno segnalato un boom di furti di imbarcazioni in tutti i
porti del Mediterraneo meridionale e orientale, crimini tesi ad
alimentare le esigenze dei trafficanti di uomini mentre indiscrezioni
riferiscono di una frenetica attività in atto nei piccoli cantieri
navali sulla costa tunisina che un tempo realizzavano pescherecci con
scafo in legno e ora si limiterebbero a varare il più rapidamente
possibile spartani barconi commissionati dalle “cosche” libiche.
Fonti egiziane citate dal quotidiano libico al-Arab (vicino al
governo di Tobruk) hanno evidenziato la scorsa settimana che l’Italia
vorrebbe coinvolgere Egitto e Algeria in un intervento in Libia. La
notizia è filtrata dopo il vertice romano tra i ministri degli esteri
dei tre Paesi ma non ha trovato conferme ufficiali in Italia dove il
ministro degli Esteri Paolo Gentiloni continua da settimane a parlare di
ipotesi non meglio specificate di intervento militare che vengono
immancabilmente rettificate poco dopo dallo stesso ministro.
con fonte Nuova Bussiola Quotidiana
Foto: Lapresse, Corriere della Sera e Marina Militare; vignetta di Alberto Scafella
tramite: http://www.analisidifesa.it
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