A proposito del neo-eletto presidente USA Donald Trump, il presidente
della Commissione Europea, il lussemburghese Jean Paul Juncker, ha
dichiarato: “I think we will waste two years before Mr Trump tours the
world he does not know.”
Sono rimasto esterrefatto ed atterrito nel sentire queste parole!!!
Non per il fatto che (secondo Juncker) la più importante superpotenza
mondiale sarà a breve nelle mani di un pericoloso incapace, ma nel
constatare quanto poco il Presidente della Commissione Europea sappia di
tale superpotenza, dei suoi meccanismi politici interni e della sua
politica estera.
A scanso di equivoci e per fugare ogni possibile dubbio, premetto che
se fossi stato statunitense (quindi sforzandomi di vedere la questione
da un’ottica americana) credo che avrei votato per la Clinton. Pur
ritenendo discutibili sia la sua performance in qualità di Segretario di
Stato (anche se la colpa era a mio avviso più dell’indecisione del suo
presidente che sua) sia i suoi “legami” con il mondo islamico, l’avrei
però probabilmente votata per le politiche economiche e (alcune)
politiche sociali che propugnava e … ebbene sì, lo ammetto, anche per
una questione di stile personale.
Messo,
quindi in chiaro che non sono un “trumpiano” né della prima ora (erano
pochi in realtà) né del “post -8 novembre” (il recente incremento
esponenziale dei sostenitori esteri del vincitore mi ricorda quello del
numero dei nostri partigiani alla vigilia della liberazione), passiamo
alla sostanza dell’affermazione.
È vero! Ha perfettamente ragione Juncker quando dice che occorrerà
aspettare due anni prima che il neo- presidente USA faccia il giro dei
vari interlocutori mondiali degli USA (purtroppo, per noi, ben più
numerosi di quelli dell’UE) e decida che politica fare nei confronti
dell’Europa (che non è certo tra le sue priorità).
Verissimo! Peraltro, mi chiedo, non è sempre stato così con i
Presidenti USA? Il primo anno del primo mandato presidenziale è sempre
stato dominato da totale incertezza in politica estera.
A
Obama è stato attribuito il Nobel per la Pace “sulla fiducia”, quasi
come forma di incoraggiamento, prima che potesse fare alcunché e lascio
agli esperti esprimersi in merito alle possibilità che avrebbe avuto di
un tale riconoscimento una volta valutati i risultati dei suoi due
mandati presidenziali.
Si tratta, peraltro, di una cosa naturale, se si esamina quale sia
stato il cursus honorum che i Presidenti USA hanno seguito per giungere
alla Casa Bianca. Si vedrà che la maggioranza dei Commander in Chief a
stelle e strisce degli ultimi decenni proveniva da esperienze politiche
esclusivamente domestiche.
Barack Obama (2009-2016), avvocato specializzato nella difesa dei
diritti civili e “community organizer” a Chicago, era stato dal 1997 al
2004 nel Senato dello stato dell’Illinois (stato con poco meno di 13
milioni di abitanti). Senato che ovviamente non tratta problematiche
internazionali. Successivamente, per soli 4 anni (dal 2004 al 2008) è
stato membro del Senato Federale a Washington. In verità, non mi sembra
un grande back-ground internazionale.
Prima
di lui, George W. Bush (2001-2008), proveniente dal mondo
dell’industria petrolifera (nel CdA della Harken Energy Corporation) e
del baseball (comproprietario dei “Texas Rangers”), prima di assumere la
presidenza ebbe come unica esperienza politica “personale “ (anche se
ovviamente l’esperienza del padre e del nonno potrebbero avergli
insegnato qualcosa) quella sicuramente importante di Governatore del
Texas dal 1994 al 2000.
Esperienza politica di elevato spessore, considerando anche la
rilevanza economica e demografica (quasi 28 milioni di abitanti) di tale
stato, ma con nessuna responsabilità di politica estera e di relazioni
internazionali!
Bill
Clinton (1993-2000), professore di legge all’università dell’Arkansas e
in seguito Attorney General per l’Arkansas, sarà per ben 12 anni
Governatore di quello Stato prima di divenire Presidente.
Si è trattato sicuramente di una notevole esperienza di governo di
Stato federato seppure con una popolazione totale di meno di 3 milioni
di abitanti, più o meno quanti ne ha il comune di Roma, ma molti meno
della nuova città metropolitana governata da Virginia Raggi.
Anche in questo caso, però, senza alcuna responsabilità di politica estera e di relazioni internazionali!
George H. Bush (1989- 92) fu sicuramente un’eccezione. Non solo
perché giunse o alla presidenza dopo due mandati da vice presidente che
gli dettero la possibilità di installarsi alla Casa Bianca on una
conoscenza eccezionale di tutte le problematiche mondiali e dei singoli
interlocutori che contavano, ma anche in relazione alla sua precedente
lunga carriera politica (eletto alla Camera dei Rappresentanti già nel
1966, poi Ambasciatore degli USA all’ONU dal ’71 al ’73 e, persino,
Direttore della CIA, sia pure per un solo anno, nel ’76). Ma si trattò,
appunto, di un’eccezione!
Anche
Ronald Reagan (1981-88) giunse alla Casa Bianca con esperienze
politiche maturate a livello esclusivamente domestico, come presidente
della Screen Actors Guild (il sindacato degli attori USA) e,
soprattutto, come Governatore della California per due mandati
consecutivi (dal 1967).
Pur essendo la California (ben 38 milioni di abitanti) uno stato
politicamente ed economicamente importantissimo e complesso, ancora una
volta si trattava di esperienze prive di dimensione internazionale. Se
andassimo indietro nel tempo la situazione sostanzialmente non
cambierebbe.
Gli
ultimi presidenti statunitensi molto spesso provenivano da esperienze
politiche maturate come governatori di stati federati, con
responsabilità che possono essere anche molto importanti, ma non nei
confronti del mondo esterno.
In questo contesto, Hillary Clinton sarebbe stata un’eccezione (se
fosse stata eletta), come lo sono stati, sicuramente, Eisenhower (per i
suoi trascorsi militari e di Comandante NATO) e Nixon, che ne era stato
il vice per otto anni ed il già citato Bush senior. Ma si tratta di casi
relativamente isolati.
Le
campagne elettorali negli USA (come in molti altri Paesi) si
concentrano su tematiche socio-economiche interne più che sulle
relazioni internazionali, che all’americano medio non interessano più di
tanto.
Quindi, normalmente, i Presidenti USA quando giungono alla Casa
Bianca per la prima volta non sono stati esposti ad esperienze nel
settore delle relazioni internazionali analoghe a quelle che, ad
esempio, potrebbe aver maturato un capo di governo europeo, che spesso
(ma non sempre!) ha avuto precedenti esperienze ministeriali.
Sarebbe
meglio che così non fosse? Forse sì (a mio avviso, certamente), ma
sappiamo che è stato quasi sempre così. C’è regolarmente un periodo di
incertezza nelle relazioni internazionali degli USA quando installa un
nuovo Presidente (è stato così sia con Bush Junior che con Obama). Non
si capisce, pertanto, la sorpresa di Juncker.
Peraltro, nel caso specifico, mi sembra difficile da credere che il
“tycoon” Trump , fondatore di un impero finanziario che opera su scala
globale non conosca il mondo o lo conosca meno, ad esempio, di un
Governatore dell’Arkansas!
È vero che un politico in servizio permanente effettivo, come
Juncker, potrebbe non considerare valida questa esperienza
imprenditoriale. Peraltro, è con gli USA di Trump che la Ue (come anche
l’Italia) dovrà sapersi interfacciare e dovrà (purtroppo) accettare di
buon grado di non essere tra le priorità della nuova presidenza.
Peraltro,
l’UE non era una priorità neanche per la Presidenza Obama. Presidenza
che nel settore economico ha inseguito il sogno di un “ipotetico G2” USA
– Cina e che in quello della sicurezza è stata caratterizzata a un
continuo tergiversare e da un’indecisione che hanno danneggiato, tra gli
altri, anche i Paesi europei.
Indecisione e susseguirsi di mezze misure adottate in relazione
all’Afghanistan, al contrasto al terrorismo di matrice islamica, alle
crisi che travagliano il mondo arabo, ecc. Tentennamenti che potrebbero
ricordare quella di alcun principi europei (penso all’Amleto
shakespeariano e al Carlo Alberto nostrano, ad esempio).
D’altronde,
il programma politico di Obama non era concentrato sul ruolo
geopolitico degli USA, bensì sulla soluzione dei problemi sociali ed
economici interni, ai quali giustamente ha tentato di dedicarsi,
percependo come noiose interruzioni tutte le volte che doveva occuparsi
di crisi internazionali (si vedano, al riguardo, le dichiarazioni di
Stanley McChrystal del giugno 2010 che portarono alla sua immediata
rimozione dal comando di ISAF).
ome evidenziato da molti commentatori, la presidenza Trump potrebbe
anche essere foriera di non trascurabili possibilità per l’Europa.
In
campo economico se gli USA adotteranno una politica più
protezionistica, in campo geo-politico stemperando i toni del confronto
con la Russia di Putin, costringendoci a rivedere e aggiornare la NATO e
a considerare quali competenze in materia di difesa e sicurezza
potrebbero essere attribuite ad un’eventuale “associazione” di Paesi che
dovrebbe necessariamente essere più ristretta e coesa dell’odierna UE.
Ovviamente se noi europei sapremo capire il nuovo contesto e
sfruttarlo con visione strategica. Questo, però è un discorso molto più
ampio che richiederebbe ulteriori approfondimenti.
Torniamo, invece alle dichiarazioni del Presidente della Commissione
EU. Potrà essere vero che Trump non conosca “il mondo” (o che, come
sembrava intendere Juncker, lo conosca ancora meno dei suoi predecessori
quando sono entrati in carica). Lo vedremo nei prossimi mesi. Di certo,
però, già ora sappiamo che “il mondo” non sembra conoscerlo Juncker e
questo, come europeo, mi preoccupa molto più!
Foto: Casa Bianca, AP, CNBC, Euronews e Reuters.
di Antonio Li Gobbi - 14 novembre 2016
fonte:http://www.analisidifesa.it/2016/11/trump-non-conoscera-leuropa-ma-juncker-non-conosce-lamerica/
Antonio Li Gobbi
Nato
nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69
alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha
partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e
Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a
Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di
Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni
interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni
presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha
frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è
laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.
Nessun commento:
Posta un commento