Forse, la frase più efficace per spiegare il titolo di queste breve
considerazioni è stata pronunciata dal rabbino capo della Comunità
ebraica di Roma, Riccardo Di Segni: “Si rimane perplessi dalla
timidezza delle reazioni cristiane davanti all’entità degli orrori”.
Avremmo voluto scendere in piazza per manifestare solidarietà con i
cristiani uccisi e perseguitati – continua il rabbino capo – così
come molti hanno fatto con noi ebrei quando siamo stati colpiti, ma
“trovare qualcuno a cui esprimere solidarietà, per non parlare di una
sponda organizzativa, è stata un’ardua impresa” (Il Foglio, 21 novembre 2015).
Paradossale. Pazzesco sarebbe meglio dire. Che il capo di una
comunità non cristiana rimproveri i cristiani di non fare memoria del
tentativo in corso di farli scomparire da una parte del mondo e della
persecuzione che subiscono negli altri continenti, è veramente e
solamente pazzesco.
Perché di questo si tratta. Se continuasse l’attuale tendenza, fra cinque anni in Iraq non ci saranno più cristiani,
diventati meno di trecentomila quando nel 2002 erano un milione. E in
tutto il Medio Oriente la tendenza è questa con la sola eccezione di
Israele, dove peraltro la comunità cristiana non si sente tranquilla.
Ma se il Medio Oriente va verso la scomparsa della presenza
cristiana, negli altri continenti la persecuzione è in continua ascesa,
come dimostra l’inascoltato rapporto sulla persecuzione anticristiana
dell’Aiuto alla Chiesa che soffre. In Africa, in
particolare in Nigeria e in Eritrea, la setta islamista di Boko Haram
nel primo e il governo nel secondo Paese, mirano ad annientare la
presenza cristiana. Ma non solo gli islamici, anche i nazionalisti
dell’India, i comunisti della Corea del Nord e della Cina, fanno della
religione cristiana la più perseguitata nel mondo. Tanto che il “Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo”
che l’Aiuto alla Chiesa che soffre prepara dal 1999 è stato affiancato
da una Appendice specificamente dedicata alla persecuzione dei soli
cristiani e che significativamente si chiama “Perseguitati e dimenticati”.
Se sappiamo chi li perseguita facciamo fatica a capire perché noi li dimentichiamo. Papa Francesco
ne parla spesso, come del resto il suo predecessore. Noi cattolici
occidentali preferiamo occuparci d’altro, anche di cose molto
importanti, ma il tema della persecuzione non entra facilmente nei
nostri ambienti, non riempie sale e piazze, non scalda i cuori.
E questo non avviene soltanto presso gli ambienti che non si
interessano di nulla oltre i loro angusti interessi locali, ma neppure
presso ambienti molto attenti alla scristianizzazione, alla difesa della
vita e della famiglia, alla promozione della fede in senso lato.
Perché questo?
Onestamente non so rispondere. Ma credo comunque che vada superata
questa forma di pigrizia spirituale e culturale, per cui i nostri
fratelli nella fede che vengono uccisi e perseguitati non sono
adeguatamente ricordati e difesi nelle nostre chiese e comunità.
Credo che anzitutto vada predisposta un’opera di informazione che manca.
La Chiesa del silenzio era aiutata anche in periodi difficili, come
quando si cercò di trattare coi regimi comunisti praticando l’ostpolitik
per cercare di favorire la nomina dei vescovi nelle diocesi scoperte, e
allora la Chiesa perseguitata era sostenuta perché era conosciuto il
suo dramma, erano famosi i suoi martiri e i protagonisti della
resistenza. Oggi noi colpevolmente sappiamo poco o niente dei cattolici
caldei, siriaci, maroniti, melchiti e delle Chiese ortodosse che
patiscono con loro la persecuzione. Qualcosa in più è stato fatto nei
confronti dei cristiani del Pakistan perché abbiamo avuto il martirio di
un ministro, Shabbaz Bhatti, e la testimonianza eroica di una madre di
famiglia in prigione da anni, Asia Bibi.
Bisogna fare una grande opera di informazione.
Poi dobbiamo fare conoscere i termini e i numeri della persecuzione. Il “Rapporto sulla libertà religiosa”
dell’Aiuto alla Chiesa che soffre, con l’appendice sulla persecuzione
anticristiana, va presentato e fatto conoscere cosi come l’opera
meritoria di agenzie di informazione, come Asia news e altre. E bisogna
che i pochi che fino ad adesso hanno faticato per attirare l’attenzione
non si scoraggino e continuino a operare. E, potendo, tutti dobbiamo
sentire il dovere di aiutarli, facendone conoscere le storie di
persecuzione e aiutandoli economicamente.
Marco Invernizzi
fonte: http://comunitambrosiana.org
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