Immaginare che sia un fatto positivo e
addirittura un successo per l’Italia l’eventuale accordo sulla
distribuzione tra gli stati europei degli “asilanti”, l’ennesimo
eufemismo per occultare la realtà dei clandestini, significa non sapere o
far finta di non sapere che accrescerà l’afflusso di clandestini. Il
successo sarà casomai degli scafisti. A parte il maggior contributo
finanziario e di unità navali dell’Unione Europea finora pressoché
inesistente, il nostro paese dovrà comunque gestire il soccorso in mare,
lo sbarco sulle nostre coste, l’impossibile identificazione di chi
astutamente si presenta senza documenti, gli accertamenti medici specie
dopo la conferma della diffusione di scabbia, varicella e tubercolosi,
la prima assistenza che potrebbe durare mesi, poi le partenze verso le
varie destinazioni finali.
Così come immaginare fattibile e risolutivo il bombardamento delle
imbarcazioni attraccate sulla costa libica o comunque senza i
clandestini a bordo, significa peccare di ingenuità e comportarsi
irresponsabilmente perché, immediatamente dopo, l’Italia diventerà il
bersaglio del terrorismo islamico con il lancio di missili, attentati
dentro casa nostra e l’invasione contemporanea di centinaia di migliaia
di clandestini.
Qualsiasi autorità al mondo che controlla militarmente e
politicamente un territorio, persino il più che mite governo italiano
che concepisce il compromesso con il nemico un dogma di fede, reagirebbe
nel mondo più violento qualora dovesse subire un’aggressione militare, a
maggior ragione se venisse distrutta una fonte di ricchezza vitale
della propria economia. Ed è questo il caso dei barconi e dei gommoni
che partono dalla costa libica, da quattro anni controllata da bande
terroristiche islamiche che, in combutta con la criminalità organizzata
straniera ed italiana, la complicità di una rete di fette dello Stato
compiacenti, cooperative e associazioni catto-comuniste, imprenditori
prezzolati, garantiscono al terrorismo islamico una taglia cospicua su
un giro d’affari stimato complessivamente in 43 miliardi di euro.
La conclusione è che se si vuole stroncare questo traffico di
clandestini non c’è alternativa alla guerra totale ai terroristi
islamici che, oltre alla costa controllano il retroterra compresi i
pozzi petroliferi, perseguendo esplicitamente l’obiettivo di
sconfiggerli per ripristinare uno stato di diritto che garantisca
l’ordine e la sicurezza della Libia.
Va bene quando Marco Minniti, Autorità delegata per la sicurezza
della Repubblica, dice: “La Libia è lo specchio dell’Europa e l’Europa
non può permettersi una nuova Somalia a 400 chilometri dai suoi confini
(…) Va liberata dal terrorismo e stabilizzata in una cornice di
condivisione della comunità internazionale. Va aiutata a ricostruire uno
Stato con i suoi apparati che oggi sembrano essersi sbriciolati”.
Ma Minniti sbaglia se pensa, al pari del ministro degli Esteri Paolo
Gentiloni, che quest’obiettivo possa essere il frutto di un sodalizio
tra il governo laico riconosciuto internazionalmente insediato a Tobruk e
i Fratelli Musulmani che l’hanno spodestato violentemente occupando
Tripoli, intimando loro di rappacificarsi per far fronte comune contro
l’Isis, così come inutilmente cerca di fare da otto mesi il delegato
speciale dell’Onu Bernardino Leon.
L’Italia si rassegni. Per il governo libico i Fratelli Musulmani sono
terroristi alla stregua dell’Isis e vanno pertanto combattuti. Questa è
anche la posizione dell’Egitto di Al Sisi, dell’Arabia Saudita del
nuovo re Salman e degli Emirati Arabi. A sostegno dei Fratelli Musulmani
sono invece schierati la Turchia di Erdogan e il Qatar. La Tunisia e
l’Algeria sono contrari ad una soluzione militare per il timore che
possa destabilizzare il loro fronte interno fortemente condizionato dai
Fratelli Musulmani.
Al di là dello schieramento regionale, resta il fatto che l’Italia è
inequivocabilmente il bersaglio dichiarato e prediletto dei terroristi
islamici. Non possiamo più tergiversare. Proprio perché abbiamo maturato
la convinzione che i barconi utilizzati nel traffico dei clandestini
debbano essere distrutti, riuscendo a convincere l’Europa e forse anche
l’Onu, dobbiamo ora assumere la consapevolezza che di fatto è una
dichiarazione di guerra. Ciò non significa automaticamente che l’Italia
debba impegnarsi direttamente sul territorio libico, anche perché
diciamocelo sinceramente non saremmo preparati.
In un’intervista al Giornale di Gian Micalessin, il capo di Stato
Maggiore dell’esercito regolare libico, il generale Khalifa Haftar, dice
che l’Italia sbaglierebbe sia colpendo obiettivi limitati, quali i
barconi, sia impegnandosi con forze di terra, perché “il vostro Paese si
ritroverebbe coinvolto in un conflitto a cui non è preparato”. A suo
avviso “mandare i soldati italiani o europei a morire in Libia è
inutile. Dateci le armi e il lavoro lo faremo da soli”. Che cosa
aspettiamo a cogliere questa opportunità? O continueremo a suicidarci
tra l’ignoranza, la viltà, la sottomissione ad Obama e alla sua scelta
folle di sostenere i Fratelli Musulmani, l’interesse scandaloso di capi e
capetti che per denaro tradiscono l’Italia e nuocciono agli italiani?
DIi Magdi Cristiano Allam - 11 maggio 2015
fonte: http://www.ioamolitalia.it
di Magdi Cristiano Allam 11/05/2015 14:58:07
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