“L’Italia perde la pazienza sui marò, ora si va all’arbitrato”
titolava il 5 maggio un lancio dell’agenzia ANSA riprendendo le
anticipazioni del Corriere della Sera che avevano riferito di una
profonda insoddisfazione del governo italiano dopo un anno di vana
attesa di aperture da parte indiana per risolvere il contenzioso che
coinvolge i fucilieri di Marina Salvatore Girone (in India) e
Massimiliano Latorre (ancora in Italia in convalescenza).
Dopo oltre un anno di tentativi diplomatici con l’India per riportare
a casa i due marò, il governo avrebbe gettato la spugna per portare il
caso davanti ad un tribunale internazionale. Un arbitrato a cui già
l’anno scorso il governo Renzi appena insediato aveva fatto sapere di
voler ricorrere per poi smentirsi e rinunciarvi in favore di una sterile
trattativa con l’India che condotta negli ultimi tempi dal
sottosegretario con delega ai servizi segreti Marco Minniti.
“La proposta di mediazione diplomatica italiana è dalla fine dell’estate scorsa sul tavolo di Ajit Doval, consigliere per la sicurezza nazionale di Modi.
“La proposta di mediazione diplomatica italiana è dalla fine dell’estate scorsa sul tavolo di Ajit Doval, consigliere per la sicurezza nazionale di Modi.
Nonostante
rassicurazioni verbali, però, la discussione non avrebbe mai preso il
volo. Il governo Renzi, dunque, ha preso atto che la via diplomatica è
finita nella sabbia” scrive Danilo Taino sul Corriere.
Che l’Italia, finora sempre in ginocchio ai piedi dell’India, abbia davvero “perso la pazienza” fa un po’ ridere dopo un anno di blaterare governativo sulla ricerca di una soluzione politica del caso. Del resto il cambio di passo del governo italiano è ancora tutto da confermare.
Che l’Italia, finora sempre in ginocchio ai piedi dell’India, abbia davvero “perso la pazienza” fa un po’ ridere dopo un anno di blaterare governativo sulla ricerca di una soluzione politica del caso. Del resto il cambio di passo del governo italiano è ancora tutto da confermare.
“Non commento le indiscrezioni” si è limitato a dire il capo della
Farnesina, Paolo Gentiloni ma altre fonti governative non hanno smentito
quanto riportato dal Corriere della Sera, che dà ormai per certa la
strada dell’arbitrato internazionale.
Del resto non c’era bisogno dei patetici rinvii della Corte Suprema indiana (l’ultimo ha posticipato al 7 luglio la discussione sulla giurisdizione circa il ricorso italiano) per rendersi conto che, dopo oltre tre anni, Nuova Delhi non solo non ha in mano nessun elemento per poter incriminare i due militari italiani ma al tempo stesso non ha intenzione di rilasciarli, forse temendo un impatto negativo in termini di consenso popolare per il governo nazionalista di Narendra Modì.
Del resto non c’era bisogno dei patetici rinvii della Corte Suprema indiana (l’ultimo ha posticipato al 7 luglio la discussione sulla giurisdizione circa il ricorso italiano) per rendersi conto che, dopo oltre tre anni, Nuova Delhi non solo non ha in mano nessun elemento per poter incriminare i due militari italiani ma al tempo stesso non ha intenzione di rilasciarli, forse temendo un impatto negativo in termini di consenso popolare per il governo nazionalista di Narendra Modì.
Sconcerta
poi ridere che a Roma si continui con la politica delle “bocche cucite”
con la stampa per non far trapelare decisioni che leggeremo tra pochi
giorni (forse tra poche ore?) sulla stampa indiana. Dopo che tre governi
italiani sono stati umiliati dalla vicenda dei marò anche sul fronte
mediatico la politica romana non ha ancora capito la dimensione globale
della comunicazione e che tacere a Roma significa coprirsi di ridicolo
se poi le notizie trapelano a Nuova Delhi.
All’opposizione il senatore Maurizio Gasparri e il presidente della
Commissione Difesa della Camera, Elio Vito (Forza Italia), pur
riconoscendo come “giusta” la strada dell’arbitrato stigmatizzano di
aver “dovuto constatare che anche questa decisione la si debba
apprendere dai giornali e non venga comunicata nelle sedi istituzionali
proprie”. Più dura la posizione dei M5s: “Se la notizia venisse
confermata, sancirebbe il fallimento politico di un esecutivo che solo
qualche mese fa aveva parlato di ‘soluzione politica’. Peccato ci si
svegli sempre troppo tardi”.
Non
mancano poi i dubbi su quale tipologia di arbitrato verrà adottata
dall’Italia. Secondo gli esperti di diritto internazionale ci sono
almeno due opzioni: l’arbitrato classico e quello “obbligatorio”
previsto dalla Convenzione sul Mare e in capo al Tribunale di Amburgo.
Strade che comporterebbero – almeno secondo il parere degli esperti –
tempi e procedure diverse. Quello classico può essere attuato solo con
il consenso dell’India anche sulla costituzione e le regole di
funzionamento del collegio arbitrale. Ipotesi che pare francamente
inattuabile considerato che il governo e la magistratura indiana Non
hanno mai neppure risposto alle richieste ufficiali italiane.
“Ci vorrebbero anni”, fa notare Angela Del Vecchio, ordinario di
diritto internazionale alla Luiss ed esperta della vicenda dei marò. La
seconda strada sarebbe invece più veloce e snella: il ricorso
unilaterale al Tribunale del Mare che può anche assumere decisioni
temporanee come quella di trasferire Girone e Latorre in un Paese terzo,
consentendo loro di lasciare l’India.
E che quindi potrebbe portare a qualche evoluzione “già in 4-5 mesi”.
Il tempo stringe non solo perché ormai quella dei marò è divenuta una
“saga” che ben dimostra la credibilità internazionale dell’Italia ma
anche perché occorre sottrarre Girone dalla frustrazione della
lunghissima permanenza in India e sbloccare la situazione di Latorre, la
cui licenza italiana per ragioni di salute è stata prolungata da Delhi
fino al 15 luglio ma difficilmente il militare potrà beneficiare di
ulteriori proroghe.
In
tal caso Roma si troverebbe presto di nuovo davanti al dilemma se
rimandare Latorre in India oppure trattenerlo in Patria provocando la
reazione di Delhi.
Il ricorso al tribunale del Mare di Amburgo è previsto dalla
Convenzione sul Mare e secondo la professoressa Del Vecchio e lo
strumento più semplice e rapido. Basta che l’Italia presenti la domanda.
Subito dopo il Tribunale inizia la procedura di istituzione del
consiglio arbitrale che in tempi brevi, 4-5 mesi in tutto, diverrebbe
operativo.
Nel caso in cui l’India prendesse tempo o non ottemperasse alle
richieste sarebbe lo stesso Tribunale a nominare d’ufficio gli arbitri.
La Del Vecchio spiega inoltre che il tribunale così costituito potrebbe
anche giudicare “in contumacia” e cioè anche se l’India rifiutasse di
presentarsi in aula.
In aggiunta – è qui potrebbe essere la chiave di volta – già dopo la
presentazione della domanda italiana al Presidente del Tribunale del
mare potrebbero essere richieste “misure provvisorie”, che nel caso dei
due marò potrebbero tradursi nella richiesta italiana di consentire loro
di lasciare l’India. La destinazione scelta dal Tribunale
internazionale del mare non potrebbe essere certamente l’Italia, ma uno
Stato terzo anche rispetto all’India, “come il Belgio, sede della Nato e
dell’Unione Europea, la Francia, il Canada o qualunque altro estraneo
alla controversia.
E’
“l’unica via veloce e percorribile che non presuppone il consenso delle
parti e che potrebbe portare al risultato in tempi stretti: far uscire i
due marò dall’India”, spiega la giurista e non ci sembra un risultato
di poco conto tenuto conto del nulla prodotto da 40 mesi di
pseudo-negoziati con l’India.
Solo l’improvvisazione con cui tre governi italiani hanno cercato di
gestire la vicenda può spiegare il mancato ricorso, fin dall’inizio
della vicenda, al Tribunale del diritto del Mare, organo indipendente
delle Nazioni Unite, creato con la III Convenzione internazionale sulla
legge del mare che si tenne a Montego Bay, in Giamaica, il 10 dicembre
1982. Il tribunale è chiamato a dirimere i contenziosi tra le 149
nazioni aderenti al Trattato ratificato anche da Italia e India.
Foto: Difesa.it, Lapresse, ANSA
di Gianandrea Gaiani, 10 maggio 2015
http://www.analisidifesa.it
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