Dalle più recenti consultazioni elettorali nella parte Ue dell’Europa si possono trarre alcune indispensabili valutazioni.
In Italia, dal voto amministrativo del 31 maggio a tutto il
ballottaggio di singoli enti locali, nessuna buona nuova. D’altra parte
si trattava di elezioni soggette a scelte localistiche (in Veneto pro o
contro Zaia, in Campania pro o contro De Luca, in Liguria pro Toti
avvantaggiato sulla contendente dalla scissione della sinistra, in
Puglia pro Emiliano avvantaggiato sul contendente dalla scissione della
destra, nelle altre tre regioni conferma dei precedenti di
centrosinistra). Un alto astensionismo, una riduzione dei voti per il
Pd, un crollo di Forza Italia (euro-dipendenti), un risultato mediocre
per i centristi, e una vittoria della Lega, prevista e confortata dai
risultati di Fratelli d’Italia, quando alleati, nonché un consolidamento
locale dei 5 Stelle: tutti comunque segnali di euroscetticismo.
Di tutt’altro spessore e significato politico quanto accaduto in Gran
Bretagna, con la rotta laburista, il consolidamento conservatore (in
gran parte eurocritico) e, soprattutto, con il successo
dell’indipendentismo scozzese (Scottish Party) anch’esso eurocritico. Un
risultato che preoccupa Washington e le banche atlantiche, visto
l’annunciato referendum sull’Ue deciso da Londra per il 2017.
Se in Gran Bretagna è stato crollo degli euro/Ue-dipendenti , a
questa novità sono andati ad aggiungersi i risultati euroscettici di
“Podemos” (sinistra) e di “Ciudanos” (destra) in Spagna e del partito
nazionalista polacco eurocritico che con Andrey Duda, leader del partito
di “Legge e Giustizia” ha tolto la poltrona presidenziale a Bronislaw
Komarovsky del partito euro-dipendente “Piattaforma Civica”, centrista.
Con l’Ungheria saldamente nelle mani dell’euroscettico Fidesz di
Viktor Orban (senza dimenticare la forte presenza del partito
ultranazionalista Jobbick), con una Polonia che nelle prossime elezioni
parlamentari di settembre dovrebbe confermare il successo dei
nazionalisti di Duda, con l’Ucraina non ancora definitivamente esplosa
grazie alle manovre destabilizzatrici volute dagli Usa e applicate
dall’eurocrazia, ma che lo potrebbe essere a breve se verrà aperto un
fronte occidentale anche contro la Transnistria (pro-russa, stato
cuscinetto tra Moldavia e Kiev), con una Grecia sull’orlo dell’uscita
dall’euro, è evidente come anche il fronte dell’est europeo
“eurocratico” mostri un tracollo irreversibile.
E non è certo tutto. Perché nello stesso 2017, oltre al referendum di
Londra per abbandonare l’Ue, si avranno anche le elezioni presidenziali
in Francia con Marine Le Pen (Front National, più che euroscettico…)
favorita sia su Hollande che su Sarkozy.
E’ anche vero che né il partito greco Syriza di Tsipras, né lo
spagnolo Podemos – ambedue euroscettici di sinistra, anche se nel
governo di Atene appaia anche una componente nazionalista – si
dichiarano favorevoli ad un’uscita dei rispettivi Stati dall’Unione
europea, tuttavia la loro connotazione anti-rigore e anti-troika
(Ue,Bce,Fmi) è di sicura opposizione alle politiche della miseria
imposte dalla finanza internazionale (riforma delle pensioni, “alla
Fornero”, riforma del mercato del lavoro, alla “Jobs Act”)per lucrare
usura sui debiti pubblici dei vari Paesi con la supervisione della Banca
centrale europea e delle Banche centrali (private) dei singoli Stati.
Di qui al passo consequenziale – l’uscita dall’euro e la riconquista
della sovranità monetaria con il diritto di emettere in proprio il
denaro – il tragitto è breve. Anche per euroscettici più “malleabili”
come Syriza o Podemos.
D’altra parte la stessa campagna intimidatoria e terroristica mediatica su un “euro che sì è una moneta falsa… ma fuori dall’euro e dall’Ue gli Stati nazionali sarebbero travolti” sembra virtualmente esaurita e non più spacciabile.
Ma è anche vero, di contro, che gli atlantici non possono permettere
un tracollo della loro costruzione coloniale eurocratica, fin qui ben
servita ai propri disegni di dominio. Ed ecco che tutto quanto sta
accadendo in Europa, e soprattutto nell’est, diventa una sfida più che
pericolosa per l’egemonia di Washington e di Wall Street. Una
ricon-cessione agli Stati nazionali della loro sovranità monetaria mette
in gioco verosimilmente tale dominio unipolare.
Di solito, nel passato, gli Usa – meglio: chi guida la politica
statunitense – di fronte a dichiarazioni di indipendenza economica di
nazioni ritenute da loro “soggette”, hanno scatenato guerre.
In Ucraina e Transnistria gli atlantici stanno utilizzando la stessa
metodologia, che, se portata ancora avanti, può rivelarsi distruttrice
degli equilibri mondiali e delle stesse nazioni europee contigue a quel
fronte. Italia inclusa.
Non è uno scenario “leggero”: tutt’altro.
Ugo Gaudenzi | 08/06/2015
fonte: http://www.rinascita.net/
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