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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

08/06/15

Come la falsità e la disinformazione gestisce il G7. L’ombra dei due marò pesa come un macigno.


G7


Esattamente 40 anni fa, nel giugno del 1975, i politici italiani (quelli di una volta) ebbero un’idea seria e brillante. Talmente buona e innovativa da  riuscire a imporla al resto del mondo. Tutto nacque da una cena privata sulla terrazza romana, a Piazza Costaguti, nell’appartamento di un importante esponente socialista, Giolitti, e i quattro commensali che lanciarono l’idea erano Aldo Moro, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga. Allora ci si trovava al centro della guerra fredda tra Usa e Urss, in un momento molto delicato. A Mosca e a Washington erano insediati due bei grossi falchi, Richard Nixon e Leonid Breznev, due mastini che amavano trascorrere i loro week end circondati dai loro generali e così volevano essere fotografati, tanto per spiegare al mondo come si stavano mettendo le cose. Dal loro punto di vista.
I nostri politici si fecero interpreti delle preoccupazioni collettive europee (e giapponesi) perché c’era in atto una grossa crisi economica, innescata dal caro petrolio che aveva triplicato il suo prezzo e valore di mercato. Tre importanti nazioni, totalmente prive di oro nero -Germania, Giappone e Italia- erano quelle che stavano pagando il conto più salato. E al loro interno, al culmine della guerra fredda, avevano tutte e tre una fortissima sinistra antagonista, turbolenze sindacali, con il rischio di deflagrazioni sociali incontrollabili.
Allora, le comunicazioni erano lente e faticose. Le visite ufficiali tra capi di Stato erano eventi pomposi, molto formali, che avevano più una funzione di propaganda che sostanziale, e finivano sempre nello stesso modo, con piatte dichiarazioni congiunte di grande amicizia collaborativa e niente di più. L’Italia, sia come nazione che come Paese, era al centro dell’attenzione planetaria perché la nostra repubblica (a mio avviso giustamente e correttamente) era stata identificata come il laboratorio sociale e politico più evoluto e avanzato di tutto l’occidente. In quel momento, forse, addirittura di tutto il mondo. C’era un enorme stimolante brulichio e un perenne confronto tra soggetti diversi e antagonisti; ai pacifisti e a tutti coloro che combattevano contro i guerrafondai era piaciuta molto l’idea di Enrico Berlinguer, nata come reazione ai criminali colpi di stato della Cia in Sudamerica: è arrivato il momento di incontrarsi tra forze politiche democratiche che appartengono a storie e nature diverse, i movimenti socialisti e le forze democristiane devono trovare la cifra giusta e realistica per siglare un compromesso storico nel nome del bene comune dell’intera collettività. Così come era stata accolta con favore la fortissima intesa che Aldo Moro stava iniziando a costruire con i comunisti. Bisognava, dunque, parlarsi, incontrarsi, conoscersi meglio. In Europa già lo si faceva. Decisero, quindi, (i quattro) di lanciare ufficialmente, e soprattutto “formalmente” il G7, con il dichiarato obiettivo di allargarlo sempre di più per arrivare a fondare la grande utopia e mettere intorno a un tavolo americani, sovietici, asiatici ed europei: la strada migliore per evitare ogni rischio di conflitto armato.
Quando ci si conosce, si discute, ci si confronta, ci si abitua l’un l’altro, l’aggressività, inevitabilmente, scema, diluisce. La rigidità nazionalistica che alimenta sempre le menti degli ottusi generali di ogni paese nasce dalla paura e dalla misconoscenza di etnie, nazioni, gruppi diversi. Quanto più ci si conosce e quanto più ci si incontra, tanto più diminuiscono le possibilità di una guerra.
E così, nel 1976, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia coinvolgono anche gli Usa, Giappone e Canada e lanciano il primo G7 della Storia moderna.
Da allora, sono trascorsi 40 anni.
Ci spiega wikipedia:  Il Gruppo dei Sette (di solito abbreviato in G7) è il vertice dei ministri dell’economia delle sette nazioni sviluppate con la ricchezza netta più grande al mondo. Esso è nato nel 1976, quando il Canada aderì al Gruppo dei Sei (Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti). Anche il rappresentante dell’UE ed il Presidente del FMI sono sempre presenti agli incontri. Dal 1997 è stato affiancato dal G8, il vertice dei capi di Stato dei già menzionati allargato alla Russia…..
Ancora oggi, statutariamente, è così: si tratta di un vertice dei ministri dell’economia delle sette nazioni sviluppate con la ricchezza netta più grande al mondo. Anche un bambino o una persona distratta che non segue i teatri della geo-politica, si rende conto, quindi, che nella riunione che si apre formalmente domani a Emau, in Germania, c’è qualcosa che non funziona. Le nazioni che vi partecipano, infatti, non sono quelle che dovrebbero parteciparvi.
Angela Merkel farà gli onori di casa nel più surreale spettacolo mai offerto dalla politica.
Le nazioni che vi partecipano, infatti, sono le stesse del primo G7 nel 1976.
Una follia. O un falso. O volontà di disinformazione. Scegliete voi la definizione.
Adottando i criteri dello statuto del G7, sottoscritto da tutti i contraenti nel giugno del 1975, se avessero dovuto rispettare sia i parametri che la legalità, la riunione sarebbe stata, nell’ordine, tra Usa, Cina, Giappone, Germania, Russia, Gran Bretagna, India. Queste sette nazioni summenzionate, infatti, aderiscono alla definizione del 2015 corrispondente a “…economie con la ricchezza netta più sviluppata al mondo”.
Tra sei mesi ci sarà il G8 che include anche la Francia.
Tra nove mesi il G10 che include anche il Brasile e la Corea del Sud.
Il vero elenco del G10, infatti è: Usa, Cina, Giappone, Germania, Russia, Gran Bretagna, India, Francia, Brasile, Corea del sud.
Tutte queste nazioni, messe insieme, sono in grado di poter emettere un comunicato comune che corrisponde per davvero alla leadership planetaria.
Questa riunione del G7 nel castello di Schloss Emau mi sembra un incontro tra mitomani che hanno completamente perso il senso della realtà, della misura, e hanno l’arroganza prepotente e sfacciata di comunicarla anche al resto del mondo.
Perché lo fanno? Per depistare. Per farci vivere l’emozione di una realtà fittizia, per dimostrare che sono in grado di poter intervenire nel cuore dell’Europa alterando i codici della relazionalità logica, facendo ciò che vogliono, nel disprezzo del buon senso? L’Europa non può permettersi -intendo dire l’Europa a trazione teutonica- che l’Italia non sia più nel G7, nel G8, nel G10. Se lo facessero, diventerebbe “pubblicamente ufficiale” la notizia relativa allo stato reale dell’economia italiana: il nostro Paese, dal 2009 al 2015 ha perso, in termini di produzione di ricchezza, circa 250 miliardi di dollari, retrocedendo tra le nazioni considerate tecnicamente “Paese che si sta de-industrializzando”.
Questa potrebbe essere la umana, banale, semplice ragione per cui l’India non ci restituisce i due marò. Gli indiani sono inviperiti e io li capisco, hanno ragione. Dal punto di vista della sovranità nazionale indiana, non si capisce perché alle riunioni dei grandi ci vada una economia come quella italiana (definita dall’India “un’economia miope, decisamente regressiva, con una classe politica dirigente che non situa quel paese tra le nazioni che possono determinare il trend planetario oggi”) e non ci vada l’India che produce il 24% in più dell’Italia. Si sentiranno vittime di un affronto. E anche i brasiliani e i sudcoreani saranno inviperiti.
In geo-politica, la forma equivale alla sostanza.
Il G7 che si apre domani a Emau è un evento surrealista. Qualunque cosa decidano, basta che la Cina, o la Russia, o l’India, o la Corea del Sud, o il Brasile rispondano “non rispetteremo nessuna delle vostre decisioni” che i 7 non possono replicare. Con l’aggravante che, se per caso, la Cina, la Russia, l’India, la Corea del Sud e il Brasile, decidono di far fronte comune ed emettono un comunicato congiunto, allora da una frittata piccolo-borghese si passa all’anteprima di una tragedia socio-politica internazionale.
Se il fine del G7 è aiutare la pace, è già fallito.
Non ci può essere nessuna pace se si dice il falso.

di Sergio Di Cori Modigliani - 6 giugno 2015
fonte: http://www.libero-pensiero.net

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