Oggi ognuno dei suoi 12 milioni e mezzo di follower ha ricevuto un
Tweet che ricordava la ricorrenza del voto con toni trionfalistici. Ma
cosa c’è dietro l’uomo nuovo dell’India? Per l’Europa e l’Italia ben
poco...
Il premier indiano Narendra Modi durante un comizio a Nuova Delhi
Il tweet arriva come messaggio riservato e diretto, alle 8 e
mezza del mattino, a me come a ciascuno dei suoi 12 milioni e mezzo di
follower: “Narendra Modi, my message on completion of One Year of our
Government”. Ma in Italia, che cosa aveva fatto sperare che l’elezione,
giusto il 26 maggio 2014, del leader nazionalista conservatore indù alla
guida dell’India avrebbe facilitato le sorti dei due marò italiani,
spianando la strada a una soluzione? A un anno esatto dall’insediamento
di Modi a Delhi si può notare che quello fu un wishfull thinking nutrito
di inanità politico-diplomatica, un’illusione tanto più forte in quanto
Modi in campagna elettorale si era invece apertamente e violentemente
scagliato contro «i privilegi» di cui godevano Latorre e Girone, in
libertà provvisoria e in attesa che fosse definito dalla magistratura
indiana il campo di imputazione (è ancora così) e con lavoro e alloggio
all’ambasciata italiana.
Nonostante i fatti e le evidenze, nei giorni dell’ascesa dell’ex
governatore della regione del Gujarat, e ancora a seguire fino a poche
settimane fa, l’opinione diffusa nella politica e nella diplomazia
italiane era che un cambio di passo, dall’ormai inviso Partito del
Congresso del clan Gandhi, con la matriarca Sonia osteggiata proprio per
le sue origini italiane, avrebbe rivoluzionato i rapporti con l’Italia
al punto da agevolare la trattativa sulla vicenda. Come se bastasse
cambiare la guida per cambiare un Paese, illusione del resto oggi
pervasiva anche in Italia. Un anno dopo, sappiamo che così non è stato
(e fu facile previsione sostenerlo anche allora). Quel che é accaduto,
dopo una telefonata Renzi-Modi di metà agosto 2014 in cui il presidente
indiano esortò a «permettere alla magistratura indiana, che è giusta,
libera e indipendente, di fare il suo corso», assicurando che «una
rapida soluzione è interesse di tutti», è il nulla. Un paio di volte,
mentre in Italia si continuava a parlare di «soluzione politica»
accantonando l’arbitrato internazionale già disposto dal governo Letta,
su sollecitazione italiana Modi ha ripetuto pubblicamente che dei marò
«si occupa la magistratura indiana». L’affaire è stato derubricato in
Italia, secondo indiscrezioni, a «trattativa tra i servizi». E della
cosa, quando scoppierà nuovamente il caso a metà luglio, data del
previsto rientro di Latorre in India dopo la convalescenza, secondo
altre indiscrezioni verrà additato alla pubblica opinione il
sottosegretario di Palazzo Chigi con delega ai servizi: Marco Minniti,
di cui da mesi e mesi altre indiscrezioni narrano la possibile uscita
per sostituirlo con qualcuno più vicino al premier.
Ma l’abbaglio su Modi non è stato solo italiano. Un anno dopo, la
rivoluzione annunciata con il cambio di leadership in India non c’è
stata. Il Pil indiano è atteso per quest’anno al 7,7 per cento, la rupia
è stabile, ma l’attivismo di Modi si è concentrato, più che sulle
promesse riforme in India, sui road show diplomatici. Ulteriore scacco
per l’Italia e l’affaire marò, è stato un rilancio dei rapporti con gli
Stati Uniti (che del resto avevano dato il via libera alla sua
candidatura a premier, malgrado fosse stato per anni sulla lista nera di
Washington in quanto ritenuto responsabile morale del massacro di
musulmani nel Gujarat), e una considerazione dell’Unione Europea, che
sui marò aveva cominciato a far pressioni, più come un blocco
commerciale che come interlocutore politico. Ne è stato una
dimostrazione il suo viaggio in Europa, che ha toccato Berlino e
Parigi (con acquisto di 56 aerei militari Airbus), ma non Bruxelles.
L’ iperattivismo diplomatico di Modi lo ha visto inoltre stringere
alleanze con Tokio e Pechino, e rinsaldare l’influenza nell’area
dell’Oceano Indiano con iniziative innovative come il «tour dello yoga».
Ma, a parte dare mano libera agli investitori stranieri nel settore
delle assicurazioni o della difesa, poco o nulla Modi ha fatto contro la
corruzione e la pletorica e inefficiente pubblica amministrazione
indiana. Così come non ha realizzato nessuna delle riforme ventilate in
una campagna elettorale che, un anno fa, convinse 800 milioni di indiani
a votarlo, al punto di fargli conquistare la maggioranza assoluta della
Camera Alta e riportando dopo 10 anni al governo i nazionalisti
conservatori hindu del Janata Party. Adesso, Modi chiede tempo. Ma alle
viste ha le elezioni amministrative di fine anno, e rischia di essere,
oltre che apparire, un primo ministro solo al comando, senza un governo
efficace alle spalle. Non un bel momento, nonostante i tweet, per l’homo
novus dell’India. Per il quale, se l’Europa non ha rilevanza
geopolitica, figurarsi l’Italia...
26/05/2015 - antonella rampino
fonte: http://www.lastampa.it
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