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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

26/05/15

Un anno di Modi, la falsa speranza dei marò


Oggi ognuno dei suoi 12 milioni e mezzo di follower ha ricevuto un Tweet che ricordava la ricorrenza del voto con toni trionfalistici. Ma cosa c’è dietro l’uomo nuovo dell’India? Per l’Europa e l’Italia ben poco...
 
     Il premier indiano Narendra Modi durante un comizio a Nuova Delhi


Il tweet arriva come messaggio riservato e diretto, alle 8 e mezza del mattino, a me come a ciascuno dei suoi 12 milioni e mezzo di follower: “Narendra Modi, my message on completion of One Year of our Government”. Ma in Italia, che cosa aveva fatto sperare che l’elezione, giusto il 26 maggio 2014, del leader nazionalista conservatore indù alla guida dell’India avrebbe facilitato le sorti dei due marò italiani, spianando la strada a una soluzione? A un anno esatto dall’insediamento di Modi a Delhi si può notare che quello fu un wishfull thinking nutrito di inanità politico-diplomatica, un’illusione tanto più forte in quanto Modi in campagna elettorale si era invece apertamente e violentemente scagliato contro «i privilegi» di cui godevano Latorre e Girone, in libertà provvisoria e in attesa che fosse definito dalla magistratura indiana il campo di imputazione (è ancora così) e con lavoro e alloggio all’ambasciata italiana. 

Nonostante i fatti e le evidenze, nei giorni dell’ascesa dell’ex governatore della regione del Gujarat, e ancora a seguire fino a poche settimane fa, l’opinione diffusa nella politica e nella diplomazia italiane era che un cambio di passo, dall’ormai inviso Partito del Congresso del clan Gandhi, con la matriarca Sonia osteggiata proprio per le sue origini italiane, avrebbe rivoluzionato i rapporti con l’Italia al punto da agevolare la trattativa sulla vicenda. Come se bastasse cambiare la guida per cambiare un Paese, illusione del resto oggi pervasiva anche in Italia. Un anno dopo, sappiamo che così non è stato (e fu facile previsione sostenerlo anche allora). Quel che é accaduto, dopo una telefonata Renzi-Modi di metà agosto 2014 in cui il presidente indiano esortò a «permettere alla magistratura indiana, che è giusta, libera e indipendente, di fare il suo corso», assicurando che «una rapida soluzione è interesse di tutti», è il nulla. Un paio di volte, mentre in Italia si continuava a parlare di «soluzione politica» accantonando l’arbitrato internazionale già disposto dal governo Letta, su sollecitazione italiana Modi ha ripetuto pubblicamente che dei marò «si occupa la magistratura indiana». L’affaire è stato derubricato in Italia, secondo indiscrezioni, a «trattativa tra i servizi». E della cosa, quando scoppierà nuovamente il caso a metà luglio, data del previsto rientro di Latorre in India dopo la convalescenza, secondo altre indiscrezioni verrà additato alla pubblica opinione il sottosegretario di Palazzo Chigi con delega ai servizi: Marco Minniti, di cui da mesi e mesi altre indiscrezioni narrano la possibile uscita per sostituirlo con qualcuno più vicino al premier. 

Ma l’abbaglio su Modi non è stato solo italiano. Un anno dopo, la rivoluzione annunciata con il cambio di leadership in India non c’è stata. Il Pil indiano è atteso per quest’anno al 7,7 per cento, la rupia è stabile, ma l’attivismo di Modi si è concentrato, più che sulle promesse riforme in India, sui road show diplomatici. Ulteriore scacco per l’Italia e l’affaire marò, è stato un rilancio dei rapporti con gli Stati Uniti (che del resto avevano dato il via libera alla sua candidatura a premier, malgrado fosse stato per anni sulla lista nera di Washington in quanto ritenuto responsabile morale del massacro di musulmani nel Gujarat), e una considerazione dell’Unione Europea, che sui marò aveva cominciato a far pressioni, più come un blocco commerciale che come interlocutore politico. Ne è stato una dimostrazione il suo viaggio in Europa, che ha toccato Berlino e Parigi (con acquisto di 56 aerei militari Airbus), ma non Bruxelles.  

L’ iperattivismo diplomatico di Modi lo ha visto inoltre stringere alleanze con Tokio e Pechino, e rinsaldare l’influenza nell’area dell’Oceano Indiano con iniziative innovative come il «tour dello yoga». Ma, a parte dare mano libera agli investitori stranieri nel settore delle assicurazioni o della difesa, poco o nulla Modi ha fatto contro la corruzione e la pletorica e inefficiente pubblica amministrazione indiana. Così come non ha realizzato nessuna delle riforme ventilate in una campagna elettorale che, un anno fa, convinse 800 milioni di indiani a votarlo, al punto di fargli conquistare la maggioranza assoluta della Camera Alta e riportando dopo 10 anni al governo i nazionalisti conservatori hindu del Janata Party. Adesso, Modi chiede tempo. Ma alle viste ha le elezioni amministrative di fine anno, e rischia di essere, oltre che apparire, un primo ministro solo al comando, senza un governo efficace alle spalle. Non un bel momento, nonostante i tweet, per l’homo novus dell’India. Per il quale, se l’Europa non ha rilevanza geopolitica, figurarsi l’Italia...

26/05/2015 - antonella rampino

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