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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

20/10/14

Lavoratori… la manovra con trucco e parrucco



Lavoratori.... il simplicissimus


Forse gli strepiti e i trambusti di questi giorni non sono soltanto una normale reazione alla legge di stabilità, ma un chiasso creato ad arte per impedire che si scopra il trucco su più piani messo in piedi da Padoan e Renzi. Un trucco contabile, perché dei 36 miliardi sia in entrata che in uscita, se ne rintracciano finora poco meno di 23 in uscita la metà dei quali dovuti a provvedimenti e normative già in essere (come ad esempio gli 80 euro) e altri frutto di pure ipotesi, mentre  la grande novità è che dei 27 miliardi in entrata, 11 figurano semplicemente come mancata copertura del deficit oggi portato al 2,9% e previsto in precedenza al 2,2% Questo del resto è anche il trucco politico messo in piedi per simulare una violazione del comandamento dell’austerità, per strillare uno scontro con la commissione Ue che comunque vada, qualunque consistenza abbia, è destinato a portare acqua al mulino del premier il quale avrà ancora una volta Bruxelles come alibi anche se in senso opposto a quello di Monti e Letta. Certo, più rischioso come dimostra lo spread, ma lo capisce anche un bambino che non si tratta di una vera entrata o di spesa a deficit, ma di soldi puramente ipotetici.


I due trucchetti resi possibili dal servilismo dei media servono poi sinergicamente a coprire il trucco sociale messo in atto, vale a dire quello grazie al quale si colpisce direttamente la grande massa dei cittadini e soprattutto dei ceti popolari, ancora una volta vergognosamente saccheggiati, con l’aria invece di volerli favorire. Non ci vuole un genio a decostruire il gioco di prestigio e a scoprire dove vadano a parare le diminuzioni di tasse annunciate. Il grosso di questo sfoltimento fiscale, 5 miliardi ( che diventano 2,5 se si prende in considerazione l’insieme della tassazione e dunque i maggiori profitti conseguenti a minori spese) , va ad esclusivo favore delle aziende e soprattutto di quelle più grandi che non dovranno più pagare la parte di Irap calcolata sul numero di dipendenti. Una regalia a Confindustria spacciata con incredibile faccia tosta come provvedimento destinato a far scendere la disoccupazione e la precarietà. In realtà dentro il calo globale della domanda, le aziende non sanno che farsene di nuovi dipendenti, ma possono tranquillamente  risparmiare circa 25 mila euro sul passaggio a tempo indeterminato di lavoratori già assunti con contratti a tempo determinato, insomma un grande risparmio su un turnover  già esistente.  E la cosa non si prefigura come una maggiore stabilizzazione sul lavoro perché contemporaneamente il job act precarizza ogni forma di contratto e autorizza a licenziamenti in qualsiasi momento senza alcuna spiegazione. il tempo indeterminato è stato completamente svuotato dalle tutele che lo accompagnavano.


Ora però sorge un problema, che l’Irap serve a pagare la sanità pubblica e dunque quei 5 miliardi si tradurranno necessariamente o in un aumento della tassazione locale oppure in una diminuzione di servizi, chiusura di ospedali, liste d’attesa più lunghe, meno attenzione ai pazienti, trasporti pubblici tagliati, tutti costi che dovranno essere surrogati dai singoli cittadini. Anzi non è affatto detto che non si verifichi sia l’aumento delle imposte che il taglio dei servizi, perché il governo chiede alle Regioni 4 miliardi di tagli, mentre alle aziende ne toglie 5 sull’Irap, ma solo 2,5 sul totale delle imposte.
La beffa però non finisce qui, si arricchisce di un nuovo capitolo perché la tassazione sulla previdenza integrativa, spacciata come salvezza dalla scomparsa effettiva delle pensioni nel prossimo futuro, viene aumentata dall’11,5 al 20%, costringendo soprattutto i giovani che non hanno altra alternativa a nuovi esborsi. E infine c’è tutto il capitolo del Tfr c he costituisce un vero e proprio furto con destrezza del guappo di Rignano: la trovata di pagare la liquidazione sullo stipendio mensile, per spingere al consumo, è  stata in realtà un pretesto per far scattare un trappolone fiscale. Se si sceglie infatti di mantenere il Tfr così com’è, la tassa sulla rivalutazione annuale aumenterà dall’ 11 al 17%, se lo si verserà in busta paga, la cifra, non più soggetta a rivalutazione, verrà tassata normalmente e non con i  criteri assai più blandi della liquidazione. Se poi, come è pure previsto, uno volesse versare le quote di Tfr nella pensione integrativa subirà, come detto il quasi raddoppio della tassazione.
Insomma una presa per i fondelli ai lavoratori così corale e in sintonia dello spirito del tempo che mi rende sospettoso riguardo alla ribellione del renzianissmo banchiere Chiamparino e mi porta a pensare che si tratti di una commedia delle parti, una falsa tempesta dove già si intuisce il sereno e l’accordo finale sulla testa dei cittadini.

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