Le truppe italiane resteranno in Afghanistan, Libano, Balcani e in un’altra dozzina di Paesi, vanno in Repubblica Centrafricana e il governo vorrebbe mandarli pure in Ucraina. Ma non c’erano i tagli alla Difesa, i bilanci militari da ridurre, gli organici da sfoltire, i jet da dimezzare? Una priorità talmente prioritaria che a quanto pare sulla riduzione degli F-35 stanno litigando in queste ore governo e PD, che molti pensavano fossero la stessa cosa. In attesa che a fine anno il mitico e misterioso Libro Bianco (chi lo redigerà?) ci dica cosa serve davvero alla nostra Difesa l’ipotesi che sembra farsi largo è che il governo possa procedere a un “mezzo annuncio” di tagli al programma del jet americano, utile al PD a guadagnare (o non perdere) voti alle prossime elezioni europee e amministrative che assumono però un ampio valore politico nazionale. Un annuncio scritto con parole misurate che consentano eventualmente di tornare indietro se il Libro Bianco dirà che ci servono assolutamente 90 F-35 o se Washington dovesse arrabbiarsi troppo considerato che, come ha ammesso il generale Christopher Bogdan che guida il programma Joint Strike Fighter, ogni riduzione dei jet venduti all’estero obbliga il contribuente americano a pagare i suoi f-35 il 3% in più.
A Roma l’incertezza sembra regnare sovrana ma la pressione della spending review sui bilanci militari pare così forte che il Ministero della Difesa non ci ha ancora detto cosa compreremo con i pochi fondi di quest’anno anche se già sappiamo che gli ultimi tagli colpiscono non solo gli investimenti ma anche l’esercizio, cioè le voce di spesa che finanzia addestramento, manutenzioni e infrastrutture e che da anni è ai minimi termini. Già ora mancano carburante e ricambi mentre molti reggimenti effettuano solo addestramento fisico, zaino in spalla e marciare, per mancanza di fondi per addestramenti più specialistici. Molti reparti sembrano tornati ai tempi della naja, mancano le munizioni e quelle disponibili sono assegnate per lo più ai contingenti oltremare che potrebbero averne davvero bisogno. In questo quadro apocalittico il governo ha però trovato 5 milioni di euro da buttare al vento per inviare fino a dicembre 50 genieri con ruspe e mezzi tecnici in Repubblica Centrafricana a dare una mano ai francesi nell’ambito di una missione Ue anche se Parigi e Bruxelles ben si guardano dal darci una mano a gestire l’emergenza immigrati e la questione libica.
Non c’è una lira ma spendiamo soldi per missioni che nulla hanno a che fare con gli interessi nazionali. Non potevamo tirarci indietro, ha detto il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti “per un imperativo di natura morale”. Considerato che “l’Italia propugna un ruolo sempre più forte dell’Europa in termini di difesa comune, sarebbe incomprensibile non partecipare a questa missione europea”.
Del resto, anche dove gli interessi nazionali sono in ballo, Roma è riuscita a impiegare al peggio le forze armate e i soldi dei contribuenti spalancando i confini nazionali non a chiunque ne abbia necessità ma solo a chi paga le organizzazioni criminali per oltrepassarli. Niente male quanto a “imperativi morali” e un bel salto di qualità rispetto a quando i militari difendevano i “sacri” confini della Patria. Una considerazione ancor più amara nella ricorrenza dei 100 anni dall’inizio della Grande Guerra.
Invece
di difendere confini e interessi nazionali Roma butta soldi e truppe
per favorire la UE, la Francia o gli Stati Uniti ai quali abbiamo
garantito che nei prossimi tre anni manterremo quasi mille uomini in
Afghanistan. Nonostante l’austerity il governo Renzi è persino pronto a
inviare truppe italiane in Ucraina. La notizia shock l’ha resa nota il
ministro Pinotti in un’intervista a Repubblica. “Se dovesse servire
l’Italia è disponibile anche ad inviare un contingente di peacekeeper”
ha detto il ministro forse dimenticando il miliardo di euro di tagli
annui (per almeno tre anni) cui verrà sottoposta la Difesa. Il governo
taglierà mezzi e manterrà ancora a lungo il blocco degli stipendi a
militari e altri dipendenti pubblici ma troverà i soldi per mandare un
nuovo ARMIR in Ucraina? A fare cosa? Come ha ammesso la stessa Pinotti
“nessuno ha avanzato questa richiesta ma se dovesse servire dobbiamo
essere disponibili anche a questo”. Difficile interpretare il senso di
queste dichiarazioni sia perché non ci sono iniziative per l’invio di
caschi blu in Ucraina sia perché nessuno dei contendenti ha chiesto un
intervento militare internazionale. E anche se ci fosse sarebbe
consigliabile che una forza d’interposizione in Ucraina non fosse
composta da militari russi o della Nato perché fin troppo schierati
dall’una o dall’altra parte. “Non e’ prevista alcuna ipotesi di
missione di peacekeeping sotto egida Onu” in Ucraina ha detto oggi il
ministro degli Esteri, Federica Mogherini, in un ‘question time’ alla
Camera, aggiungendo che “tantomeno sono in discussione iniziative della
Nato in questo senso: nessun tipo di operazione di questo genere e’ in
discussione a livello internazionale”.
Solitamente quando prende il via una missione militare internazionale
ogni singolo Stato valuta il contesto geopolitico in cui questa missione
si inserisce, il mandato politico dell’organismo internazionale che la
guida e gli interessi nazionali in gioco prima di aderirvi. Questo
ovviamente vale per i Paesi che hanno una politica estera. Non è il caso
dell’Italia le cui leadership in 20 anni sono passate dal considerare i
militari uno degli strumenti della politica estera a ritenere che
inviare contingenti militari qua e là costituisca un’alternativa
all’avere una politica estera. Che non abbiamo, come dimostra in questi
giorni, proprio sulla crisi ucraina, l’assoluta indifferenza dei nostri
“alleati” nei confronti degli interessi economici e commerciali italiani
in Russia. Il sottosegretario al Tesoro statunitense David Cohen sta
cercando di convincere gli europei ad aderire a più dure sanzioni nei
confronti della Russia e per riuscirvi va in visita a Londra, Parigi e
Berlino ma ignora Roma. Eppure l’Italia è il secondo partner commerciale
di Mosca e per noi la Russia è il quinto partner con un export di made
in Italy di quasi 15 miliardi euro l’anno scorso. Forse il parere
dell’Italia dovrebbe avere un certo peso, proporzionale ai nostri
interessi in gioco ma ai nostri “alleati” non sembra interessare,
consapevoli come sono che obbediremo comunque agli ordini che vorranno
darci. Come sempre rapidissimi a sacrificare i nostri interessi e a
inviare truppe dove gli altri ci dicono. Ancora una volta “proni a
tutto”.
di Gianandrea Gaiani - 7 maggio 2014
fonte: http://www.analisidifesa.it
Nessun commento:
Posta un commento