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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

04/05/14

Perché l’Est Ucraina non è la Crimea


 

 

 
(foto: Wikipedia)

Quello che sta accadendo nelle città occupate dei filorussi è estremamente più complesso, confuso e potenzialmente pericoloso di quanto non fosse la situazione della penisola crimeana, geograficamente delimitata e abitata da una popolazione per la stragrande maggioranza russa. Gli scontri di Donetsk, Kharkiv e di altre città hanno aperto una nuova fase della crisi ucraina e nessuno può dire con certezza quali saranno le conseguenze per il futuro assetto del paese e le sue relazioni internazionali. Per meglio comprendere le implicazioni di questa situazione è necessario domandarsi quale porzione dell'Ucraina è realmente da includere in questo “Est” in rivola, quali sono le sue divisioni etno-linguistiche, perché le regioni orientali sono così importanti per l’economia del paese, chi le governa e che relazioni ha con Mosca, qual è - se c’è - una strategia russa dietro ai disordini e perché difficilmente potrà replicarsi uno scenario simile a quanto avvenuto in Crimea con un referendum secessionista plebiscitario e una rapida annessione alla Russia.

A differenza della Crimea, l’Est ucraino è un’area dai confini più incerti e dall’identità più eterogenea. Questo articolo del Moscow Times ripercorre la turbolente storia del Donbas a lungo conteso tra Ucraina e Russia e in particolare la questione della città di Odessa, secondo Putin parte della cosiddetta "Novorossia" in quanto non facente parte dell’Ucraina ai tempi della Russia zarista, ma situata al confine con la Moldavia, a ovest. Inoltre, la diversa composizione etnica rispetto alla Crimea rende queste regioni meno favorevoli a una possibile annessione alla Russia come dimostra il sondaggio condotto dal Istituto di sociologia di Kiev.
 
Seppur interessate da una pesante crisi economica, le regioni orientali dell’Ucraina restano le locomotive del paese. La sola regione di Donetsk, che occupa il 5% del territorio nazionale e ospita circa il 10% della popolazione, produce più del 20% del prodotto interno nazionale e un quarto del suo export. Nonostante l’est resti la parte più ricca del paese (mappa) la recente crisi del settore estrattivo, perno dell’economia locale, e la chiusura di diverse grandi fabbriche hanno compromesso le capacità industriali della zona, rendendola per la prima volta dipendente dai sussidi pubblici, come riferisce Deutsche Welle.
 
Appena insediato, il governo di Kiev - per evitare le ritorsioni dell'est dell'Ucraina, tradizionalmente sostenitrice di Yanukovich - ha subito nominato come governatori diversi oligarchi proprietari di grandi imprese nazionali, contando sulla loro influenza (Ria Novosti) Questo, come spiega il Carnegie, è stato permesso dalla prontezza degli oligarchi a cambiare bandiera presentandosi improvvisamente come filoeuropeisti, sostenitori di Euromaidan e quidni antirussi. Come dimostrano le continue dichiarazioni in merito del Presidente Putin (si vedano ad esempio le prime battute della sua diretta alla tv nazionale, questo tema è poco discusso dalla stampa occidentale ma centrale nel dibattito politico russo, che sa da un lato di poter ricattare gli oligarchi, molto dipendenti dagli scambi con Mosca, e allo stesso di poter sfruttare l'ostilità della popolazione nei loro confronti, confermata da sondaggi indipendenti dell'Istituto di sociologia di Kiev.
 
Per capire la strategia russa serve conoscere l’evoluzione della politica estera di Putin: per il professor Galeotti (NYU) è stata estremamente pragmatica durante i suoi primi due mandati (2000-2008), ma molto meno prevedibile già dal 2012, fondata su un’idea autocratica di eccezionalismo del popolo russo che spiega bene il perché della crisi ucraina. Da questa premessa generale tutti gli esperti, tra questi Eugene Rumer del Carnegie, distinguono l’azione russa in Crimea dalla “nuova fase” a cui stiamo assistendo nell’est dell’Ucraina: al contrario che per la penisola, nel secondo caso la Russia non sembra avere alcuna strategia predeterminata e sa di rischiare molto. Nonostante ciò ad opinione del National Interest l'intervento militare nel Donbass non è per niente da escludere.
 
Su modello di quanto avvenuto in Crimea anche le regioni orientali dell’Ucraina vorrebbero tenere un referendum secessionista, verosimilmente l’11 maggio. Tuttavia, difficilmente si ripeterà il risultato plebiscitario crimeano in quanto molte sono le differenze tra i due situazioni. Ad esempio, fa notare il Time, la percentuale di russofili è sensibilmente inferiore e il governo centrale ha avuto molto più tempo a disposizione per inviare forze di sicurezza nella regione orientale. Inoltre, i gruppi armati che occupano i palazzi pubblici e issano bandiere secessioniste non rappresentano gli interessi di quella maggioranza silenziosa che, riporta Aljazeera, si accontenterebbe di poter usare il russo come lingua madre e godere di ampia autonomia all’interno di un’Ucraina più federale.

fonte: http://www.ispionline.it - 30 aprile 2014



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