Mentre il generale Haftar annuncia una nuova
operazione militare su Bengasi, a Tripoli si spacca Alba Libica, a sua
volta in lotta con lo Stato Islamico. Solo l’ONU crede che la fine di
questo dramma sia vicina
Mentre a Skhirat, in Marocco, tra giovedì 17 e domenica 20 settembre è
andato in scena l’ultimo dei teatrini diplomatici tanto cari alla
comunità internazionale – impegnata attraverso la missione ONU in Libia
(UNSMIL) a formare un governo di unità nazionale – di tutt’altro tenore
si è dimostrato il dramma vissuto in Tripolitania e Cirenaica, nelle
stesse ore.
Cirenaica: la nuova operazione di Haftar
Il 19 settembre, il Generale Khalifa Haftar ha annunciato l’avvio di una nuova offensiva militare su Bengasi. L’operazione Hatf (dal nome di una delle potenti spade di Maometto) o Doom
(come scrivono i media internazionali, dal significato non meno
apocalittico) è volta a colpire tutte le milizie jihadiste presenti in
città e prevede una più intensa collaborazione tra le forze di terra e
di aria dell’esercito nazionale libico. Un annuncio foriero di nuove
battaglie e distruzioni (stime UNHCR contano almeno centomila sfollati
provenienti da Bengasi, sui quasi quattrocentomila totali) che stride
con le dichiarazioni secondo cui un accordo tra Tripoli e Tobruk è
“sempre più vicino”.
L’inviato ONU Bernardino Leon ha infatti congedato domenica, in
chiusura dell’ultima sessione del Dialogo Nazionale, i delegati dei due
parlamenti libici (rientrati a Tobruk e Tripoli per vagliare la proposta
con i rispettivi deputati), con la promessa di annunciare l’accordo
finale tra le parti entro le prossime 48 ore. In questo clima,
l’operazione di Haftar è stata ovviamente denunciata dalla comunità
internazionale come un dichiarato atto di ostilità all’iniziativa di
riconciliazione.
Tripolitania: Stato islamico contro Alba Libica
A osteggiare il Dialogo Nazionale, tuttavia, sono giunti nei giorni
scorsi chiari segnali anche da Tripoli: il 17 settembre, durante una
seduta del Congresso Nazionale Generale volta a individuare consensi
sulla lista di candidati da presentare a Leon, la sede del parlamento
tripolino è stata presa d’assalto da uomini armati che hanno interrotto i
lavori. Tra i possibili responsabili del sabotaggio, Libya Herald
ha citato il fervente oppositore dell’iniziativa di riconciliazione,
Salah Badi, già alla guida delle milizie denominate “Alba Libica 2” o
“Fronte della Determinazione” (Sumud), nate da una spaccatura interna alle milizie islamiste riunite sotto il cappello di Alba Libica.
Altre fonti ipotizzano la presenza sempre più tangibile nella
capitale di milizie legate allo Stato Islamico, che da Derna negli
ultimi mesi hanno raggiunto Sirte, che dista 450 km da Tripoli. Il punto
di forza della strategia dell’ISIS (che mina fortemente gli esiti del
processo di riconciliazione nazionale) sta proprio nell’attrarre il
malcontento popolare circa un intervento politico “straniero”, giudicato
come un’ingerenza inaccettabile da molti libici. Al tempo stesso,
l’organizzazione jihadista di Al-Baghdadi punta a raccogliere adesioni
locali nella sua personalissima lotta agli “apostati” di Alba Libica –
come vengono definite le milizie islamiste nell’ultimo numero del Dabiq,
la rivista ufficiale dello Stato Islamico in lingua inglese – mentre la
presenza di ISIS sul territorio libico viene ufficializzata da Abul
Mughirah al Qahtani, presentato come responsabile dello Stato Islamico
in Libia.
Il 19 settembre, a due giorni dall’attacco al Congresso, un commando
armato ha attaccato una prigione che si trova presso l’aeroporto di
Mitiga a Tripoli con l’intento di liberare alcuni detenuti. La prigione è
gestita dal ministero dell’Interno del governo tripolino di Khalifa Al
Ghweil, e controllata dalle milizie di Alba Libica. In questo caso, le
fonti hanno parlato di miliziani legati allo Stato Islamico, sebbene non
sia da escludere l’ipotesi della spaccatura interna tra le varie anime
di Alba Libica, dopo che la formazione ha giurato fedeltà a Salah Badi.
Il nuovo Fronte degli esiliati gheddafiani
Giunge intanto dal Cairo la notizia della formazione di un nuovo fronte politico denominato Nidal
(“La Battaglia”), costituito principalmente da emigrati libici ed ex
membri del regime di Muhammar Gheddafi. Ufficialmente, il gruppo è
guidato dall’ex ambasciatore libico in Arabia Saudita, Mohamed Saeed
Algashatt, sebbene sia da considerarsi più un prodotto del cugino di
Gheddafi e suo fidato responsabile della Sicurezza, Ahmed Qaddaf Al-Dam,
il quale oggi risiede nella capitale egiziana.
Nel comunicato programmatico della nuova formazione politica, il
Comitato Centrale asserisce di voler costruire una nuova Libia
inclusiva, sostenendo l’iniziativa di riconciliazione e suggerendo
un’amnistia generale per tutte le conseguenze della guerra civile. Ma
non esita a criticare i “traditori”, con chiare allusioni a Francia e
Gran Bretagna, che hanno sostenuto la Rivoluzione e contribuito al
crollo del Paese.
di Marta Pranzetti @BlogArabaFenice - 22 settembre 2015
fonte: http://www.lookoutnews.it
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