Benché il Segretario di Stato americano, John Kerry, si
affanni ad affermare che gli aerei russi schierati in Siria avrebbero
solo una funzione di protezione della base aeronavale di Latakia, che si
trova a pochi chilometri dalla linea di fuoco, il coinvolgimento
diretto di forze militari russe a fianco del regime di Bachar Assad è
ormai un dato di fatto. Lo stesso ministro degli Esteri russo, Serghiei
Lavrov, con una telefonata di pochi giorni fa, avrebbe informato il
segretario Kerry circa le mosse di Mosca in Siria, incluso il
rafforzamento del dispositivo di sicurezza, e proposto di avviare una
discussione a livello militare con gli Stati Uniti sulla drammatica
situazione di quel paese .
Mosca intenderebbe riproporre una nuova alleanza con l'Iran, l'Iraq,
la Siria e i loro alleati libanesi Hezbollah per combattere il Califfato
e l’esercito islamico in tutte le sue componenti e più in generale per
contrastare il terrorismo di matrice jihadista. Tutti i tentativi del
Cremlino di coprire il coinvolgimento diretto di soldati russi in Siria
sono stati smentiti dalle prove raccolte sul terreno nelle ultime
settimane dalle intelligence occidentali, arabe e israeliane. Non si
tratta più, infatti, semplicemente di forniture di armi nuove e
sofisticate alle truppe di Assad, ma soldati delle forze speciali russe,
appoggiati dai Mig dell’aviazione di Mosca, sarebbero entrati in azione
a fianco dei soldati dell’alleato siriano in drammatica difficoltà.
Fonti israeliane parlano di oltre mille incursori russi operativi tra
Tartous e Jable, alle spalle di Latakia. E insieme ai pasdaran iraniani
del generale Suleiman, alti gradi dell’esercito russo avrebbero deciso
di sostenere militarmente i peshmerga curdi schierati sul confine tra
Siria, Iraq e Turchia, per contrastare una possibile offensiva dei
jihadisti islamici, sostenuta dai turchi, nel nord della Siria. Nelle
settimane scorse, oltre 90 mila soldati e marines russi sono stati
impegnati in manovre militari al largo delle coste siriane che hanno
coinvolto quasi tutte le unità della flotta russa del Mediterraneo. Alle
esercitazioni ha partecipato anche un battaglione di paracadutisti.
La stabilità della Siria e del suo regime alawita è diventata una
questione di interesse strategico per Mosca, anche perché sono oltre
2500 i russi, di religione musulmana, che hanno aderito al Califfato e
che combattono in Siria tra le file jihadiste. Il Cremlino e i servizi
di sicurezza russi temono che molti tra quei jihadisti d’esportazione
possano rientrare a casa e costituire una grave minaccia interna, con
attentati e azioni tragiche e spettacolari di cui la memoria russa è
ancora viva. Sostenere la battaglia del regime di Assad contro il
Califfato equivale per Mosca a proteggersi e tenere il più lontano
possibile la minaccia terroristica di matrice islamista.
Da molti mesi la diplomazia russa, in Siria e nei paesi vicini, ha
avviato un’iniziativa per favorire il dialogo tra il regime siriano e le
forze dell’opposizione moderata; azione però che si è arenata per il
fermo rifiuto di alcuni gruppi ribelli a trattare con Assad, del quale
pretendono senza condizioni la rimozione. Intensissima è stata anche
l’azione degli emissari di Mosca in Arabia Saudita, in Turchia, in Iraq e
in Iran, paesi in qualche modo fortemente coinvolti nella guerra in
Siria; a quelle capitali, i diplomatici russi hanno proposto un’intesa
militare – diversa dalla coalizione internazionale a guida statunitense –
per debellare le forze del Califfato e i movimenti terroristi islamici
affiliati. Nelle settimane scorse, il vice erede al trono e ministro
della difesa saudita, il principe Mohammed bin Selman, è stato invitato a
Mosca da Putin e il capo della Sicurezza siriana, il generale Ali
Mamlouk, insieme a diplomatici russi, ha visitato Jeddah, Il Cairo, Abu
Dhabi e Mascate, dove ha incontrato i massimi vertici politici e
militari.
Ma l’Arabia Saudita ha gelato le aspettative russe quando il ministro
degli Esteri, Adel al-Jubayr, ha affermato, da Mosca, che la priorità
per il regno wahabita rimane la partenza di Bachar Assad. Stessa
posizione è stata assunta dal primo ministro turco, Erdogan, uno dei più
acerrimi oppositori del regime di Damasco. Mosca ha così deciso di
rafforzare i legami con l'Iran e con il governo iracheno, che invece
condividono la necessità di impedire il rovesciamento del regime di
Assad e consolidare le posizioni dell'esercito siriano. Da Teheran i
Russi hanno ricevuto assicurazioni, a cominciare dall'ayatollah Ali
Khamenei, che la conclusione dell'accordo sulla questione nucleare non
ha modificato il quadro delle alleanze internazionali del regime.
I rapporti e l’amicizia con Mosca restano per gli iraniani strategici
e prioritari; i due paesi condividono interessi in Medio Oriente e
continueranno a lavorare insieme per la pace e la stabilità della
regione. Vladimir Putin ha voluto anche assicurarsi la non interferenza
di Israele sull’azione russa, ricevendo due giorni fa al Cremlino il
primo ministro Benjamin Netanyahu per un incontro a porte chiuse sulla
Siria e sulla lotta al terrorismo islamico. Netanyahu era accompagnato
da tutti i responsabili militari e dell’intelligence del suo Governo:
Putin gli avrebbe chiesto di non ostacolare le manovre delle forze russe
in Siria e di non attaccare le postazioni di Damasco sulle alture del
Golan, per non indebolire ulteriormente l’esercito di Assad impegnato
contro i jihadisti. Sul fronte occidentale, la Casa Bianca e il
Pentagono hanno dovuto riconoscere il fallimento dei programmi di
addestramento delle forze moderate di opposizione a Bachar Assad e
contro l’Esercito Islamico in Siria; dei migliaia di uomini addestrati
dagli americani, solo pochi si sono impegnati contro i jihadisti e molti
hanno addirittura aderito al Califfato.
Anche l’operazione "Tempesta del Sud", l’offensiva lanciata lo scorso
luglio dall’Esercito siriano di liberazione – il fronte delle forze
moderate anti Assad - da Daraa, la città nel sud est della Siria, alle
frontiere con la Giordania, il Libano e Israele, con l’appoggio saudita e
del Qatar, si è esaurita per le resistenze delle forze regolari di
Damasco. Il quadro che risulta dal nuovo scenario siriano porta ad
affermare che la Siria e attraverso di essa la regione è sull'orlo di
una nuova fase; le potenze occidentali e arabe potrebbero ora
accantonare il progetto di far cadere il regime siriano e il suo
presidente, che era stato all’origine di una guerra civile che ha ucciso
fino ad ora oltre duecento cinquanta mila persone, moltissimi
innocenti, donne e bambini, distrutto un paese e portato all’esodo
forzato milioni di disperati. Ma questo non significa che la guerra in
Siria è finita.
di Paolo Dionisi - 24 settembre 2015
fonte: opinione.it
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