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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

26/09/15

Il coinvolgimento russo in Siria



 

Benché il Segretario di Stato americano, John Kerry, si affanni ad affermare che gli aerei russi schierati in Siria avrebbero solo una funzione di protezione della base aeronavale di Latakia, che si trova a pochi chilometri dalla linea di fuoco, il coinvolgimento diretto di forze militari russe a fianco del regime di Bachar Assad è ormai un dato di fatto. Lo stesso ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, con una telefonata di pochi giorni fa, avrebbe informato il segretario Kerry circa le mosse di Mosca in Siria, incluso il rafforzamento del dispositivo di sicurezza, e proposto di avviare una discussione a livello militare con gli Stati Uniti sulla drammatica situazione di quel paese .
Mosca intenderebbe riproporre una nuova alleanza con l'Iran, l'Iraq, la Siria e i loro alleati libanesi Hezbollah per combattere il Califfato e l’esercito islamico in tutte le sue componenti e più in generale per contrastare il terrorismo di matrice jihadista. Tutti i tentativi del Cremlino di coprire il coinvolgimento diretto di soldati russi in Siria sono stati smentiti dalle prove raccolte sul terreno nelle ultime settimane dalle intelligence occidentali, arabe e israeliane. Non si tratta più, infatti, semplicemente di forniture di armi nuove e sofisticate alle truppe di Assad, ma soldati delle forze speciali russe, appoggiati dai Mig dell’aviazione di Mosca, sarebbero entrati in azione a fianco dei soldati dell’alleato siriano in drammatica difficoltà.
Fonti israeliane parlano di oltre mille incursori russi operativi tra Tartous e Jable, alle spalle di Latakia. E insieme ai pasdaran iraniani del generale Suleiman, alti gradi dell’esercito russo avrebbero deciso di sostenere militarmente i peshmerga curdi schierati sul confine tra Siria, Iraq e Turchia, per contrastare una possibile offensiva dei jihadisti islamici, sostenuta dai turchi, nel nord della Siria. Nelle settimane scorse, oltre 90 mila soldati e marines russi sono stati impegnati in manovre militari al largo delle coste siriane che hanno coinvolto quasi tutte le unità della flotta russa del Mediterraneo. Alle esercitazioni ha partecipato anche un battaglione di paracadutisti.
La stabilità della Siria e del suo regime alawita è diventata una questione di interesse strategico per Mosca, anche perché sono oltre 2500 i russi, di religione musulmana, che hanno aderito al Califfato e che combattono in Siria tra le file jihadiste. Il Cremlino e i servizi di sicurezza russi temono che molti tra quei jihadisti d’esportazione possano rientrare a casa e costituire una grave minaccia interna, con attentati e azioni tragiche e spettacolari di cui la memoria russa è ancora viva. Sostenere la battaglia del regime di Assad contro il Califfato equivale per Mosca a proteggersi e tenere il più lontano possibile la minaccia terroristica di matrice islamista.
Da molti mesi la diplomazia russa, in Siria e nei paesi vicini, ha avviato un’iniziativa per favorire il dialogo tra il regime siriano e le forze dell’opposizione moderata; azione però che si è arenata per il fermo rifiuto di alcuni gruppi ribelli a trattare con Assad, del quale pretendono senza condizioni la rimozione. Intensissima è stata anche l’azione degli emissari di Mosca in Arabia Saudita, in Turchia, in Iraq e in Iran, paesi in qualche modo fortemente coinvolti nella guerra in Siria; a quelle capitali, i diplomatici russi hanno proposto un’intesa militare – diversa dalla coalizione internazionale a guida statunitense – per debellare le forze del Califfato e i movimenti terroristi islamici affiliati. Nelle settimane scorse, il vice erede al trono e ministro della difesa saudita, il principe Mohammed bin Selman, è stato invitato a Mosca da Putin e il capo della Sicurezza siriana, il generale Ali Mamlouk, insieme a diplomatici russi, ha visitato Jeddah, Il Cairo, Abu Dhabi e Mascate, dove ha incontrato i massimi vertici politici e militari.
Ma l’Arabia Saudita ha gelato le aspettative russe quando il ministro degli Esteri, Adel al-Jubayr, ha affermato, da Mosca, che la priorità per il regno wahabita rimane la partenza di Bachar Assad. Stessa posizione è stata assunta dal primo ministro turco, Erdogan, uno dei più acerrimi oppositori del regime di Damasco. Mosca ha così deciso di rafforzare i legami con l'Iran e con il governo iracheno, che invece condividono la necessità di impedire il rovesciamento del regime di Assad e consolidare le posizioni dell'esercito siriano. Da Teheran i Russi hanno ricevuto assicurazioni, a cominciare dall'ayatollah Ali Khamenei, che la conclusione dell'accordo sulla questione nucleare non ha modificato il quadro delle alleanze internazionali del regime.
I rapporti e l’amicizia con Mosca restano per gli iraniani strategici e prioritari; i due paesi condividono interessi in Medio Oriente e continueranno a lavorare insieme per la pace e la stabilità della regione. Vladimir Putin ha voluto anche assicurarsi la non interferenza di Israele sull’azione russa, ricevendo due giorni fa al Cremlino il primo ministro Benjamin Netanyahu per un incontro a porte chiuse sulla Siria e sulla lotta al terrorismo islamico. Netanyahu era accompagnato da tutti i responsabili militari e dell’intelligence del suo Governo: Putin gli avrebbe chiesto di non ostacolare le manovre delle forze russe in Siria e di non attaccare le postazioni di Damasco sulle alture del Golan, per non indebolire ulteriormente l’esercito di Assad impegnato contro i jihadisti. Sul fronte occidentale, la Casa Bianca e il Pentagono hanno dovuto riconoscere il fallimento dei programmi di addestramento delle forze moderate di opposizione a Bachar Assad e contro l’Esercito Islamico in Siria; dei migliaia di uomini addestrati dagli americani, solo pochi si sono impegnati contro i jihadisti e molti hanno addirittura aderito al Califfato.
Anche l’operazione "Tempesta del Sud", l’offensiva lanciata lo scorso luglio dall’Esercito siriano di liberazione – il fronte delle forze moderate anti Assad - da Daraa, la città nel sud est della Siria, alle frontiere con la Giordania, il Libano e Israele, con l’appoggio saudita e del Qatar, si è esaurita per le resistenze delle forze regolari di Damasco. Il quadro che risulta dal nuovo scenario siriano porta ad affermare che la Siria e attraverso di essa la regione è sull'orlo di una nuova fase; le potenze occidentali e arabe potrebbero ora accantonare il progetto di far cadere il regime siriano e il suo presidente, che era stato all’origine di una guerra civile che ha ucciso fino ad ora oltre duecento cinquanta mila persone, moltissimi innocenti, donne e bambini, distrutto un paese e portato all’esodo forzato milioni di disperati. Ma questo non significa che la guerra in Siria è finita.

di Paolo Dionisi - 24 settembre 2015

fonte: opinione.it

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