Tanto tuonò che…non piovve. Le vivaci proteste dell'opposizione,
le minacce di un nuovo "Aventino" (il permanente boicottaggio
dell'Aula), i brontolii all'interno della stessa maggioranza, l'accusa
di "attentato alla democrazia" (Berlusconi, ultimo in ordine di tempo),
gli sguaiati dibattiti (con tanto di gesti sessisti): nulla ha impedito a
Matteo Renzi di passare all'incasso della riforma per cui più si è
speso, quella del Senato. Una sorta di "eutanasia assistita", visto che
la Camera Alta ha in sostanza votato per la propria eliminazione.
Il
premier aveva promesso di rottamare una parte del Palazzo, e c'è
riuscito. Il voto di conferma definitiva alla Camera (dove la
maggioranza ha numeri solidi) sarà una formalità. Certo, trattandosi di
una riforma costituzionale, si dovrà andare al referendum, probabilmente
la prossima primavera. Il largo spettro dei contestatori, dai Cinque
Stelle a Forza Italia, dalla Lega a Sel, promette nuove battaglie. Ma
rischia di andare a sbattere una seconda volta. È infatti tale il
risentimento popolare nei confronti della classe politica, continui gli
scandali che l'attraversano, al punto più basso la sua credibilità, che è
difficile immaginare un rovescio alle urne referendarie per il
premier-segretario e il ripristino dell'attuale castello istituzionale.
Tanto più che i futuri "senatori dimezzati" (scelti fra gli eletti
regionali) non guadagneranno un euro in più, prospettiva che non
dispiace certo agli italiani esasperati scandalizzati dall'alto costo
della politica.
Si dirà che la riforma di Renzi parte con un grave
"peccato originale". Peccato politico. Cioè il necessario sostegno dei
transfughi da Forza Italia, quelli che hanno voltato le spalle all'ex
cavaliere per gettarsi nelle braccia di Denis Verdini, il "toscanaccio"
implicato in diversi procedimenti giudiziari, l'ideatore di quello che
fu il "Patto del Nazareno", che portando il suo drappello dalla parte
del premier spera di rimanere sul suo scranno ancora per un paio di
anni, il tempo necessario per riposizionarsi, cercare nuovi alleati,
magari dalle parti del nuovo centro destra di Angelino Alfano, che i
sondaggi continuano a segnalare in via di estinzione. Certo, il PD a
braccetto di Verdini qualche brivido lo provoca, soprattutto nella base
post-comunista. Ma siamo pur sempre nel paese degli Scilipoti e dei
Razzi, che salvarono l'ultimo governo di centro-destra cambiando
disinvoltamente marsina.
Come sarà, come esattamente verrà eletto,
e come opererà il nuovo "Senato dei Cento" è ancora in parte da
scoprire, anche se in linea di principio dovrebbe rappresentare
soprattutto gli interessi delle Regioni e svolgerà sostanzialmente un
ruolo di vigilanza e di stimolo. Ma nel futuro sistema unicamerale non
potrà più votare la sfiducia al governo. E' l'architrave della riforma. E
tutti ricordano come, soprattutto nelle ultime legislature, proprio le
risicate maggioranze a Palazzo Madama fossero una costante graticola per
governi con maggioranze in bilico. Memorabile la telefonata con cui
Berlusconi chiedeva all'allora direttore generale della RAI di far
lavorare alcune "starlette" amiche di senatori da convincere per mettere
in crisi il governo di centro-sinistra.
Al di là dello
spettacolo e del dibattito non certo degni con cui si è arrivati al
varo della riforma, si tratta di una profonda svolta costituzionale,
che cambia i connotati istituzionali del Bel Paese. Soprattutto se non
verrà corretta la riforma elettorale concepita da Renzi per la Camera:
in effetti, così com'è, e soprattutto a causa di uno spropositato premio
di maggioranza per il partito vincente, l'Italia si avvia a un sistema
di "premierato" dagli ampi poteri: formula assai lontana dagli equilibri
studiati 70 anni fa dai "padri fondatori" della Costituzione, che, dopo
l'esperienza del fascismo, tutto avrebbero voluto tranne la possibilità
di "un uomo solo al comando".
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