La ricerca dei responsabili dell’efferato assassinio
al Cairo del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni merita senza
alcun dubbio di venire condotta con il massimo impegno. E bene fa il
nostro governo a sollecitare fermamente le autorità egiziane in tal
senso. Tuttavia, più il tempo passa e più la vicenda appare caricata di
uno spessore politico che ha ben poco a che vedere con quel crimine, e
anche con la spontanea oltre che doverosa partecipazione al dolore dei
suoi genitori e dei suoi familiari. Sorprende inoltre il fatto che di
recente un altro italiano sia stato non meno barbaramente assassinato a
Caracas, in circostanze molto simili, senza che ciò abbia affatto
trovato altrettanta eco sulla stampa del nostro Paese, né altrettanta
mobilitazione da parte del nostro governo.
Alla notizia del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni è
immediatamente scattata in Italia una campagna di stampa contro il
governo egiziano, subito indicato come responsabile più o meno indiretto
dell’assassinio. Che un governo “forte” come quello del generale Adb
al-Fattah al Sisi non abbia un curriculum impeccabile in fatto di
diritti umani, e che disponga di un grande apparato di sicurezza nonché
di servizi e polizie segrete, è semplicemente ovvio. Che però per
questo abbia il controllo assoluto di qualsiasi cosa accada in Egitto è
un’assurda pretesa. A ragione non lo si pretende da alcuno Stato,
nemmeno dalle più consolidate ed efficienti democrazie; né tanto meno lo
si può pretendere da un Paese strutturalmente autoritario come
l’Egitto.
L’assassinio di Regeni è inoltre un crimine che
indiscutibilmente gioca contro il governo di Al Sisi. Se dunque si
dovesse appurare che il ricercatore italiano è stato sequestrato e
ucciso da servizi o da polizie segrete, non si potrebbe se non
concludere che si tratta di un crimine voluto da segmenti dell’apparato
di polizia egiziano che sono schierati contro l’attuale governo. Se
dunque l’obiettivo è soltanto quello di appurare le verità sull’omicidio
di Regeni allora l’Italia dovrebbe assumere un atteggiamento di
collaborazione con il governo del Cairo invece di presumere a priori che
sia il mandante del delitto o in ogni caso il protettore degli
assassini. E’ viceversa evidente che c’è chi punta non tanto a scoprire
chi ha ucciso Regeni e per quali motivi, bensì a far leva sulla vicenda
per mettere in crisi le relazioni fra l’Italia e l’Egitto.
Per meglio capire di quale entità sia la posta in
gioco è utile ricordare che nello scorso agosto in un’area delle acque
territoriali egiziane in concessione all’Eni è stato scoperto un
gigantesco giacimento di gas, ora noto col nome di Zhor, che potrebbe
entrare in produzione già nell’anno prossimo. Si parla di una riserva di
850 miliardi di metri cubi di gas metano, cui si aggiunge un altro
giacimento sottostante che contiene probabilmente petrolio o condensati.
Da Zhor si prevede di estrarre nella fase di massimo sfruttamento da 70
a 80 milioni di metri cubi al giorno, pari a 30/35 miliardi l’anno.
Forte di questa nuova gigantesca risorsa l’Eni si è fatto promotore di
un progetto strategico la cui attuazione muterebbe a vantaggio
dell’Italia l’intero quadro del mercato energetico europeo. L’idea è
quella di creare una rete di impianti grazie a cui avviare verso
l’Europa in modo coordinato gas proveniente sia dai giacimenti egiziani
che da quelli, pure molto importanti ma oggi sotto-utilizzati,
rispettivamente di Cipro e di Israele. Cipro diventerebbe in tale
prospettiva il crocevia di gasdotti e di rotte di navi petroliere,
nonché la sede di impianti di liquefazione e rigassificazione a servizio
di questi giganteschi flussi di gas e di petrolio. L’Italia
diventerebbe perciò la principale porta d’ingresso del gas naturale in
Europa, purché l’attuale rete dei gasdotti europei venga a tal fine
adeguata.
In questo quadro Giulio Regeni viene rapito e ucciso,
e il suo corpo viene abbandonato sul ciglio di una delle autostrade
egiziane più frequentate proprio mentre l’allora ministro dello Sviluppo
Economico, Federica Guidi, si trova al Cairo per definire nuovi accordi
di collaborazione con l’Egitto alla luce delle prospettive aperte dalla
scoperta del giacimento Zhor. Il ministro non può perciò fare altro che
sospendere la visita e rientrare a Roma in segno di lutto. Inizia poi
subito la campagna di stampa di cui si diceva, accompagnata da un
crescente inasprimento dei rapporti italo-egiziani fino al richiamo ieri
a Roma dell’ambasciatore d’Italia al Cairo “per consultazioni”.
La stampa più influente non cessa di invitare il governo Renzi
ad assumere un atteggiamento sempre più duro contro il governo del
Cairo. E “se questo scenario dovesse prodursi”, osservava ieri
(compiaciuto) il Corriere della Sera, “è impensabile possa aver
luogo il vertice inter-governativo tra Matteo Renzi e Al-Sisi,
accompagnato dalle rispettive squadre di ministri, previsto per
quest’anno in una data non ancora stabilita”, ovvero il vertice nel
corso del quale si dovrebbero concludere e siglare i nuovi accordi di
cooperazione nel quadro delle prospettive apertesi con la scoperta del
giacimento Zhor. Stando così le cose, la gamma dei possibili motivi che
hanno armato la mano degli assassini di Giulio Regeni inevitabilmente si
amplia. L’efferato assassinio del giovane studioso - che qualcuno
aveva mandato un po’ allo sbaraglio in uno Stato di polizia a fare
ricerche pericolose per un ricercatore che operava da solo e senza
adeguato accreditamento - potrebbe esser stato voluto da chi è pronto a
tutto per fermare gli sviluppi del processo messo in moto dalla scoperta
di Zhor.
10-04-2016
fonte: http://www.lanuovabq.it
Nessun commento:
Posta un commento