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(Bertrand Russell)

19/03/14

Forti pressioni ONU sull’India che sta decidendo sugli sviluppi del caso Marò


Marò

Secondo quanto rivelato da un’odierna corrispondenza dell’agenzia indiana PTI (Press Trust of India) dal Palazzo di Vetro a New York, il Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite John Ashe ha informato l’Italia del suo impegno a sollevare con l’India la questione dei due Marò italiani che gli indiani ritengono responsabili dell’uccisione due pescatori keralesi, durante la sua visita di tre giorni avviata oggi in India. L’ex vicepremier italiano ed attuale ministro dell’Interno del governo Renzi Angelino Alfano s’era incontrato ieri con il dr. Ashe mettendolo al corrente di “una situazione non più sostenibile per un caso che si trascina irrisolto da oltre due anni”.
Il presidente Ashe ha assicurato Alfano che nel corso della sua visita ufficiale in India, durante la quale incontrerà tra gli altri il primo ministro indiano Manmohan Singh ed il ministro degli Esteri Salman Khurshid, nulla lascerà di intentato per sollevare la questione della liberazione dei due fucilieri italiani. In precedenza Alfano aveva anche contattato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ma secondo una portavoce della segreteria UN il problema dei Marò non era stato accennato in quella occasione, perchè si era parlato solo delle garanzie italiane per il rispetto dei diritti di accoglimento e della dignità dei rifugiati politici costretti ad attraversare il Mediterraneo per arrivare sulle nostre coste. In quella occasione Ban Ki-moon aveva “espresso preoccupazione per alcune notizie relative al trattamento dei migranti, soprattutto donne, nei campi di accoglienza ed aveva sottolineato la necessità di garantire i loro diritti umani”, ma al contempo aveva addolcito la pillola del rimbrotto alle nostre autorità con uno sperticato elogio dell’Italia “per il suo significativo contributo al mantenimento della pace, alla lotta contro la criminalità organizzata e per gli sforzi sul fronte dell’antiterrorismo, in particolare in Nord Africa, nel Sahel e nelle aree del Corno d’Africa”, ringraziando altresì l’Italia per l’accoglienza offerta ad un gruppo di ospiti di Camp Hurriya. Si ricorderà che appena qualche giorno fa, nel quadro dell’azione umanitaria promossa dal Ministero degli Esteri insieme al Ministero dell’Interno, erano arrivati in Italia sette perseguitati politici iraniani provenienti da Camp Hurriya, in Iraq, che si sono aggiunti agli 8 già ospitati in precedenza. L’accoglienza nel nostro Paese risponde ai numerosi appelli delle Nazioni Unite per una soluzione condivisa e rispettosa dei diritti umani per la vicenda degli ex-residenti di Camp Ashraf, che era stata promossa dalla Farnesina in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).


Insomma mai come in questo momento tra ONU ed Italia intercorrono relazioni ottime ed improntate a stabilire rapporti amichevoli ed ispirati a sincero spirito di grande collaborazione. Quando un mese fa la Bonino chiese l’appoggio delle Nazioni Unite per i Marò, la reazione di Ban fu gelida e disarmante e si limitò ad auspicare che i due Paesi, l’Italia e l’India, potessero risolvere in via amichevole un problema bilaterale. Ma si vede che nelle ultime settimane molte cose sono cambiate. Intanto sono cambiati il governo e la ministro degli Esteri, il che sulla base dei fatti registrare dal nuovo corso instaurato dai nuovi arrivati a Palazzo Chigi non è stato poco. Già c’era stata una telefonata con Ban Ki-moon nel corso della quale il nuovo premier Renzi aveva incassato l’incondizionato appoggio del segretario generale ONU e la promessa del “massimo impegno delle Nazioni Unite per una rapida ed equa soluzione della vicenda”. Adesso quel “massimo impegno” sollecitato dall’Italia sta diventando quella marcia in più sulla strada dell’internazionalizzazione della vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone voluta dal nuovo esecutivo e più volte ribadita dalla nuova ministro degli Esteri Federica Mogherini, anche in un suo intervento diretto al Senato. Renzi aveva giustamente sottolineato a Ban ki-moon, con una decisa presa di posizione che nè Terzi, nè la Bonino si erano mai sognati di prospettare a Ban Ki-moon che “non ne sapeva molto dei Marò italiani”, circa “l’arbitrarietà della detenzione in India dei due fucilieri”, ribadendo “l’aspettativa che le Nazioni Unite possano contribuire ad una svolta per trovare una giusta soluzione della questione”. Aspettativa ripagata da Ban, che ha assicurato l’impegno dell’Onu, consapevole e preoccupato anche delle “gravi implicazioni” che può avere la vicenda dei militari italiani “sulle operazioni di contrasto alla pirateria condotte dalla comunità internazionale” sotto l’egida dell’ONU che è totalmente impegnata a tutelare e promuovere queste attività.
Tutto questo segue l’aperto sostegno recentemente espresso per la causa dei Marò dalla Ue, dal segretatio generale della Nato, dal responsabile della politica estera della Comunità Europea Catherine Ashton che due settimane fa aveva anch’essa sollecitato l’intervento di Ban Ki-moon nel corso della sua visita al Palazzo di Vetro, al sostegno incassato dal governo degli Stati Uniti ed a quello espresso direttamente al governo indiano dall’ambasciatore tedesco a New Delhi. Senza dire della dura denuncia da Ginevra dell’Alto Commissario ONU Navanethem Pillay della grave violazione dei diritti umani dei Marò perpetrata dall’India, annunciando contestualmente l’avvio di un’apposita indagine a tale proposito. Insomma sembra trovare solidi presupposti l’auspicio che finalmente l’India, dopo due anni di rinvii, acceleri i tempi per risolvere il problema Marò che, come ha ammesso la stessa sottosegretario agli Esteri indiana Sujatha Singhoggi, “ha complicato le nostre relazioni con l’Italia, ha compromesso la posizione dell’India a livello internazionale e bloccato il corso della giustizia nazionale”.


Mentre scriviamo questa corrispondenza, il governo centrale dell’India si appresta a scoprire le sue carte sul tavolo della Corte Suprema. Ancora ieri il ministro della Difesa A.K. Antony aveva avvertito per l’ennesima volta che “per l’incidente in cui morirono due pescatori indiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone saranno processati in base alle leggi indiane e nessun compromesso è possibile, malgrado il pressing dell’Italia che, tra le varie ipotesi nelle settimane scorse, ha evocato la possibilità di ricorrere ad un arbitrato internazionale per risolvere la vicenda”. Ricordiamo che il ministro Antony (che per combinazione si chiama come il peschereccio delle vittime) è il capo di quel gabinetto della Difesa dell’Unione Indiana farcito di funzionari, specie del settore dell’aviazione militare, accusati di aver (ricattato la Finmeccanica e) preteso, e già parzialmente intascato, oltre 5 milioni di dollari di tangenti per la fornitura dei 12 super-elicotteri AgustaWestland AW 101, un contratto da 556 milioni di euro poi andato in fumo a seguito del procedimento giudiziario in corso presso il tribunale di Busto Arsizio, con atti girati alla procura generale dell’India per rogatoria internazionale su richiesta di quest’ultima, intenzionata a processare per corruzione i suddetti funzionari. Appare assai probabile che lo scandalo finirà per coinvolgere i massimi vertici politici del Ministero della Difesa indiano (dei quali i giudici italiani direbbero che non potevano non sapere), ma è comunque certo che se in questo momento c’è uno in India cui conviene attirare l’attenzione sul caso Marò, sperando altresì che non si risolva in tempi brevi, ed a far volteggiare dense volute fumogene attorno al caso AgustaWestland, questi è il signor A.K. Antony, originario del Kerala ed amico personale del governatore di quello stato dell’estremo meridione dell’India, Oomen Chandy, che nel 2012 riottenne la sua elezione cavalcando strumentalmente e demagogicamente il caso Marò, promettendo ai tre milioni di pescatori del Kerala che “i loro fratelli uccisi” sarebbero stati “adeguatamente vendicati” e che i militari italiani “l’avrebbero pagata cara”.
E’ però opinione generale che, nonostante incomba sul caso l’avvoltoio Antony, oggi la Procura Generale ufficializzerà la decisione del governo centrale dell’India di rinunciare alla legge per la repressione della pirateria Sua Act 2002, procedendo alla formulazione di capi d’accusa con gli strumenti offerti dalla legge ordinaria indiana. Il procuratore generale G.E. Vahanvati aveva formalmente promesso martedì della scorsa settimana al giudice B.S. Chauhan che in merito avrebbe presentato un documento entro il venerdì successivo, in attesa del placet finale del ministero della Giustizia. Ma così non è stato, per cui la consegna dell’affidavit (nella common law di stampo angloamericano è una deposizione scritta avente valore di prova o di testimonianza) contenente la road map indiana che deve portare all’incriminazione dei Marò dovrebbe avvenire oggi stesso presso la Cancelleria del tribunale, almeno questo è quello che si spera succeda.
In aula è già stata preannunciata l’assenza dell’ambasciatore d’Italia Daniele Mancini, come noto richiamato a Roma “per consultazioni” il 18 febbraio scorso, e dell’inviato speciale del governo per i Marò Staffan de Mistura, impegnato a mettere a punto con la “task force” nominata dal nuovo governo Renzi la strategia più adatta per riportare i Marò a casa il più presto possibile, incluso il ricorso ad un arbitrato internazionale mirato al riconoscimento della giurisdizione italiana sul caso. Il perno delle discussioni dell’odierna udienza, salvo rinvii, sarà il definitivo seppellimento dello squallido capitolo costituito dal tentativo indiano di accusare Latorre e Girone con una legge concepita per pirati e terroristi, che implicava una richiesta automatica di pena di morte ed il capovolgimento dell’onere della prova, ma che permetteva agli indiani di aggirare il quesito della competenza giurisdizionale, perchè per atti di pirateria il limite delle acque territoriali si estende da 12 a 24 miglia. Si farà quindi riferimento solo al Codice Penale ed a quello Criminale dell’India, anche se continua a non essere chiaro se l’agenzia anti-terrorismo, la famigerata NIA, sarà ancora della partita o se il dossier dell’istruttoria sarà affidato ad altra agenzia, presumibilmente alla CBI (Central Bureau of Investigation), cioè l’equivalente indiano dell’FBI degli Usa.
Le solite “fonti” anonime che hanno “gestito” l’informazione per i media indiani in questi mesi hanno lasciato intendere che domani il procuratore G.E. Vahanvati tenterà di convincere la Corte Suprema che escludere la NIA dal procedimento significherebbe far accumulare al processo un forte ritardo, ipotesi che la difesa italiana respingerebbe con forza contribuendo ad accentuare quel forte clima di contrasto che regna sulla vicenda tra i due Paesi. Una evenienza che noi abbiamo già denunciato in un’altra corrispondenza dal titolo auto-esplicativo: “Odiosa vendetta della NIA contro i Marò: il processo o lo fate con noi, o niente”, un vero ricatto che secondo noi va comunque respinto, certi come siamo che se appena si entrasse nel merito nè la Corte Suprema, nè il tribunale ordinario chiamato a condurre il processo potrebbero esimersi dal concedere ai nostri Marò la piena libertà di movimento dietro l’impegno, garantito ad esempio con una congrua cauzione, di presenziare al dibattimento se e quando questo avrà luogo. Perchè se ai Marò ed alla loro difesa fosse finalmente consentito di parlare non avrebbero alcuna difficoltà a dimostrare la loro estraneità ai fatti, costringendo così inquirenti e magistrati indiani a decretare il loro proscioglimento.
Certo le pressioni di verso opposto non mancano. Mentre si attende l’esito di questa udienza che può rivelarsi decisiva per le sorti dei Marò, Antony, che è candidato nelle imminenti elezioni politiche indiane, ha appena tenuto un comizio nel Kerala nel corso del quale ha negato qualsiasi “ammorbidimento” della posizione indiana ed ha così tuonato contro i Marò: “Stiamo andando avanti su questa vicenda in base alle leggi indiane e non faremo marcia indietro, nè sconti. Gli Italian marines saranno processati con le leggi del nostro Paese e rischiano una condanna sino a dieci anni di prigione”. Can che abbaia non morde, di solito si dice. Anche perchè presto A.K.Antony dovrà abbaiare, molto e molto forte, per non rimetterci le penne per un altro motivo che lo riguarda direttamente, e smetterà di abbaiare alla luna impegnato come sarà a giustificare quei 5,4 milioni di dollari che svolazzavano nel suo ministero. A quel punto, vedrete, dei Marò si dimenticherà completamente.

Di Rosengarten, il  

fonte: http://www.qelsi.it

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