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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

16/03/14

Il denaro sporco dello IOR finisce nei paradisi fiscali


Lo IOR, l’Istituto Opere Religiose noto come la banca del Vaticano, in queste ore è il teatro di una delle più grandi operazioni di “ripulitura di denaro nero” della storia. Ad affermarlo è un non meglio identificato “investigatore anonimo” che ha rilasciato l’esplosiva confidenza ai due giornalisti del Fatto Quotidiano, Marco Lillo e Valeria Pacelli. La banca vaticana è costretta a un giro di vite sui suoi conti correnti, finora rimasti inviolabili, dal nuovo corso imposto dal titolare del Soglio di Pietro, papa Francesco, e dalla stretta internazionale sulle regole di trasparenza bancaria.


Ior scandali


Invece di collaborare con l’Agenzia delle Dogane e con le autorità italiane come la procura di Roma e la Banca d’Italia, comunicando i nomi dei correntisti occulti, i banchieri di dio starebbero favorendo il trasferimento di centinaia di milioni di euro verso paradisi fiscali come la Svizzera. Gli spalloni con le valigie cariche di banconote che usciranno fisicamente dalle mura vaticane, ritrovandosi nell’ostile territorio italiano, sono comunque solo una minoranza. Questa romantica immagine da film è stata sostituita dai più pratici bonifici estero su estero. Da qualche anno, infatti, lo IOR ha trasferito la sua tesoreria, ovvero il denaro contante, presso la filiale tedesca di Francoforte della banca Jp Morgan. Una furbata che non permetterà al fisco italiano di intercettare il denaro sporco. Sporco perché frutto di evasione fiscale ma, soprattutto, perché di provenienza occulta, non esclusa quella criminale.
D’altronde la storia scandalosa della banca vaticana annovera nei suoi annali nomi del calibro del monsignor Joseph Marcinkus, di Roberto Calvi e di Michele Sindona. Mafia, massoneria e poteri occulti da sempre interessati a nascondere i loro tesori nelle casse della Santa Sede. E ancora oggi, nonostante l’apparente sintonia generale con il pauperismo di Bergoglio, le resistenze all’interno dei Palazzi vaticani sono fortissime. Una guerra intestina che la decisione di papa Francesco di nominare nel giugno 2013 due uomini di sua fiducia in posti chiave – monsignor Battista Ricca “prelato dello IOR” e il cardinale salesiano Raffaele Farina presidente della “pontificia commissione referente” – non è riuscita a sedare, ma ha forse acuito.
Dietro la figura del presidente dell’Istituto, Ernst von Freyberg (successore dello “sfiduciato” Ettore Gotti Tedeschi), si celano evidentemente forze che neanche il papa buono riesce a controllare. Quelli che qualcuno identifica come i “tradizionalisti”, disposti a tutto pur di evitare l’ingresso della massoneria in Vaticano (come se in passato non fosse mai accaduto). Prova del marcio nascosto nello IOR sono le infinite inchieste giudiziarie aperte dalla procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone. Alcuni filoni sono già stati chiusi, ma altri potrebbero portare alla condanna di personaggi come Paolo Cipriani e Massimo Tulli (rispettivamente ex direttore) e vice dello IOR, e dell’avvocato Michele Briamonte.
E poi, ci sono i quasi 500 milioni di euro depositati nei conti IOR, svaniti nel nulla tra il 2009 e il 2012, secondo quanto ricostruito dalla Guardia di Finanza. Un fuggi fuggi generale di capitali più o meno sporchi rinvigorito dalla lettera che a settembre scorso il presidente Freyberg ha spedito a 1250 correntisti per avvisarli che gli unici conti ammessi da oggi nella banca vaticana sono quelli di “istituzioni cattoliche, ecclesiastici, dipendenti vaticani e diplomatici accreditati presso la Santa Sede”.
Una storia ancora tutta da scrivere che, per il momento, si chiude con una beffa per il fisco italiano. L’Uif, l’Autorità antiriciclaggio di Bankitalia, ha chiesto al suo omologo vaticano, l’Aif, i nominativi dei correntisti in fuga. Il direttore Aif, René Brulhart si è dimostrato collaborativo, raccontano ancora Lillo e Pacelli, fornendo i dati di un cliente con un deposito di ben 8 milioni di euro. Naturalmente tutti dichiarati e tassati fino all’ultimo penny. La classica eccezione che conferma la regola.

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