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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

31/12/14

India: sui marò strategia italiana ribaltata con la scelta di puntare tutto su Modi

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Nella lunga vicenda dei due marò, siamo tornati alla casella di partenza, al febbraio 2012: tutto è nelle mani della benevolenza dell'India politica e giudiziaria. Si può sperare che questa volta vada meglio: il governo indiano in carica, guidato da Narendra Modi, è più disposto di quello di allora a trovare una soluzione condivisa.
Il dato di fatto, però, è che a dare le carte continua a essere solo Delhi: la strategia per strapparle l'iniziativa, o almeno per condividerla, era stata impostata da Emma Bonino quando era ministro degli Esteri del governo Letta ed era stata portata avanti da Federica Mogherini, prima di trasferirsi a Bruxelles, e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Fino a poco più di tre mesi fa: poi, la questione è stata presa in mano dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, la strategia è stata abbandonata e tutto è stato riportato su un piano esclusivamente politico tra i governi dei due Paesi; un rapporto nel quale l'India è in posizione di forza e detta modi e tempi. Con risultati pessimi per Salvatore Girone, per Massimiliano Latorre e per la reputazione internazionale dell'Italia, come si è visto nei giorni scorsi. Ora si può fare il punto su ciò che sta avvenendo in questi giorni.
Anche perché la vicenda ha assunto una valenza sempre più rilevante nella politica italiana dopo che Matteo Renzi ha criticato gli "inutili show" di alcuni "ministri dei governi precedenti", riferendosi all'ex titolare degli Esteri Giulio Terzi e forse a Emma Bonino; e ha detto che il governo di Delhi "nelle ultime ore ha aperto un canale di confronto diretto", con ciò di fatto smentendo i suoi ministri Pinotti e Paolo Gentiloni (Esteri) che avevano mostrato forte irritazione con l'India. Fin dall'estate, sul tavolo delle autorità indiane c'è una proposta di Roma per arrivare a una soluzione condivisa.
Al tempo, aveva una sua logica e rispondeva a una strategia: ingaggiare in un confronto politico il nuovo governo di Delhi e in parallelo preparare il ricorso all'arbitrato internazionale. Due iniziative che si rafforzavano a vicenda: l'arbitrato avrebbe fatto pressione sull'India affinché accettasse un compromesso e la proposta di accordo bilaterale sarebbe stata, se respinta, un'argomentazione in più per ricorrere all'arbitrato.
Questa costruzione è stata inspiegabilmente abbandonata. La decisione di azzerarla è avvenuta in contemporanea alla scelta di Renzi di prendere direttamente in carico la questione. Il che ha significato mettere ai margini i ministeri degli Esteri e della Difesa, fino ad allora alla guida del caso, e puntare tutto sulla ricerca di un rapporto diretto con Modi, in particolare con Ajit Doval, consigliere per la Sicurezza nazionale, una delle super spie più famose d'Asia.
E ha comportato il congelamento del team giuridico di avvocati internazionali, guidato dall'inglese Sir Daniel Bethlehem, che nei mesi precedenti aveva preparato la soluzione italiana per arrivare a un compromesso con l'India o all'arbitrato internazionale unilaterale. A quel punto, la gestione del caso si è trasformata nell'esclusiva ricerca di una disponibilità della parte indiana a risolverlo. Il 16 dicembre scorso, è arrivato il risultato della svolta impressa da Renzi. Gli avvocati dell'Italia hanno presentato due mozioni alla Corte Suprema di Delhi con le quali chiedevano un prolungamento della licenza di Latorre e un permesso natalizio di tre mesi per Girone. Evidentemente incoraggiati dai colloqui con Doval.
In realtà, l'avvocato dello Stato indiano si opponeva alle mozioni. E il presidente della Corte Suprema si mostrava irritatissimo dalla mossa italiana, letta come il tentativo di parte politica di imporre una soluzione violando l'autonomia della Corte: consigliava agli avvocati italiani di non presentare nemmeno le mozioni; consiglio umiliante ma perentorio. Tradotto: il governo Modi - come ha poi ribadito pubblicamente - vorrebbe "una soluzione diplomatica condivisa" con Roma ma deve rispettare l'indipendenza della sua magistratura, la quale lo ha fatto sapere con chiarezza. Un Paese europeo che non consideri l'India pienamente uno Stato di diritto è destinato a sollevarne gli automatici riflessi anticolonialisti.
Alla fine, insomma, il nodo mai sciolto della vicenda è venuto al pettine: la confusione tra aspetto diplomatico del caso e aspetto giudiziario. Il nuovo pasticcio creato con la svolta degli ultimi mesi ha fatto tornare alla casella di partenza questo triste gioco dell'oca. Perché ora, tra l'altro, l'Italia si sta alienando la possibilità di dare inizio a un arbitrato internazionale unilaterale, impossibile da chiedere se con il governo di Delhi ci sono ancora aperte trattative, come hanno confermato gli indiani e lo stesso Renzi due giorni fa.
Solo quando una trattativa è, dopo più tentativi, fallita, il ricorso all'arbitrato unilaterale ha chance di successo, non prima: quella era la strategia portata avanti fino ad alcuni mesi fa e poi abbandonata dal governo di Roma. Ora, resta solo la possibilità che Narendra Modi accetti un accordo, magari per un arbitrato su dove tenere (in Italia o in un Paese terzo) il processo a Girone e Latorre. Siamo in attesa della bontà sua.

di Danilo Taino - 31 dic. 2014
fonte: http://www.ristretti.org 

CASO MARO': " UN SEGNALE FORTE" disimpegno dalle missioni antipirateria, se non ora quando ?






3 Settembre 2014: Le prossime missioni anti-pirateria dell’Italia saranno legate al positivo esito della vicenda Marò. Non è escluso che, una volta concluse le missioni ancora in corso, l’Italia decida di non partecipare più ad alcuna operazione.
Il termine naturale delle missioni anti-pirateria Ue e Nato nell’oceano Indiano è fissato per il 31 dicembre. Dopo questa data, l’Italia potrebbe decidere di disimpegnarsi qualora dagli organismi internazionali non arrivi un sostegno concreto per risolvere la questione Marò.
E’ quanto deciso dalle Commissioni Difesa ed Esteri della Camera, che ha approvato all’unanimità la riformulazione di un emendamento del leghista Gianluca Pini che invece prevedeva la sospensione immediata. L’emendamento in questione approderà domani in Aula a Montecitorio, assieme al decreto di proroga delle missioni internazionali.

Soddisfatto il presidente della Commissione Difesa alla Camera, Elio Vito, che su facebook commentò:

'' Esprimo grande soddisfazione per l’approvazione da parte delle Commissioni Difesa ed Esteri dell’emendamento sottoscritto da tutti i Gruppi che subordina la nostra partecipazione futura alle missioni antipirateria agli esiti della vicenda dei Marò ancora trattenuti in India.
Si tratta di una modifica importante che impone alla comunità internazionale, all’Unione Europea ed alla NATO di intervenire a sostegno del nostro Paese e del diritto internazionale per la positiva conclusione di una vicenda ingiusta e dolorosa che è proseguita già per troppo tempo''.


E ora, cari Renzi, Pinotti e Gentiloni cosa si fà ? Cosa farà il Governo ? Cosa vuol fare il Presidente della Repubblica,  Comandante in Capo delle Forze Armate Italiane ?

Assisteremo finalmente a un sussulto di sovranità nazionale, di  dignità ?  l'Italia rimarcarcherà  il proprio ruolo come Stato membro dell'Unione europea e presso gli Organismi internazionali ai quali tanto ha dato e da in termini di uomini, mezzi e contributi economici ?  O continueremo ad  assistere a questa incredibile, incommentabile farsa caratterizzata da rinvii e furberie da una parte, ed inconcludenti azioni e annunci dall'altra ?  Non è durata già troppo ?
Questo attaccare ritirandosi, dire e non fare, restare proni, inermi e subire l'arroganza indiana è un atteggiamento ignominioso, odioso,  una ignobile codardia che ci umilia  di fronte al mondo intero, e ci condanna ad una vergogna senza fine ........ e non è più tollerabile.

L'Italia torni ad essere Nazione, DIA QUESTO FORTE SEGNALE ! Allontani  il sospetto,  per molti convinzione, che l'inazione finora manifestata sia voluta,
  anche per inconfessabili interessi tra Roma e New Delhi che impediscono all’Italia di agire per il ripristino del diritto internazionale.
E poi abbracci le ragioni dell'innocenza ..... http://www.seeninside.net/piracy/https://www.youtube.com/watch?v=CEnSplRKtUI /  http://www.casacomunecampanile.it/news.asp?IDnews=1750 ..... Gli indiani devono presentare un capo di imputazione avvalorato da prove, certe e non manipolate, altrimenti si pretenda l'immediato rilascio e rientro in Patria di Salvatore Girone con Onore, e con le scuse ufficiali della Repubblica dell'India. 

'' Chi deve essere assicurato alla giustizia è invece il gruppo politico-criminale del Kerala interno al Partito del Congresso ed esponenti del precedente governo che hanno usato i due fucilieri per scopi politici,  chi ha di fatto consegnato due servitori dello Stato nelle mani di una potenza straniera,  e qualche infame traditore e traffichino di casa nostra. ''

 







'' PATRIA E ONORE ''

 





e.emme - 31 dicembre 2014

30/12/14

Kabul addio


4-pattuglia in avanzamento

Reportage di Andrea Nicastro da Il Corriere della Sera del 28 dicembre 2014
Occhi a mandorla, viso aguzzo da volpe, il colonnello Sultan Ahmad Warasi incarna lo stereotipo dello spione. E’ il responsabile dell’intelligence militare del 207esimo Corpo d’Armata afghano ad Herat. Tentenna solo sui nomi di un paio di governatori-ombra talebani, perché, si scusa, «quelli precedenti li abbiamo eliminati qualche mese fa».
Per il resto sfodera solo certezze. «I talebani sono infiltrati ovunque. In città obbediscono a Wali Mahmad spostato dal Mullah Omar da Uruzghan a qui. I finanziamenti vengono da Pakistan, Iran, oppio e hashish. Il loro numero cambia con le stagioni, ma in quest’area si aggira intorno ai diecimila combattenti. Ora che gli italiani hanno smesso di pattugliare e di aiutarci nelle attività ai check point facciamo più fatica a contenerli perché ci mancano armi e attrezzature».



Rincara la dose il tenente colonnello Jamal Abdul Naser Sidiqi: «Un mio soldato è stato ucciso tre giorni fa perché gli si è inceppata l’arma davanti a un talebano. Non abbiamo metal detector per individuare le trappole esplosive né sistemi elettronici che possano bloccare i telecomandi. Il fatto è che i loro attacchi costano meno delle nostre difese. Su noi ufficiali hanno posto addirittura delle taglie: seimila dollari per un colonnello morto, diecimila per un comandante di kandak», battaglione. Come d’abitudine il colonnello batte cassa, ma sono i numeri, in fondo, a dargli ragione.
L’«afghanizzazione» della guerra permette di risparmiare denaro occidentale, ci sono meno occhi elettronici, meno dirigibili, meno droni e meno intercettazioni per captare conversazioni sospette, ma per l’esercito afghano le perdite sono cresciute del 40 per cento rispetto al 2013.



«La settimana scorsa sono stati uccisi tre ufficiali afghani fuori servizio — conferma il comandante del contingente italiano generale Maurizio Scardino — le killing mission , gli omicidi mirati, sono un problema reale». Con ancora meno supporto internazionale che accadrà? Per dei militari, «ritiro» è una parola tabù, assomiglia troppo a «sconfitta». Preferiscono «ripiegamento» e nel caso afghano hanno tecnicamente ragione.
Non sono i talebani a cacciare la coalizione Nato, è la politica. Siamo noi tax payer a non essere più disponibili a pagare il conto. Dopo tredici anni di combattimenti, 3.500 morti occidentali in divisa (54 italiani), la coalizione a guida americana ripiegherà entro un anno su Kabul. Il piano è che nel 2017 se ne vada dall’Afghanistan anche l’ultimo occidentale e, nel frattempo, si faccia sostanzialmente solo addestramento.Con i soldati Nato anche le Ong umanitarie si stanno ritirando. Rapimenti e attacchi suicidi arrivano ovunque, restare è un rischio.



La politica ha smesso di fingere che l’intervento internazionale abbia pacificato il Paese. Il conto dei burqa per le strade non è più il termometro sul rispetto dei diritti umani anche perché sono sempre meno i luoghi che gli occidentali, in divisa o meno, riescono ad osservare.«Le priorità geostrategiche sono cambiate — ammette l’ambasciatore a Kabul Luciano Pezzotti —.
Ora abbiamo la Libia e l’Isis di cui preoccuparci. Però sono convinto che l’assistenza a Kabul continuerà. Egitto e Pakistan, ad esempio, hanno forze armate sostenute dagli Stati Uniti, perché non anche l’Afghanistan?». A tredici anni dall’invasione gli Stati Uniti hanno speso, a seconda delle stime, da 700 a 1.500 miliardi di dollari. Tre, quattro miliardi l’anno potrebbero evitare un caos post ritiro stile iracheno. Forse. L’Italia si sta dimostrando tra gli alleati americani più fedeli.



Per tutto il 2015 abbiamo deciso di lasciare più uomini persino dei britannici: 500 di media contro 200, per una spesa complessiva di 160 milioni.
I vantaggi dei nuovi ordini sono almeno due. Primo, uscendo poco da Camp Arena si rischiano meno imboscate. Secondo, c’è finalmente acqua calda per tutti perché dove vivevano 4 mila soldati ce ne saranno appena 750, quanto basta, con l’aiuto di 500 spagnoli, per difendersi. Gli svantaggi sono invece evidenti nelle battute di chi sa di dover restare fino a ottobre quando è previsto che gli ultimi 70 militari lascino Herat per Kabul.
«Finirà come a Saigon, scapperemo dai tetti con i talebani al piano terra». Esagerato, ma non troppo. «Fino a che rimarranno i Mangusta — dice Agostino Iacicco, capitano pilota dei nostri elicotteri d’attacco — avremo un deterrente importante». Poi bisognerà inventarsi qualcosa.



Soprattutto per superare l’estate, la tradizionale stagione dei combattimenti. Spaventa l’idea di lasciare i soldati afghani a guardarci le spalle quando l’ultimo aereo prenderà il volo.
Già ora gli italiani girano per la base con la pistola nella fondina. Il timore è di «green-on-blue», verde su blu, cioè che qualche soldato afghano si metta a sparare sui colleghi occidentali come è successo già decine di volte con quasi 150 vittime compreso un generale americano.E gli afghani? Come si preparano al ritiro Nato? Il mese scorso il vecchio mujaheddin Ismail Khan ha organizzato ad Herat un raduno con un migliaio di ex combattenti. «Dobbiamo organizzarci — li ha arringati —. Senza gli stranieri, l’esercito afghano è inefficiente. I talebani arriveranno per tagliarci la gola. Riprendiamo le armi».
Foto Isaf, RC-W

di Redazione30 dicembre 2014
http://www.analisidifesa.it

Islam maschilista prima che integralista e il femminismo distratto


Marsonet femminista: sull'altra metà del cielo nessuna differenza tra emirati, sultanati e fondamentalismi

Non solo Isis e Califfato che le schiavizza ma l’Arabia Saudita che le processa per ‘terrorismo’ per aver guidato un auto. Le donne e l’Islam, la condizione generale, le poche eccezioni e la sospetta ‘distrazione’ del femminismo occidentale. Invito alle Femen per Riad invece di piazza San Pietro
E’ strano constatare come i movimenti femministi occidentali, così attenti alla condizione delle donne e così solerti nella difesa dei loro sacrosanti diritti, risultino piuttosto silenti quando si parla della situazione dell’altra metà del cielo nel mondo islamico.
Non si tratta solo del califfato e dell’Isis, che pratica la conversione forzata e lo schiavismo delle non musulmane, e impone la totale sottomissione delle loro stesse correligionarie.
Si è appena appreso che due donne saudite verranno processate con l’accusa di “terrorismo” semplicemente per aver osato guidare un’automobile. In Arabia Saudita la guida è riservata ai maschi, anche se per noi è difficile capirne il motivo.
Non paghe di essersi messe al volante, le due sventurate hanno per di più diffuso in rete le immagini della “impresa” compiuta, e ciò ha reso ancora più difficile la loro già tragica situazione. I tribunali locali non scherzano e, in casi come questi, sono sotto il controllo della “polizia religiosa” (difficile da credere, ma esiste davvero).

Donna in Arabia Saudita
Donna in Arabia Saudita

Una prima e innocente domanda. Perché le celebri contestatrici ucraine Femen, invece di rubare la statua di Gesù Bambino nel presepio di San Pietro, non vanno invece a Riad a protestare contro le autorità saudite che impediscono alle donne di guidare?
Risposta facile. Perché da noi sono popolari e adorate dai mass media, mentre in Arabia Saudita probabilmente non arriverebbero e, nel caso, non ne uscirebbero indenni. E allora viene spontaneo pensare che le suddette Femen non sono affatto serie a dispetto della loro popolarità.

Tuttavia il discorso non riguarda soltanto califfato e Arabia Saudita, ma in pratica l’intero mondo islamico. Solo in Tunisia, con la recente vittoria del partito laico, le donne hanno recuperato i diritti perduti. E in Egitto i militari – per ora – garantiscono pari trattamento a uomini e donne.
Altrove è un disastro. Non vi sono al riguardo molte differenze tra l’atteggiamento dei vari emirati e sultanati della penisola arabica e quello di movimenti più o meno fondamentalisti come Fratelli Musulmani, Hamas e Talebani. Può cambiare qualche nota, ma lo spartito è il medesimo.
Né si deve trascurare il fatto che l’immigrazione di massa nell’Europa occidentale ha dato vita a vaste sacche nelle quali, nei confronti delle donne, viene praticata la stessa politica. Caso emblematico è il Regno Unito.

Donna in Afghanistan
Donna in Afghanistan

Con l’eliminazione dei dittatori “laici” come Saddam Hussein e Gheddafi, che non discriminavano in base al genere, la situazione delle donne è peggiorata nettamente. E senza dubbio accadrebbe in ciò che resta della Siria qualora fosse eliminato pure Assad.
Non sono, tuttavia, solo i movimenti femministi a essere piuttosto assenti. Sbaglierò, ma talvolta mi sembra di percepire anche nella sinistra una certa “tenerezza” nei confronti del fondamentalismo islamico.
Per chi scrive è difficile capire perché. Forse, nel caso palestinese, il ricordo di Arafat, senza capire che Hamas è ben altra cosa? Solo un’ipotesi la mia. Resta comunque il mistero della questione femminile così viva in Occidente e ignorata (o quasi) quando si passa al mondo islamico.
Michele Marsonet- 28 dicembre 2014
fonte: http://www.remocontro.it

Marò, Renzi: “L’India è Paese amico e alleato dell’Italia”. Terzi: “si spieghi”

matteo-renzi

Sulla vicenda dei due fucilieri di marina, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre “c’è una questione aperta con l’India, che è paese amico e alleato dell’Italia”. Lo ha detto il premier Matteo Renzi nel corso della conferenza stampa di fine anno a Montecitorio.
L’India, sottolinea il presidente del Consiglio “ha aperto un canale di confronto diretto con dichiarazioni ufficiali che abbiamo apprezzato. Pensiamo sia utile mantenere il tono giusto, quello dei canali diplomatici e giudiziari senza inutili show o iniziative incredibili come ministri dell’epoca che ora pensano di fare iniziative politiche”.


terzi

Giulio Terzi – “Le ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio sui maro’, confuse nei riferimenti, continuano a tacere su cosa il Governo voglia fare realmente per riportare i maro’ a casa “con onore” dopo due anni di fantasiose illusioni e di fallimenti”. Lo afferma all’Adnkronos l’ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi commentando le dichiarazioni del premier durante la conferenza stampa di fine anno.
“Sulle iniziative politiche di ex ministri, stigmatizzate dal presidente Renzi, osservo che dei cinque ministri succedutisi dopo il sequestro dei due maro’, con le mie conseguenti dimissioni contro il loro vergognoso rinvio in India, solo tre ricoprono ruoli istituzionali tali da consentire “iniziative politiche”: il senatore Monti, l’Alto Commissario Mogherini, e il ministro Gentiloni. Dando per scontato che il presidente Renzi non intenda impedire ne’ limitare la libertà di espressione per nessun cittadino italiano”.


http://www.imolaoggi.it - 29 dic. 2014

29/12/14

VICENDA MARO’: DUE ARTICOLI PER CAPIRE





 
 
-  Renzi e i marò, l’Italia a un passo dalla resa.

-  ”Vi spiego perchè i marò sono innocenti”.


RENZI E I MARO’, L’ITALIA A UN PASSO DALLA RESA

A parole sono tutti arrabbiati con l’India per l’ennesimo schiaffo rifilatoci nella vicenda dei marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ai quali la Corte Suprema ha negato rispettivamente una licenza natalizia in Italia e il  prolungamento della convalescenza.
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha tirato le orecchie alle autorità di Nuova Delhi per la promessa mai mantenuta di trovare una soluzione rapida alla crisi. Anche il cardinale Angelo Bagnasco non risparmia le critiche a Delhi. “Le situazioni sono complicate e complesse ma tre anni sono molti. Si presume che non ci sia molta disponibilità da parte di chi dovrebbe dimostrarla. E non parlo del nostro governo” ha detto l’alto prelato.
Il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre (Pd) punta a trovare una soluzione che consenta a Massimiliano Latorre di restare in Italia senza, con questo gesto, creare problemi a Girone che si trova ancora a Delhi. Il problema non è di poco conto ma dopo che il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha dichiarato che il marò Latorre non tornerà in India, perché deve essere sottoposto a un intervento chirurgico, a Roma temono “rappresaglie” e pressioni indiane. Timore giustificato considerato che già nel 2012 il governo Monti annunciò che i due militari non sarebbero rientrati in India salvo poi riconsegnarli a Nuova Delhi che minacciò rappresaglie commerciali sul made in Italy. Se anche il governo Renzi dovesse rimangiarsi le parole della Pinotti lo smacco sarebbe devastante.
“Dopo tre anni non c’è ancora un capo d’imputazione, ma anche da parte italiana qualcosa non ha funzionato. Prima o poi un bilancio di questa vicenda bisognerà farlo ma oggi causerebbe tensioni che indebolirebbero l’iniziativa politico diplomatica. E’ fondamentale che il nostro Paese sia compatto” ha detto il senatore Latorre . Compatto per fare cosa? Non certo per tirare fuori gli attributi e portare l’India davanti alle sue responsabilità presso un tribunale internazionale.
Nonostante tutti i migliori giuristi italiani abbiano consigliato di puntare sul Tribunale del Mare di Amburgo, il governo Renzi (che pure ci aveva fatto credere per mesi di aver avviato le pratiche per l’arbitrato) sembra voler continuare a gestire la vicenda con il negoziato diretto con il governo indiano. Calando ulteriormente le braghe almeno secondo le rivelazioni del quotidiano The Economic Times che cita “fonti governative indiane del massimo livello”.
Per risolvere amichevolmente la vicenda dei marò dopo quasi tre anni Renzi avrebbe offerto al premier indiano Narendra Modi la disponibilità a presentare pubbliche scuse da parte dell’ambasciatore italiano per l’uccisione dei due pescatori indiani, a sganciare un importante risarcimento per le famiglie delle due vittime e a impegnarsi a processare in Italia i due Fucilieri di Marina.
In pratica un’ammissione di colpa, nonostante Latorre e Girone abbiano sempre negato ogni addebito e nonostante neppure una delle prove o testimonianze raccolte dagli inquirenti indiani sia in grado di reggere in un tribunale come dimostra implicitamente anche l’incapacità dei tribunali indiani a imbastire un processo.
Fonti del ministero degli Esteri indiano – si legge sull’Economic Times – hanno ammesso che l’Italia ha presentato “alcuni elementi” per una soluzione amichevole della questione attraverso un negoziato fra i due governi. Una fonte ministeriale ha commentato che “i più autorevoli consiglieri legali del governo ed il ministero dell’Interno debbono esprimere però un parere sulla compatibilità della proposta con il sistema legale indiano. Il negoziato potrebbe cominciare solo quando vi fosse un via libera da parte degli esperti giuridici, dato che la questione è all’esame della Corte Suprema”. I vertici di polizia indiani hanno però fatto sapere di essere contrari alla proposta, insistendo che i due militari riconoscano le loro responsabilità in India e poi, una volta condannati, siano inviati in Italia in base al Trattato bilaterale esistente per permettere ai condannati di scontare la pena nel proprio Paese.
Roma non ha smentito il giornale indiano confermando così i contenuti della proposta che di fatto vede Roma inginocchiarsi ai piedi di Delhi implorando pietà .
Possibile che Renzi e i suoi non sappiano che indennizzi ai famigliari delle vittime sono già stati pagati dal governo Monti che aveva risarcito persino il proprietario del peschereccio Saint Anthony, definendo i versamenti “gesti di buona volontà”?
Penoso e dilettantesco il tentativo di Renzi di mascherare l’inadeguatezza sua e del suo governo (e dei due che lo hanno preceduto) di fronte a una crisi senza precedenti esortando tutti al silenzio.
Sul caso marò “tutto quello che dobbiamo dire lo abbiamo già detto. Ora è il momento di non aprire la bocca” ha detto il premier in un’intervista a Rtl 102.5.Come se avesse un senso tacere dopo che i media indiani hanno già reso noto che Roma si è sdraiata  “a tappetino”, pronta a vendere l’ultimo residuo di dignità nazionale davanti a un’India che ha chiaramente voluto speculare sulla vicenda dei marò e dove i giudici sono al servizio della politica.
Lo ha spiegato bene in una conferenza stampa tenutasi a Roma nel giugno scorso il giornalista investigativo indiano Pushp Sharma, molto noto per le inchieste scomode. «Questo caso è stato costruito dai giudici indiani e non seguendo la Costituzione» ha detto  Sharma che ha intervistato “una serie di giudici che si sono occupati del caso e che confessano come non ci sia fondamento giuridico per processare i marò. La Corte Suprema indiana si allineerà con quella che è la posizione del governo indiano nazionalista che non vorrà restituire i marò all’Italia» – aggiunse sei mesi or sono Pushp Sharma con un’azzeccata previsione.
In Kerala i giudici che si sono occupati per primi del caso hanno raccontato come la vicenda sia stata montata per fini politici. «Il comportamento indiano è stato dettato dal fatto che il rappresentante del partito al governo era italiano (Sonia Gandhi leader del Partito del Congresso uscito sconfitto dalle ultime elezioni- ndr) e quindi non poteva dimostrarsi debole con l’Italia».
Di fatto quindi i marò sono stati uno strumento perfetto per mettere in difficoltà la Gandhi, complici tre governi italiani incapaci di smascherare il complotto e di sbugiardare l’India davanti alla comunità internazionale. Tra l’altro, fece notare il giornalista indiano, su 7mila incidenti accaduti a pescatori indiani negli ultimi dieci anni (coinvolti in casi di pirateria o sorpresi a pescare nelle acque territoriali dei Paesi vicini) «questo è l’unico caso in cui la vedova di un pescatore ha avuto un impiego governativo».
L’intera vicenda dei marò è una montatura, una truffa, orchestrata a fini politici interni da un Paese del Terzo Mondo che gioca alla grande potenza. E l’Italia continua a prostrarsi ai piedi dei truffatori.

di Gianandrea Gaiani
La Nuova Bussola Quotidiana, 27-12-2014


“VI SPIEGO PERCHE’ I MARO’ SONO INNOCENTI”

«La linea dell’arbitrato internazionale è sbagliata. Lo ripetiamo da mesi: Massimiliano e Salvatore sono innocenti»: Stefano Tronconi, l’ex dirigente di azienda che, con Luigi Di Stefano e il giornalista Tony Capuozzo ricostruì i fatti legati al caso dell’Enrica Lexie, ha la certezza che l’unica strada percorribile sia quella dell’innocenza.
Perché ha deciso di approfondire il caso?
«Per semplice passione. Su Facebook avevo visto la ricostruzione fatta da Di Stefano. Essendo stato diverse volte in India decisi di lavorare sulla vicenda e trovai on line l’intervista che una tv locale indiana fece all’armatore del peschereccio St Antony, Freddy Bosco, poco dopo il suo rientro in porto. Mettendo insieme i tasselli del puzzle capii che quanto affermato dall’India non tornava e decisi di rivolgermi a Capuozzo per raccontarlo».
Che cosa accadde il 15 febbraio 2012?
«La Enrica Lexie, con a bordo Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, si imbatté in un barchino pirata intorno alle 16. I due marò spararono in acqua alcuni colpi di avvertimento. Il barchino cambiò rotta e se ne andò. Il rapporto sull’incidente venne comunicato poco dopo all’autorità internazionale e, quindi, la notizia arrivò alla Guardia costiera indiana. Alle 21.30 circa dello stesso giorno una nave greca, la Olympic Flair, ebbe un incidente con due barche che, verosimilmente, erano un barchino pirata e il peschereccio St. Anthony, che si trovò tra due fuochi. I pirati spararono e dalla Olympic Flair risposero. Nel conflitto a fuoco vennero uccisi i due pescatori. Freddy Bosco fuggì con i due corpi a bordo, comunicando la situazione alla Guardia costiera indiana che, alle 21.36, avendo avuto notizia solo dell’incidente precedente della Lexie e non essendo a conoscenza di quello della nave greca, chiese agli italiani di entrare immediatamente in porto a Kochi. La Enrica Lexie eseguì, anche su ordine dei vertici della Marina».
Perché la nave greca non venne coinvolta?
«Perché la stessa si allontanò dal luogo dell’incidente e inviò solo alle 22.20 il rapporto all’International marittime organization, l’autorità internazionale che rileva queste informazioni».
Che disse l’armatore nell’intervista rilasciata alle tv locali?
«Freddy Bosco, in realtà, questo lo abbiamo appreso da una successiva traduzione, chiarì che l’incidente avvenne alle 21.20. È da lì che abbiamo capito che i conti non potevano tornare. C’erano oltre 5 ore di differenza tra il primo incidente e il secondo. Dal rapporto dell’Imo tutto ciò si capisce perfettamente».
Solo che le autorità indiane, per mesi, hanno negato l’incidente della nave greca. Perché?
«C’erano ragioni ben precise e l’India aveva tutto l’interesse a manipolare i fatti. Si doveva trovare un capro espiatorio e i marò erano perfetti per questo. Siccome non potevano quadrare gli orari, la polizia del Kerala, con l’aiuto della Guardia costiera, cercò di far sparire le prove e cambiò tutti gli orari, imponendo anche a Freddy Bosco di ritrattare per 4 volte».
Lei racconta che gli indiani, nei giorni successivi all’incidente, si inventarono una ricostruzione di sana pianta. Che dissero?
«Ciò che c’era scritto sulla newsletter della Guardia costiera che, con toni trionfalistici, additò i fucilieri di Marina come colpevoli e, adattando gli orari a suo piacimento, costruì una storia inesistente, facendo capire che i fatti che hanno riguardato il St. Antony erano avvenuti 3 ore prima. Solo che i conti non tornavano, perché in una mail giunta tempo prima al Tg5, l’armatore indicava gli orari precisi dei fatti e del rientro in porto della Lexie».
Perché i fatti furono distorti?
«Per motivi politici. Il 17 marzo 2012 ci sarebbero state le elezioni del distretto del Kerala. Il primo ministro Chandy aveva lì 71 seggi su 140, quindi la maggioranza per solo un seggio. Quale occasione più ghiotta di quella per mostrare il pugno duro e vincere le elezioni? Grazie all’arresto dei due marò ottenne 12mila voti».
E l’analisi balistica che disse?
«Fu fatta dal medico Sasikala, che disse che i fori sui corpi dei due pescatori non corrispondevano con i proiettili dei fucili di Latorre e Girone. Peraltro i colpi venivano dal basso e non da un’inclinazione diversa (come quella della Lexie, appunto). Magicamente il dottore, dopo qualche tempo, sparì e si rifiutò di fornire ulteriori indicazioni. Un’altra falsa perizia balistica, invece, dava per certo che a sparare fossero stati i due fucilieri».
Quali altre cose furono cambiate?
«Oltre all’orario anche la distanza. Bosco disse che stavano pescando a meno di 12 miglia dalla costa, in acque indiane e che stavano dormendo, poi ritrattò e disse che si muovevano. Nel rapporto della Lexie si parla di 20.5 miglia dalla costa, ovvero in acque di zona economica di esclusiva, comunque non territoriali. Le internazionali arrivano a 24 miglia. In ogni caso, il St. Antony poco dopo la vicenda fu affondato».
Quindi chi uccise i pescatori?
«I pirati che attaccarono la nave greca. Spararono dal basso, lo dimostrano i fori sui corpi».
Quale pensa, quindi, potrebbe essere una soluzione al caso?
«L’unica possibile: i marò sono innocenti. Il governo italiano deve far presente la manipolazione e spiegare all’India che se non rilascerà Girone immediatamente tutta la comunità internazionale e il miliardo e 200 mila persone che abitano in India (e che a causa dei media locali pensano siano colpevoli) sapranno ciò che hanno fatto. L’arbitrato è solo un’arma di distrazione di massa usato dai due governi per coprire i guai che hanno combinato in tre anni. L’Italia ha sbagliato da subito ad accettare la giurisdizione indiana, chinandosi ai voleri dell’India».

di Chiara Giannini

Libero Quotidiano.it, 22 dicembre 2014
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tramite: http://www.gianmariacomolli.it

CASO MARO' - SCADE IL 31 DICEMBRE IL TERMINE NATURALE DELLE MISSIONI ANTIPIRATERIA, E ..................

  




SCADE IL 31 DICEMBRE IL TERMINE NATURALE DELLE MISSIONI ANTIPIRATERIA. ALMENO QUESTA VOLTA ALLE PAROLE SEGUANO I FATTI, QUESTA INCREDIBILE FARSA NON PUO' CONTINUARE ALL'INFINITO, SERVE UN SEGNALE FORTE, E' GIUNTA L'ORA DI CALARE IL SIPARIO.



L'Italia abbia finalmente un sussulto di  dignità, rimarcarchi a voce alta il proprio peso come Stato membro dell'Unione europea e presso gli Organismi internazionali ai quali tanto ha dato e da in termini di uomini, mezzi e contributi economici ....  continuare ad assistere a questa disgustosa farsa caratterizzata da rinvii e furberie da una parte, ed inconcludenti azioni e annunci dall'altra, questo attaccare ritirandosi, dire e non fare, restare proni e inermi è un atteggiamento ignominioso, odioso,  che ci umilia  di fronte al mondo intero, e ci condanna ad una vergogna senza fine. 
Non è più tollerabile.
L'Italia torni ad essere Nazione, abbracci le ragioni dell'innocenza e riporti definitivamente in Patria i due fucilieri
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RAInews - Missioni antipirateria legate ai marò
3 sett. 2014 
La partecipazione dell'Italia alle future missioni anti-pirateria della Ue e della Nato nell'Oceano Indiano è legata alla soluzione della vicenda dei due marò italiani detenuti in India. L'emendamento del leghista Pini, che prevedeva la sospensione immediata della partecipazione italiana alle missioni, è stato riformulato ed approvato da tutti i gruppi della Camera. Domani approderà in aula insieme al decreto di proroga delle missioni internazionali. Alla scadenza del 31 dicembre il rinnovo sarà legato alla "vicenda marò" 
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Qelsi.it . Marò, passa emendamento alla Camera
2 sett. 2014
Il termine naturale delle missioni anti-pirateria Ue e Nato nell’oceano Indiano è fissato per il 31 dicembre. Dopo questa data, l’Italia potrebbe decidere di disimpegnarsi qualora dagli organismi internazionali non arrivi un sostegno concreto per risolvere la questione Marò. 
E’ quanto deciso dalle Commissioni Difesa ed Esteri della Camera, che ha approvato all’unanimità la riformulazione di un emendamento del leghista Gianluca Pini che invece prevedeva la sospensione immediata. L’emendamento in questione approderà domani in Aula a Montecitorio, assieme al decreto di proroga delle missioni internazionali.
Soddisfatto il presidente della Commissione Difesa alla Camera, Elio Vito, che su facebook ha commentato:
'' Esprimo grande soddisfazione per l’approvazione da parte delle Commissioni Difesa ed Esteri dell’emendamento sottoscritto da tutti i Gruppi che subordina la nostra partecipazione futura alle missioni antipirateria agli esiti della vicenda dei Marò ancora trattenuti in India.
Si tratta di una modifica importante che impone alla comunità internazionale, all’Unione Europea ed alla NATO di intervenire a sostegno del nostro Paese e del diritto internazionale per la positiva conclusione di una vicenda ingiusta e dolorosa che è proseguita già per troppo tempo.'' 

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28/12/14

Extra omnes! Ladri, assassini, spacciatori, terroristi, mignotte, finti rifugiati… A casa loro!






A Natale tutti più buoni? Ma anche no!

Non io, certamente.
Come faccio a puntare alla bontà quando uno dei più visti tg nazionali, oggi, per almeno 15 minuti non ha fatto altro che dare notizie di uccisioni, aggressioni, stragi e affini, commessi da stranieri? Con le viscere in subbuglio e uno strano formicolio alle mani, avevo più voglia di imbracciare una mazza chiodata e brandirla, che di cercare un motivo buono per non farlo. Molti, parenti e amici, mi ricordavano che sono cristiano: non basta. Cattolico: non basta. Occidentale e progredito: non basta. Alfabetizzato e acculturato: non basta.
Non basta nulla a convincermi che bisogna usare solo i più “buoni” fra gli strumenti della democrazia e della tolleranza contro questo fiorire di crimini efferati, importati nel nostro Paese da Stati lontani, assieme a milioni di Nonitaliani a cui abbiamo aperto, spalancato, le porte dell’Italia.
No! Non credo ai processi e alle condanne “scontate”, cioè inflitte con lo sconto. Non credo al recupero. Non alla rieducazione di gente marcia dentro, che scappa da Paesi in cui le galere sono un buco profondo direttamente collegato con l’inferno e senza possibilità di venirne fuori, e che viene in Italia perché sa che un omicidio commesso da noi, al limite, gli garantisce pasto caldo, stipendiuccio e qualche microannetto di gattabuia con tv e servizi.
Margherita Crivello, la signora italiana morta ammazzata da uno zingaro diciottenne a Torino per 15 euro, non può essere risarcita con qualche anno di condanna al suo spietato uccisore!!! Immagino il terrore negli occhi della poveretta, mentre il maledetto la colpiva ripetutamente. Sento nelle orecchie il suo accorato urlo di dolore e la richiesta di pietà. E vedo nitidamente la ferocia di cui sono intrise le carni dell’omicida e che arma la mano e la mente del truce assassino. Chi può impedirmi di dargli del porco? Il suo avvocato? O il clan al quale appartiene? O le associazioni buonine buonine, che, fottendosene della povera gente di casa nostra, si fanno fotografare fra i forestieri, che gli portano in tasca milioni e milioni di sovvenzioni?
Mi infuoco sentendo la nenia televisiva dei numeri di immigrati (e non migranti) che sbarcano quotidianamente sulle nostre coste: centinaia di migliaia in questo permissivo 2014. Con la benedizione della compagna Boldrini, la folle complicità di Papa Francesco, e il silenzio imbecille di ministri e capi di governo assoggettati a chissà quali poteri ammantellati!
Inorridisco al solo pensiero che l’anno che sta per nascere ne vedrà arrivare altre migliaia, di misteriosi invasori. E che molti di loro, magari terroristi incalliti, siano diretti qui, nella mia Italia, e non altrove. I peggiori, probabilmente: quelli che hanno già radici piantate nelle nostre contrade. Fratelli, padri, soci, complici, boss. Resteranno per delinquere, sparare, accoltellare e spacciare. Magari, far prostituire o prostituirsi. Unendosi ai peggiori fra noi. Che non mancano, comunque. (E smettiamola di dire che vengono a svolgere mansioni che gli italiani rifiutano: alla favoletta inventata dai media non crede più nessuno!)
Mi indigno, sì, se penso che questi novelli saraceni dalla faccia buona e la mente nemica ci costano milioni di euro. Gli stessi milioni che salverebbero altrettante famiglie italiane senza casa, lavoro, futuro. E mi infurio.
Sì, sì, mi infurio. Perché quando qualcuno tenta di denunciare le loro malefatte, viene trafitto dal giornalista di turno, dal prete o dal buonista da poltroncina televisiva, con l’accusa di razzismo, intolleranza, violenza. O, quantomeno, di demagogia e populismo.
Col piffero! Altro che razzismo o demagogia. Troppo spesso si tratta di sacrosanta verità. Andiamolo a chiedere a tabaccai, gioiellieri, farmacisti, benzinai, contro chi e cosa devono lottare quotidianamente. Chiediamolo alle donne che non possono girare l’angolo, senza correre il pericolo di essere trascinate dietro la prima siepe da giardinetto e stuprate da orde di porcherosi sciacalli infoiati. Chiediamolo alle Forze dell’Ordine, che li combattono ad ogni piè sospinto, li arrestano e se li ritrovano fra le balle, con altro nome, al reato successivo.
Insomma, basta! Fuori tutti! 
Proviamo a ristabilire i confini nazionali di tutti gli Stati. E vediamo che succede. Magari abbiamo ragione noi e sarà tutto migliore.
Oppure, se proprio ci fossimo sbagliati (e non credo proprio!), ci sarà sempre tempo per riaprire le porte.
E’ così difficile, del resto, ammettere che probabilmente stiamo esagerando con la pratica dell’accoglienza incondizionata? Che ogni negozio cinese o indiano che sia leva lavoro non solo ai nostri commercianti, ma anche a decine di commessi italiani che ci collaborerebbero? Che quasi tutti quei centri benessere asiatici siano dei bordelli, vietati dalla legge Merlin su tutto il suolo italiano? Che nei ristoranti non nazionali siano necessari controlli quotidiani per evitare che sulle tavole arrivino cani e gatti cotti ancora vivi? Che ogni paio di calzoni, di calzini, di calze e non solo, messi in vendita in certi negozi stranieri, vengano impastati con materie vietate non solo dalla legge, ma da ogni buonsenso immaginabile?
E’ così difficile ammettere che tutte le loro pratiche, religiose o sociali che siano, non meritano, molto spesso, alcuna integrazione, se non a danno dei secoli di progresso, lotte e vittorie che l’Occidente ha portato avanti e ottenuto col sangue versato da milioni di veri eroi? E penso a quelle pratiche offensive nei confronti di noi che ospitiamo, nei confronti delle donne e dei bambini, degli animali…
E, dunque, di cosa stiamo parlando ancora? Extra omnes! Per difendere la libertà, la democrazia vera, la Civiltà.
(Mi chiedo come mai gli americani, i russi, gli inglesi, i tedeschi, gli spagnoli, gli iracheni, i cinesi, i sauditi, gli egiziani, gli israeliani, i pakistani, gli indiani, i vietnamiti, i coreani, gli australiani, i messicani, …, …, …, … SPARANO addirittura a chi varca il confine, mentre noi li accogliamo con le ghirlande di fiori cantando Aloha e spalmando balsami sotto le piante dei loro piedi… )





Fra me e me. (Oggi anche Ali Agca è entrato in Italia senza visto! Puah!)

di Nino Sperlì
Domenica 28 dicembre 2014 – Senza Santi in Paradiso – Taurianova, Piana di Gioia Tauro. Calabria

fonte: http://blog.ilgiornale.it 



Roma: (ci risiamo) Piazza Venezia sarà asfaltata. E Marino vende i sampietrini per pagare le spese


Se, nella nostra quotidiana frenetica corsa alla ricerca del tempo perduto, ci fermassimo, tra un passo e l’altro, ad osservare per un istante cosa stiamo calpestando, potremmo scoprire che una parte della storia, della cultura e della tecnologia romana sta letteralmente sotto ai nostri piedi.
Conoscere il sampietrino romano significa non solo imparare a conoscerne la tecnologia, ma anche, e soprattutto, riconoscere nei suoi riflessi la stessa città di Roma, la sua storia ed il suo territorio.
Ma di tutto questo all'Homo Ridens, nato a Genova da madre svizzera e padre siciliano di Acireale, non gliene pò fregà de meno.
I Romani, quelli veri, quelli de Roma ...... lo fermino.

In allegato: IL SAMPIETRINO ROMANO LA STORIA, Cosa, Perchè, Come, Dove, Quando ..... a cura dell'Architetto Ludovica Cibin.

e.emme
marino

Sampietrini bye bye, costa troppo mantenerli, sono un’insidia per auto e moto, fanno rimbalzare le gomme e anche il rumore. Via i tradizionali «serci», almeno dalle strade di passaggio.
Il sindaco, scrive il messaggero, ha più volte rilanciato il progetto di confinarli nelle zone pedonali, liberando i percorsi più trafficati dai blocchetti di leucitite a cominciare da via Nazionale. Adesso in Campidoglio è allo studio l’ipotesi di portare l’asfalto anche a piazza Venezia già piuttosto malmessa a nemmeno due anni dall’ultimo restyling.
L’idea innovativa è quella di pagare i lavori con gli stessi sampietrini, considerandoli una risorsa, un bene da vendere. La ditta chiamata a interviene per rinnovare la piazza acquisterebbe in pratica i blocchetti per farne ciò che crede, anche rivenderli come oggetti d’arredo, souvenir.

fonte: http://www.imolaoggi.it - 28 dicembre 2014


IL SAMPIETRINO ROMANO
LA STORIA
Cosa   Perché   Come   Dove   Quando
a cura dell’Architetto Ludovica Cibin, autrice del libro:
“Selciato romano  il sampietrino” Gangemi Editore, Ottobre 2003





Ho voluto pubblicare a mie spese i risultati delle ricerche che ho condotto sul sampietrino per tramandare questa tecnologia, sconosciuta perfino ai romani più attenti, e per svelare ciò che sta sotto ai nostri piedi, un antico tappeto artigianale frutto del ventre della terra e della sapienza dell’uomo.
Questo lavoro è assolutamente inedito, poiché, incredibilmente, il sampietrino romano non era mai stato studiato con metodo scientifico. Con metodo scientifico, quindi, ho incominciato a sondare ogni suo aspetto, materia, lavorazione ed evoluzione storica, fino a fotografarne l’attualità ed ad indagarne le problematiche.
Cosa, perché, come, dove, quando, sono le domande a cui ho cercato di dare risposta.
Dopo due anni di ricerche archivistiche e bibliotecarie, di indagini presso i cantieri stradali e presso le cave di selce attive o dismesse, dopo i chilometri percorsi passeggiando per il centro storico osservando e monitorando le tessiture e le tipologie di selce ancora presenti nel centro storico di Roma, ho raccolto le informazioni rintracciate e mi sono resa conto di quanto il sampietrino romano rispecchi l’identità della città e della società romana. Perciò, ringrazio innanzitutto gli attori principali della pavimentazione romana, i selciatori ed i selciaroli, e tutti coloro che mi hanno fornito documentazioni ed informazioni in merito, poiché mi hanno permesso di scoprire e divulgare questa tecnologia, celata dalla polvere dell’oblio.



Se, nella nostra quotidiana frenetica corsa alla ricerca del tempo perduto, ci fermassimo, tra un passo e l’altro, ad osservare per un istante cosa stiamo calpestando, potremmo scoprire che una parte della storia, della cultura e della tecnologia romana sta letteralmente sotto ai nostri piedi.
Conoscere il sampietrino romano significa non solo imparare a conoscerne la tecnologia, ma anche, e soprattutto, riconoscere nei suoi riflessi la stessa città di Roma, la sua storia ed il suo territorio.
Purtroppo fino a quando non si rischia di perdere ciò che si ama, non lo si apprezza, ed è invece importante capire che il selciato romano non è solo un retaggio, una pesante, goffa eredità del passato: la sua millenaria sopravvivenza, nella nostra storia, è dovuta alle qualità intrinseche del materiale, al suo valore estetico, ed alla capacità di evolversi grazie alla mutazione delle forme dei singoli pezzi subita nei secoli. Infatti i basoli che potete ancora ammirare nelle strade consolari romane, e che vengono apprezzati per la loro bellezza e durevolezza, sono consanguinei dei selci. Questa parentela non è affatto evidente, persino a noi romani.
La pavimentazione in sampietrini ci parla innanzitutto della geologia e della storia del territorio su cui è fondata Roma. Camminiamo su blocchetti di lava lavorata artigianalmente, a mano, pezzo per pezzo. I selci romani sono infatti frammenti di quella lava, effusa dall’antico Vulcano Laziale dei Colli Albani, che è stata spaccata dai selciatori in pezzi di varie forme e dimensioni e disposta dai selciaroli sulle sedi stradali romane. La forma e le dimensioni degli elementi sono variati nei secoli, così come sono evolute le disposizioni dei singoli elementi nella sede stradale, ma la materia, è, ed è sempre stata, la vicina pietra lavica dei Colli Albani. La vicinanza della città con il Vulcano Laziale è stata fondamentale per l’edilizia romana in senso ancora più ampio: la città è stata edificata con i prodotti piroclastici (tufi e pozzolane) e con il magma delle colate laviche effuse durante le fasi eruttive del vulcano. La colata storicamente più importante ed estesa è la cosiddetta “colata di Capo di Bove”: giunge fino alla tomba di Cecilia Metella, a 3 Km. da Porta S. Sebastiano. E’ percorsa per un lungo tratto dalla via Appia Antica, ed è stata particolarmente importante per la tecnologia stradale romana fino alla prima metà del XX sec. Le storiche cave di selce, localizzate proprio su questa lingua di lava sono però state attive da sempre: provengono da qui i basoli che costituiscono il manto stradale della vicina via Appia Antica.
Perché gli elementi che formano la pavimentazione romana in selce vengono chiamati genericamente sampietrini?
Leggenda metropolitana vuole che la prima pavimentazione con piccoli elementi regolari sia stata realizzata alla fine del XVII sec. in piazza S. Pietro; tutti gli elementi dal taglio standardizzato vennero quindi definiti, popolarmente ed in via del tutto generica, sampietrini. Occorre ricordare, però, che il sampietrino corrisponde, in gergo tecnico, al piccolo elemento utilizzato tradizionalmente per i marciapiedi. Il blocchetto di selce più comune, presente nelle strade romane, dalla forma troncopiramidale, si definisce invece quadruccio. Altri elementi dalle forme regolari presero forma dalle mani dei selciatori: la guida, la mezza guida ecc...
La pavimentazione in selce, a Roma, esiste dall’epoca Repubblicana ed Imperiale, da quando si incominciò a pavimentare le strade più importanti con pezzi di forma pentagonale e di grandi dimensioni (i succitati basoli), per proseguire  in epoca Medioevale e Rinascimentale con elementi più piccoli di forma irregolare. Il periodo dell’Illuminismo ha introdotto una pavimentazione formata da elementi in selce dalla forma regolare, “standardizzata”, con l’uso di blocchetti dalle dimensioni prefissate e con la creazione dei tipi.
La tradizionale disposizione dei blocchetti è la cosiddetta spina: gli elementi di selce - principalmente i quadrucci- vengono disposti a 45° rispetto all'asse viario. Ideata per contrastare le spinte dovute al transito dei veicoli trasmettendole verso i margini della carreggiata, fu l'unica ad essere usata fino al XX sec. allorché venne introdotta anche la sistemazione ad archi contrastanti. La varietà dei tagli dei singoli pezzi e la ricchezza delle tessiture degli elementi in selce si possono ancora osservare passeggiando per le strade romane.
Questi termini potrebbero sembrare solo simpatiche, pittoresche definizioni del nostro piccolo mondo antico... al contrario, proprio perché li calpestiamo sbadatamente ogni giorno, sono invece straordinariamente attuali.
In questi anni, come in passato, la riqualificazione delle piazze e delle strade romane scatena animatissime discussioni, in particolare sull’uso di questo o quel materiale per la pavimentazione stradale. Non è una diatriba moderna. Già nel Rinascimento, ad esempio, il popolo e gli studiosi si divisero tra l’ammattonatura o la selciatura delle strade romane. Per un breve periodo venne persino proibito di eseguire pavimentazioni stradali in selce, ed i trasgressori venivano puniti con sanzioni pecuniarie e... corporali. Nonostante ciò, la selce cominciò a dominare incontrastata, sia per l'economicità dei lavori, sia perché presentava una maggior durevolezza e resistenza al transito dei veicoli.
Nei primi anni del XX sec. la sperimentazione di nuovi materiali portò all’introduzione di nuovi tipi di pavimentazioni stradali in pietra (ad esempio, in granito ed in porfido), ma la selce risultò ancora una volta il materiale più adatto.
Ci troviamo oggi di fronte al momento più critico, per il tradizionale selciato romano. Si è innescato, in questi decenni, un meccanismo vizioso dovuto a diversi fattori, primo fra tutti il progressivo calo della richiesta di nuovi selci presso le cave laziali e la conseguente scomparsa della figura professionale del selciatore (colui che, sul fronte lavico, spaccava la lava a colpi di mazza). Di questo meccanismo portiamo le conseguenze oggi, poiché, anche se negli ultimi anni si nota un generale, rinnovato interesse verso il recupero della tradizionale pavimentazione romana, risulta difficile, a causa della mancanza di ricambio generazionale, rintracciare il know-how professionale del selciatore, necessario al suo ripristino. Per il recupero delle professioni di selciatore e di selciarolo è indispensabile riconoscerle e valorizzarle come artigianali, se non artistiche: creare un sampietrino, una guida, un quadruccio,  significa conoscere e sentire le pulsazioni della materia, disporre questi sulla sede stradale equivale a tessere un mosaico di lava.
Questo mosaico è frutto del ventre della terra e della sapienza dell’uomo. Sapienza che ha saputo coniugare esigenze funzionali (lo smaltimento delle acque) e strutturali, con l’estetica.
Le disposizioni dei selci sulle sedi stradali non sono state frutto della bizzarria dei Maestri di strada: ogni disegno era soluzione d’ingegno. Optare per un profilo stradale a culla o a schiena, associare il tipo di allettamento alle diverse tipologie di selci era un saper fare a regola d’arte che veniva tramandato ed affinato nei secoli, relazionandosi sempre con l’ambito urbano.
I gioielli architettonici ed urbanistici di Roma si posano visivamente su questo mosaico, prezioso ed antico, sottovalutato e sconosciuto, che rappresenta la faccia dell’urbe a sviluppo orizzontale: si relaziona inconsciamente con l’immagine della città eterna,  valorizzandone i contenuti storici e semantici. Il “colloquio” tra la pavimentazione stradale e gli edifici, tra l’orizzontale ed il verticale, è sempre stato ricercato perché sinonimo di armonia ed equilibrio architettonico. Allora, perché non proteggerla amorevolmente, con manutenzioni a regola d’arte ed interventi filologici, come già avviene per le infinite sfaccettature della faccia verticale della città?
Per valorizzare nella progettazione questo patrimonio storico, tecnologico e sociale, e garantirne il futuro, con dovuta attenzione ai vincoli che la modernità impone (superamento delle barriere architettoniche, abbattimento delle vibrazioni, ecc.) è necessario recuperare la sapienza degli antichi mestieri di selciatore e selciarolo, reinserire nel processo produttivo delle cave di selce attualmente attive il taglio di nuovi elementi con modalità e geometrie tradizionali, e, in primis, avere l’umiltà, innanzitutto di osservare, poi di capire, ciò che ci è stato tramandato dalla storia... che calpestiamo distrattamente ogni giorno.

L'Ue alza la "vocina" contro l'India ma la ricopre d'oro


La Mogherini oggi fa la dura, ma voleva "più legami con l'India". E dalla Ue piovono aiuti per 470 milioni di euro


Da Bruxelles, Federica Mogherini, ha annunciato ieri al quotidiano Repubblica che il caso marò «può incidere sulle relazioni» tra l'Unione europea e l'India.




Per la prima volta l'Alto rappresentante della politica estera europea sembra alzare la vocina con Delhi. Peccato che il 6 ottobre diceva esattamente l'opposto nell'audizione al Parlamento europeo. Non solo: nei fondi e aiuti Ue all'India, che dal 2007 al 2013 ammontavano a 470 milioni di euro, non è stato tagliato nulla in difesa dei nostri due marò.
Nell'intervista a Repubblica , l'ex ministro egli Esteri italiano, sottolinea, riferendosi all'India, che «l'Ue ha ripetutamente invitato, in questi tre anni, a una soluzione accettabile per entrambe le parti». E aggiunto: «Le aspettative finora sono andate deluse, ma aspettiamo di vedere se vi sono margini perché questa situazione non solo è dolorosissima per i due marò, le loro famiglie e l'Italia, ma può anche incidere sulle relazioni Ue-India e sulla lotta globale contro la pirateria in cui l'Ue è fortemente impegnata».
Il 6 ottobre l'eurodeputata laburista inglese, Neena Gill, chiedeva all'Alto rappresentante lumi in aula, a Strasburgo, sulle relazioni con l'India del nuovo premier Narendra Modi ed il futuro del partneriato strategico fra Ue e Delhi, che comprende l'accordo sul libero scambio. Mogherini rispondeva testuale: «Credo che un nuovo governo in India concentrato nel stabilire rapporti con il resto del mondo sia un'opportunità, in particolare con una nuova leadership in Europa. Penso che dovremmo lavorare su questa opportunità per rafforzare i legami». Alla faccia dei poveri marò, a tal punto che Nill, nata in India e vicepresidente della delegazione per le relazioni con Delhi, che lavora al negoziato sul libero scambio, prendeva soddisfatta carta e penna.
Ed il 18 novembre pubblicava un commento sul periodico del Parlamento europeo con un titolo che non lascia dubbi: «È tempo di scongelare le relazioni Ue-India». Nel testo si legge l'apprezzamento «per avere sentito l'Alto rappresentante, Federica Mogherini, promettere che l'India sarà una priorità nella nostra politica estera».
In Italia l'ex ministro degli Esteri difende i marò, ma a Bruxelles li dimentica. A cominciare dal fatto che non risulta alcuna proposta concreta che incida veramente sui rapporti Ue-Delhi. L'accordo di libero scambio è in stallo da anni, ma allo stesso tempo elargiamo consistenti fondi e aiuti agli indiani. Bruxelles ha sborsato circa 67 milioni di euro l'anno dal 2007 ad una potenza economica e nucleare. Nel 2013 erano previsti 28,6 milioni di euro per «l'energia rinnovabile e le tecnologie pulite». Per l'istruzione ai bambini indiani dai 6 ai 14 anni abbiamo garantito dal 2002 la bellezza di 350 milioni di euro. Fino al 2013 sono arrivati in Europa 4mila studenti e accademici grazie al programma di scambio Erasmus. Negli stati indiani di Chhattisgarh e Rajasthan continuiamo a sostenere la sanità con 160 milioni di euro. Ed ovviamente siamo in prima fila come aiuti umanitari, che dal 1995 ammontano a 120 milioni di euro. Nel 2013 abbiamo speso 9,37 milioni di euro per «il supporto psicosociale e mezzi di sussistenza alle popolazioni del Jammu e Kashmir, viveri nel Nord Est, la malnutrizione dei bambini in Pradesh, Orissa, e Bengala occidentale», come se l'India fosse il vecchio Biafra. Echo, l'agenzia europea per l'emergenza, ha donato 130mila euro per le vittime indiane delle inondazioni del giugno 2013 e altri 96.748 euro per la popolazione colpita dal ciclone Phailin. Soldi europei, che arrivano anche dalle tasche dei contribuenti italiani. Nessuno ha mai pensato ad un semplice ed efficace taglio netto ai fondi all'India per dimostrare che all'Europa sta veramente a cuore il caso marò.
www.gliocchidellaguerra.it

Fausto Biloslavo - 28 dicembre 2014
fonte: http://www.ilgiornale.it

CASO MARO' ... si avvicina la scadenza del 31 dicembre, cosa farà l'Italia ? assisteremo finalmente ad un vero cambio di marcia ?



L'Italia avrà un sussulto di  dignità, si sforzerà di rimarcare il proprio peso come Stato membro dell'Unione europea e presso gli Organismi internazionali ai quali tanto da in termini di uomini, mezzi e contributi economici .... o dovremo continuare ad assistere ancora a questa disgustosa farsa caratterizzata da rinvii e furberie da una parte, ed inconcludenti azioni e annunci dall'altra? Questo attaccare ritirandosi, dire e non fare, restare proni e inermi è un atteggiamento ignominioso, odioso e intollerabile che ci umilia  e ci condanna ad una vergogna senza fine.
L'Italia torni ad essere Nazione, abbracci le ragioni dell'innocenza e riporti in Patria Salvatore, ORA !!



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Tratto da: Se i marò non tornano, addio missioni anti-pirateria

di Marco Sarti - 4 settembre 2014
http://www.linkiesta.it


Si vota la proroga delle missioni, 450 milioni. L’Italia pronta a lasciare l’operazione Ocean Shield
Afp/Getty Images

L’Italia alza la voce. Le missioni internazionali anti-pirateria per ora non sono a rischio. Ma se la vicenda dei due fucilieri di Marina detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori non si sbloccherà a breve, dal 31 dicembre il nostro Paese è pronto a sospendere il proprio impegno nel corno d’Africa. Lo hanno deciso ieri sera i deputati della commissione Difesa di Montecitorio, che hanno approvato un apposito emendamento al decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali all’esame del Parlamento.
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Tratto da: Marò, passa emendamento alla Camera: missioni antipirateria solo se tornano i fucilieri

Di Girolamo Minotto -
http://www.qelsi.it


Il termine naturale delle missioni anti-pirateria Ue e Nato nell’oceano Indiano è fissato per il 31 dicembre. Dopo questa data, l’Italia potrebbe decidere di disimpegnarsi qualora dagli organismi internazionali non arrivi un sostegno concreto per risolvere la questione Marò. 
E’ quanto deciso dalle Commissioni Difesa ed Esteri della Camera, che ha approvato all’unanimità la riformulazione di un emendamento del leghista Gianluca Pini che invece prevedeva la sospensione immediata. L’emendamento in questione approderà domani in Aula a Montecitorio, assieme al decreto di proroga delle missioni internazionali.
Soddisfatto il presidente della Commissione Difesa alla Camera, Elio Vito, che su facebook ha commentato
'' Esprimo grande soddisfazione per l’approvazione da parte delle Commissioni Difesa ed Esteri dell’emendamento sottoscritto da tutti i Gruppi che subordina la nostra partecipazione futura alle missioni antipirateria agli esiti della vicenda dei Marò ancora trattenuti in India.
Si tratta di una modifica importante che impone alla comunità internazionale, all’Unione Europea ed alla NATO di intervenire a sostegno del nostro Paese e del diritto internazionale per la positiva conclusione di una vicenda ingiusta e dolorosa che è proseguita già per troppo tempo.''

Ecco il testo della mozione approvata
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Tratto da : Marò, ok a emendamento Lega: risolvere caso o via da missioni anti-pirateria a fine anno

http://www.ilsole24ore.com - 3 settembre 2014

 

(Ansa) 
(Ansa) Le commissioni Esteri e Difesa della Camera hanno dato il via libera alla riformulazione dell'emendamento del deputato leghista Gianluca Pini: la partecipazione dell'Italia alle future missioni anti-pirateria, una volta concluse quelle ancora in corso, sarà legata alla soluzione della vicenda dei marò. Lo spiega Elio Vito, presidente Commissione Difesa della Camera. 
La riformulazione dell'emendamento leghista
La riformulazione dell'emendamento del deputato leghista Gianluca Pini, che prevedeva la sospensione immediata della partecipazione italiana alle missioni 'Atalanta' e 'Ocean Shield', è stata proposta dallo stesso presidente della commissione Difesa Vito e ha ottenuto l'approvazione di tutti i gruppi. Una volta scaduto il termine - avverrà il 31 dicembre - della partecipazione italiana alle missioni anti-pirateria Ue e Nato nell'Oceano Indiano, un successivo appoggio da parte dell'Italia sarà subordinato alla soluzione del caso dei due fucilieri italiani, si sottolinea nell'emendamento, che domani, assieme al decreto di Proroga delle missioni internazionali, approderà in Aula alla Camera.

e.emme

CASO MARO' - Il Natale che ghiaccia l'Italia e i Marò




IL NATALE DEI MARO'
Anche per questo Natale scendono parole di gelo da parte dell'India, sulla vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due Marò in attesa di giudizio da quasi tre anni(esattamente 1.042 giorni)con l’accusa di aver ucciso due pescatori locali, scambiati per pirati, al largo delle coste del Kerala.
I due fucilieri sono tuttora senza processo, in piena violazione del diritto internazionale, e senza alcuna prova accertata.
A questo proposito vi segnalo questo interessante articolo su Libero che illustra le innumerevoli manipolazioni delle testimonianze e della ricostruzione dell'incidente mortale.

http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11735768/-Vi-spiego-perche-i-Maro.html

In questo lunghissimo periodo i due Marò hanno inoltre vissuto mesi drammatici in cui sembrava prospettarsi persino una condanna alla pena di morte.
Uno stato d’ansia per le incredibili vicissitudini che non hanno intravisto ancora alcuno sbocco, nonostante si siano susseguiti ben 4 governi in tre anni, un’attesa logorante e continua che influirebbe sulla psiche e sullo stato di salute anche della persona più equilibrata.
Ed è stato senz’altro lo stress della forzata ed ingiusta prigionia che ha causato a uno dei due fucilieri, Massimiliano Latorre, l’ischemia che l’ha colpito nel mese di settembre, per cui è dovuto rientrare in Italia per ricevere cure adeguate.

AGENZIA ANSA SUL CASO MARO'
Ed eccoci alle ultime novità: dopo che il nostro governo ha fatto sapere che ci sarebbe un'ipotesi di dialogo con il governo indiano per una soluzione "diplomatica condivisa", questa è stata la risposta ben poco incoraggiante del portavoce del governo indiano Syed Akbaruddin, il quale ribadisce che “Il tema resta all'esame della giustizia”.
Prosegue affermando che “non è solo una discussione fra due esecutivi, ma é un tema all'esame della magistratura indiana” che “deve esprimersi prima che si possa andare avanti”, sottolineando che “la giustizia indiana é libera, trasparente e imparziale”.
Parole che giungono come una beffa, soprattutto se consideriamo che i nostri due fucilieri sono in “sospeso” in un’atmosfera kafkiana e angosciante da quasi tre anni e di tempo la Magistratura ne ha avuto da vendere!
La stessa Magistratura che ha già negato il prolungamento del permesso in Italia a Latorre, rientrato nel nostro Paese, e che dovrebbe sottoporsi ad un delicato intervento al cuore a causa dell’ischemia.

MOGHERINI E IL CASO MARO’
Questa la risposta di Federica Mogherini, rappresentante per la politica estera della Ue.
Il continuo rinvio da parte indiana di una soluzione alla questione dei due marò italiani "può incidere sulle relazioni tra l'Unione Europea e l'India.
Inoltre ha aggiunto : “Vorrei esprimere un pensiero di vicinanza a Massimiliano e Salvatore e alle loro famiglie in questi giorni di festa e difficili. Mi auguro che questa vicenda si possa risolvere presto e per il bene di tutti. Come ho sempre detto in Parlamento, ho usato i mesi da ministro degli Esteri per completare le procedure preliminari all'arbitrato, che hanno richiesto più tempo e lavoro del previsto. Oggi, nella mia nuova posizione, continuo a seguire da vicino questa vicenda che mi sta molto a cuore, in contatto con il governo italiano. L'Ue ha ripetutamente invitato, in questi tre anni, a una soluzione accettabile per entrambe le parti. Le aspettative finora sono andate deluse, ma aspettiamo di vedere se vi sono margini perché questa situazione non solo è dolorosissima per i due marò, le loro famiglie e l'Italia, ma può anche incidere sulle relazioni Ue-India e sulla lotta globale contro la pirateria in cui l'Ue è fortemente impegnata".

LE PROMESSE DEL GOVERNO
Ora, come sempre attendiamo i fatti da parte dell’Italia, promesse ne abbiamo sentite molte, ma tempo ne è già passato parecchio dall’insediamento di quest’ultimo governo e dalla telefonata del Premier Renzi ai due Marò con la promessa di un personale interessamento per una svolta decisiva.
Peccato che all’inizio di luglio a Strasburgo nel suo discorso, il Presidente del Consiglio si fosse già dimenticato dei nostri due Marò, perdendo un’occasione irripetibile per porre l’accento sulla vergognosa vicenda al parlamento Europeo.
Nel discorso di Strasburgo il Premier aveva citato Telemaco, il figlio di Ulisse per incitare le nuove generazioni ad assumere lo stesso comportamento “dobbiamo essere eredi, prendere la tradizione da cui veniamo e darla ai nostri figli”; afferma perentorio che “l'Europa deve smetterla di essere solo un puntino su Google Maps.”.
Ecco è evidente che quel puntino sta già scomparendo alla velocità della luce: e non vediamo la difesa di quei valori in cui molti italiani ancora credono.
Ci rivolgiamo alle nostre istituzioni affinché i discorsi si trasformino in fatti concreti e che l'Italia si riprende quell'orgoglio che da sempre ci appartiene.
L'unico modo per far sentire ai nostri Marò che non sono soli, che esistono ancora persone che per cui parole come Patria, Onore, Giustizia hanno un senso è tenere alta l'attenzione, levare insieme la voce affinchè sia resa giustizia.
Nel frattempo i nostri due militari mantengono fin dall'inzio della vicenda che li ha coinvolti un portamento fiero e dignitoso a dir poco encomiabili, limitandosi solo una volta ad esternare la loro amarezza per sentirsi abbandonati, ma senza mai alzare i toni e perdere di rispetto alle Istituzioni.

GLI AUGURI DI NATALE DI SALVATORE GIRONE
Un contegno che viene espresso anche nel messaggio di Slavatore Girone nel giorno di Natale al collega che lo segue dall'Italia.
"Tanti Auguri di Buon Natale a tutti coloro che credono nella Santità di questa ricorrenza. Buon Natale ai cari colleghi che sono impegnati nelle missioni ed a quanti di essi invece hanno la fortuna du essere riuniti con le loro famiglie".
Infine, conclude il messaggio, "un Buon Natale particolarmente affettuoso al mio collega e amico Massimiliano Latorre, ed agli amici e familiari che da ormai quasi tre anni sono lontani. Ancora Buon Natale. Salvatore Girone".

cronacadiungirasole.blogspot.it - 27 dic 2014