In “Romanzo criminale”, la saga della Banda della Magliana ripercorsa
da Giancarlo De Cataldo, nessuno riesce mai neppure a sfiorare il
supremo potere
del Grande Vecchio, il burattinaio che agisce nell’ombra e, dal
Palazzo, manovra i fili che tengono insieme una sceneggiatura anche
atroce, in cui si muovono guardie e ladri, terroristi e affaristi,
servizi segreti e malavita imprenditrice. Nel saggio “Il più grande
crimine”, il giornalista Paolo Barnard ricostruisce in chiave
criminologica quello che chiama “economicidio” dell’Italia, in tre
mosse: divorzio tra governo e Bankitalia, adesione all’Unione Europea, ingresso nell’Eurozona. Matematico: crisi,
disoccupazione, super-tasse, taglio del welfare e dei salari, crollo
dei consumi, sofferenze bancarie ed esplosione del debito pubblico, che
diviene improvvisamente “tossico” perché non più ripagabile, non più
denominato in moneta sovrana liberamente disponibile. A monte: il
Memorandum Powell, la guerra storica contro la sinistra dei diritti del lavoro (dalla legge Biagi al Jobs Act), la “crisi della democrazia”
evocata dai cantori della Trilaterale, fino alla spazzatura terminale
dell’Ue, il Fiscal Compact, la morte clinica del bilancio pubblico degli
Stati, ridotti a esattori per la più colossale operazione di
money-transfer della storia moderna, dal basso verso l’alto, attraverso la privatizzazione universale neoliberista.
Nella sua visione da criminologo, Barnard fa i nomi: Beniamino
Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi vietarono alla Banca d’Italia di
continuare a fare da “bancomat del governo” a costo zero, imponendo allo
Stato, da quel momento, di finanziarsi diversamente: ricorrendo cioè al sistema finanziario privato attraverso l’emissione di bond, a beneficio della grande finanza,
cui da allora lo Stato avrebbe riconosciuto lauti interessi, facendo
esplodere il debito pubblico. Poi l’euro, cioè l’istituzionalizzazione
definitiva della “trappola finanziaria”: lo Stato non può più fare
retromarcia, deve “prendere in prestito” la moneta emessa da un soggetto
esterno, la Bce, i cui azionisti sono le banche centrali non più
pubbliche, ma controllate da cartelli bancari privati. A quel punto è
l’euro a imporre la sua legge, attraverso la Commissione Europea, cioè
il governo non-eletto dell’Europa. E la Commissione Europea vara la
norma finale, esiziale, per qualsiasi governo democratico: il pareggio
di bilancio, che equivale al decesso finanziario dello Stato. In regime
di sovranità (Usa, Giappone, resto del mondo) il debito pubblico misura la salute del paese: più il deficit è alto, più l’economia è prospera. L’Unione Europea inverte i termini del paradigma: taglia la spesa pubblica, e ottiene crisi.
L’Italia, addirittura, ha inserito il pareggio di bilancio in
Costituzione. E, peggio ancora, da anni il bilancio italiano è in
“avanzo primario”: per i cittadini, lo Stato spende meno di quanto i
contribuenti versino in tasse.
Come si è arrivati a questo? Smantellando la sinistra, risponde
Barnard, citando l’avvocato Lewis Powell, uno stratega di Wall Street
incaricato dalla Camera di Commercio Usa, all’inizio degli anni ‘70, di redigere un vademecum per guidare l’élite, spodestata dalla democrazia sociale nel dopoguerra, verso la riconquista dell’atavico potere
perduto. Detto fatto, come da manuale: leader radicali stroncati,
leader riformisti “comprati” per annacquare i loro partiti e sindacati,
rendendoli docili e spingendoli a convincere i loro elettori ad
accettare “riforme” concepite per “smontare” le tutele sociali,
privatizzando progressivamente l’economia.
Campioni assoluti, in Italia: personaggi come Romano Prodi, Giuliano
Amato e Massimo D’Alema. Berlusconi? Irrilevante: si è limitato a
proteggere i suoi interessi. Gli artefici delle “riforme strutturali”
provengono tutti dalla sinistra storica: la più adatta, come insegna
Lewis Powell, a convincere la società ad affrontare dolorosi
“sacrifici”, magari imposti sulla base di norme senza alcun fondamentio
economico, come il famigerato limite alla spesa pubblica, non oltre il
3% del Pil. Una invenzione di François Mitterrand, come ricorda
l’economista Alain Parguez, allora consulente del presidente francese.
Mitterrand? «Un monarchico, travestito da socialista». L’ennesima
maschera della sinistra messasi al servizio del supremo potere oligarchico, neo-feudale, ansioso di sbarazzarsi dell’ingombro della democrazia per tornare all’antico splendore.
La “mente” di Mitterrand? Jacques Attali, che Barnard definisce “il
maestro” di D’Alema, l’ex comunista italiano che, da Palazzo Chigi,
vantò il record europeo delle privatizzazioni. Nel suo libro “Massoni,
società a responsabilità illimitata”, Gioele Magaldi aggiunge un
ulteriore filtro alla lettura di Barnard, quello super-massonico,
derivante dal potere
di 36 organizzazioni segrete, denominate Ur-Lodges, in cui gli uomini
del massimo vertice mondiale – finanziario, industriale, militare,
politico – disegnano le loro trame, per condizionare governi e paesi. Di
Jacques Attali, Magaldi e Barnard offrono un ritratto preciso:
l’ennesimo uomo di sinistra, “convertitosi” alla causa dell’oligarchia.
E’ uno smottamento che investe l’intero Occidente: i Clinton e poi Obama
negli Usa,
Tony Blair in Gran Bretagna, Mitterrand in Francia, Gerhard Schröder in
Germania con la riforma Hartz che introduce la flessibilità nel lavoro
dipendente e i mini-salari dei minijob. Poi arrivano le Merkel e i
Trump, ma il “lavoro sporco” l’hanno già fatto gli “amici del popolo”,
quelli che ancora oggi in Italia cantano Bandiera Rossa e Bella Ciao,
dopo aver votato la legge Fornero e le finanziarie-suicidio di Mario
Monti, che per Magaldi milita, insieme
a Giorgio Napolitano, nella Ur-Lodge “Three Eyes”, la stessa di Attali,
storicamente guidata da personalità come quelle di David Rockefeller ed
Henry Kissinger, fondatori della Trilaterale.
Anche in Italia, il cortocircuito finanziario introdotto con l’euro (lo Stato improvvisamente in bolletta) si è trasformato in crisi economica, quindi sociale. Ma, ovviamente, il “più grande crimine”, il sabotaggio della sovranità e quindi della democrazia,
non è mai stato neppure lontanamente sfiorato dalla cosiddetta sinistra
radicale dei Bertinotti e dei Vendola, né tantomeno dalla Cgil. Era
tanto comodo il “demonio” Berlusconi, per catalizzare i mali del
Balpaese, fino a insediare a Palazzo Chigi direttamente la Trojka, il
commissario Monti (Trilaterale, Bilderberg, Goldman Sachs) tra gli
applausi di tutti i Bersani di Montecitorio. Poi è arrivato Grillo, poi
Renzi: come se il Grande Vecchio, lassù, si divertisse un mondo con il
suo giocattolo preferito, l’Italia, cioè il paese in cui nessuno
denuncia mai il vero problema, e dunque non può trovare soluzioni. Oggi
si sbriciola il Pd, ma nulla lascia supporre che finisca il “romanzo
criminale”, con i suoi personaggi-marionetta e le loro piccole partite,
fatte di primarie e poltrone, correnti e sigle, bullismi, rancori,
rivincite e vendette. Vacilla persino l’Unione Europea,
sono in atto rivolgimenti di portata mondiale che mettono in
discussione i caposaldi della globalizzazione neoliberista. E in Italia
sono in campo Renzi ed Emiliano, Di Maio e la Raggi, Salvini e D’Alema,
Prodi e Berlusconi, Pisapia e la Boldrini. Ancora una volta, gli amici
del Grande Vecchio potranno dormire sonni tranquilli: l’Europa sta per
franare, a cominciare dalla Francia, ma non sarà certo l’Italia a
impensierire i grandi architetti della crisi.
22 febbraio 2017 http://www.libreidee.org
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