Si chiama Bello Figo, è stato scoperto da Andrea Diprè e
crede di essere un rapper mentre invece è solo un ragazzino immigrato
dieci anni orsono dal Ghana che, non avendo nulla da fare tutto il
giorno, dispensa volgarità illudendosi di essere il Re dello Swag, una
star di YouTube. Cosa ancora più grave: qualcuno glielo fa anche
credere.
Di certa gente non bisognerebbe parlare come in una sorta di damnatio
memoriae e infatti lo faremo il meno possibile. Molto meglio dedicarsi
allo spettacolo pietoso offerto dalle solite ancelle dei buoni
sentimenti, pronte sempre a difendere l’indifendibile pur di tenere fede
alla storiella dei poveri migranti discriminati, vilipesi e offesi dai
soliti razzisti.
Ma prima vediamo i fatti: un ragazzotto ghanese, noto prima con il
nome di Gucci Boy e poi di Bello Figo Gu, pensa di diventare famoso
producendo una vasta gamma di pezzi rap di dubbia qualità (ma
soprattutto di dubbio gusto) incentrati spesso e volentieri su
irripetibili porcate a sfondo sessuale ma senza disdegnare temi profondi
e toccanti come ad esempio il suo amore per la pasta col tonno. La qual
cosa, visto che il suo talent scout è Andrea Diprè, non avrebbe destato
scalpore se non fosse arrivata la pietra miliare delle sue composizioni
poetico-musicali: “Non pago affitto”. In questa fantastica lirica il
nostro artista, con una certa arroganza e strafottenza, ci fa sapere che
il suo status di immigrato lo porta a non pagare l’affitto, campando
orgogliosamente a scrocco, a vivere in un albergo di lusso, a potersi
permettere di rifiutare lavori da operaio (tanto paga Pantalone) e a
pretendere soldi e wi-fi gratuito.
Per carità di Patria rimandiamo all’ascolto dei più curiosi ciò che
il nostro delicato compositore intenderebbe fare alle donne bianche,
considerate come oggetti, come schiave sessuali, come bestie in una
sorta di accanimento basato sul colore della pelle. Queste dolci
pratiche sono l’ossessivo filo conduttore di molti dei suoi pezzi.
Evidentemente in Ghana si usa così; qui siamo in Italia e forse il
nostro amico non conosce bene le donne italiane le quali, di fronte a un
simile trattamento, sarebbero generalmente capaci di riservargli una
enorme quantità di calci ben assestati nel sedere. Diciamo
“generalmente” perché, se non si fosse trattato di un profugo e se
viceversa ci fossimo trovati di fronte a un italiano che inveisce contro
un migrante o una donna di colore, probabilmente la presidentessa Laura
Boldrini avrebbe inviato gli agenti del Kgb a prelevare il sessista,
“L’Unità” si sarebbe indignata chiedendone il linciaggio, “Il Fatto
quotidiano” avrebbe chiesto l’arresto del razzista, Eugenio Scalfari si
sarebbe fatto venire gli attacchi di panico scrivendo un’articolessa più
lunga, barbosa e prosaica del solito e le paladine del femminismo
avrebbero presenziato al solito circo mediatico progressista a reti
unificate per denunciare scandalizzate lo spiacevole episodio.
E invece, colpo di scena. Nemmeno un silenzio imbarazzato, nemmeno un
tentativo di sorvolare sull’argomento evocando il sempre utile
benaltrismo. Abbiamo dovuto constatare uno scomposto tentativo di
rigirare la frittata, di rimestare nel torbido, di far stridere gli
specchi. Qui si tratta di non arretrare di un millimetro sulla
narrazione del migrante che va difeso dagli attacchi xenofobi e
populisti anche se si è al cospetto di uno sciocchino clamoroso; qui si
tratta di fare a oltranza del razzismo al contrario e di sostenere la
tesi in base alla quale migrante è bello sempre ed eventuali problemi
sono da addebitare all’ospitante occidentale, il quale avrà sempre
qualcosa di cui doversi scusare (dall’imperialismo che impoverisce
l’Africa alle condizioni di accoglienza che incattiviscono l’ospitato
che non riesce a integrarsi per colpe non sue, fino ad arrivare per
successive approssimazioni anche al buco dell’ozono se serve).
La tesi progressista più ardita (e per questo paradossalmente
apprezzabile) vorrebbe che i contestatori di Bello Figo non avessero
capito la sottile ironia del rapper, il quale si sarebbe addirittura
reso artefice di un pezzo di denuncia teso a scimmiottare con crudele
ironia i luoghi comuni razzisti nei confronti degli immigrati. Un genio
incompreso della comunicazione, insomma, il quale eserciterebbe una
meta-ironia contraddistinta da un urgente spontaneismo troppo sottile
per gli incolti populisti che lo contestano prendendo le sue posizioni
sofisticate per arroganti modi di fare sessisti e fancazzisti.
Peccato che, interrogato sul tema, il nostro Bello Figo abbia
confermato bellamente (e figamente) di essere contento del suo status di
ospite nullafacente e di fregarsene se per caso le vittime del
terremoto sono per strada mentre lui fa il bello figo con i soldi della
collettività. La tesi più prosaica invece vuole il rapper vittima di
violenza ad opera di cellule di stampo neofascista che, nell’inquietante
vuoto istituzionale, hanno impedito con atti intimidatori al cantante
di tenere i suoi concerti (sì, avete capito bene, concerti) in alcuni
locali in giro per l’Italia.
Quindi qui la frittata si è capovolta: non è Bello Figo a istigare
alla violenza sessuale sulle donne e al furto (nella fattispecie di
biciclette), oltre che provocare in maniera più o meno esplicita e
istigare all’odio verso gli italiani, ma sono gli altri ad impedirgli di
esprimere la sua arte. Poi, vai a vedere quali sarebbero questi atti
intimidatori e ti rendi conto che si tratta di qualche striscione (si
potrebbe tranquillamente contestarne il buon gusto) o di qualche lettera
di diffida tramite raccomandata agli organizzatori dei concerti con
promessa di picchettaggio.
Che le date siano state annullate per simili scemenze è ovviamente un
espediente comunicazionale nemmeno troppo sofisticato teso a
trasformare il carnefice in vittima. Che poi Giulia Innocenzi si faccia
fotografare in compagnia del cantante in questione (il quale in perfetta
continuità con le sue tesi posa con il pacco a favor di obiettivo),
invocando contro il suo linciaggio l’intervento del ministro
dell’Interno, appartiene al folklore cui ci ha abituato questa ragazza
di buona famiglia e senza particolari qualità che gioca a Che Guevara
per vincere la noia.
di Vito Massimano - 09 febbraio 2017
fonte: http://www.opinione.it
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