Egregio senatore a vita, è un Paese civile quello nel quale un
amministratore di un ente di Stato, che venga condannato in primo grado a
sette anni e mezzo per un episodio drammatico, non è dimissionato? Che
fine ha fatto il rispetto delle sentenze che tanto si invoca?
È un Paese civile quello nel quale un ministro della Pubblica
istruzione indica nel curriculum una laurea che non possiede e non viene
invitato alle dimissioni immediate? È un Paese civile quello in cui le
banche bruciano truffaldinamente i risparmi dei cittadini senza che
nessuno degli organi di vigilanza se ne accorga e intervenga
preventivamente? È un Paese civile quello che a cinque mesi da un
drammatico terremoto che ha colpito quattro regioni e migliaia di
persone con decine di morti, consegna solo venti casette da estrarre a
sorte? È un Paese civile quello in cui i processi durano all’infinito,
spesso si prescrivono ed è sempre colpa delle fotocopiatrici che
mancano, degli assistenti che scarseggiano o delle troppe cause che si
intentano?
Bene, per noi caro Presidente emerito, sono molto ma molto “più
incivili” questi motivi per un Paese che quello di portare il popolo al
voto per dargli modo di esprimersi. Veda, caro Presidente, lei è persona
troppo colta e intelligente per derubricare a fenomeno di poca civiltà
l’utilizzo della tattica in politica, perché se così fosse non ci
sarebbero aggettivi per definire la nostra storia degli ultimi decenni.
Oltretutto Matteo Renzi l’ha voluto lei, Presidente Napolitano, visto
che gli italiani non hanno avuto il piacere o il dispiacere di
sceglierlo attraverso libere elezioni. Nei Paesi civili si vota ogni
volta che si deve votare e poche o troppe che siano le votazioni sono
sempre espressione di democrazia, di libertà e di rispetto dei
cittadini.
Due mesi fa il popolo italiano, anche se le sarà dispiaciuto, ha
espresso sul referendum un giudizio così netto e forte da far sciogliere
altro che le Camere, ecco perché la gente vorrebbe votare. Noi siamo
tra quelli che pensano sia meglio qualche votazione in più che qualche
votazione in meno, perché quando con un motivo o con l’altro si rimanda
troppo puzza di bruciato. Del resto la scusa del rischio di
ingovernabilità e del voto inutile tiene poco perché da noi si è votato
sempre tanto eppure siamo arrivati fino a oggi. Il problema dunque non è
tanto o poco, da noi il problema è la paura di perdere, la paura del
giudizio della gente e questa paura nasce dalla consapevolezza che forse
stavolta si è passato il segno e i cittadini non ne possono più.
Inutile fare l’elenco delle ragioni che nel tempo hanno esasperato
gli animi, ci vorrebbe una cartiera, eppure la politica è riuscita a
fare anche questo. Insomma, rimandare può avere senso solamente se si è
capito a che punto siamo arrivati e cosa serva per rimediare e creda,
signor Presidente emerito, in un Paese civile normalmente si capisce
subito quel che c’è da capire.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca
04 febbraio 2017fonte: http://www.opinione.it
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