Gli inviti alla sordina sulle gravi disfunzioni, 
disattenzioni e sottovalutazioni legate alla tragedia del Rigopiano la 
dicono lunga sullo stile della politica di Governo. Del resto, se così 
non fosse, non si spiegherebbe come mai il Governo solo oggi parli di 
maggiori poteri e capacità di intervento rispetto alle calamità che la 
natura ci manda. Il problema però, su cui si cerca di glissare, non è il
 dopo, ma ovviamente il prima. La stragrande parte delle tragedie, 
infatti, che purtroppo ci troviamo a commentare, sono riconducibili alla
 mancanza di prevenzione e previsione di circostanze che tutto sono 
fuorché tristi fatalità. Non è fatalità la neve nei luoghi terremotati, 
anche se stavolta ne è caduta tantissima; non è fatalità l’interruzione 
dell’energia elettrica quando le linee corrono fra gli alberi; non è 
fatalità la consapevolezza di mezzi fermi in officina. Non è fatalità 
neppure la conoscenza di tante frazioni che, per la loro collocazione, 
sono ovviamente esposte al rischio di isolamento.
Insomma, cercare di derubricare le sottovalutazioni e le omissioni a 
circostanze imprevedibili, più che sorprendente è inaccettabile. Qui non
 si tratta di volere a tutti i costi accusare questo o quello, ma di 
evidenziare i gravi limiti di un sistema che per le esperienze vissute 
dovrebbe oggi funzionare alla perfezione, anche di fronte a fenomeni 
eccezionali. Per questo da parte di tanti sorgono spontanee le domande 
su come ciò sia stato possibile, a partire dal mancato utilizzo 
massiccio e preventivo dell’apparato militare a supporto della 
Protezione civile.
Oltretutto stiamo parlando di territori che, per quanto vasti e 
frazionati, non sono grandi come il Texas e dunque non si capisce perché
 sin dall’inizio dei fenomeni sismici e climatici non siano stati 
preventivamente e adeguatamente presidiati. Come se non bastasse, è 
evidente che a capo di certe strutture debbano esserci non solo persone 
perbene, ma anche dotate di esperienza e capacità, queste sì eccezionali
 e straordinarie. A quei livelli, infatti, non solo servono ovviamente 
poteri speciali per disporre preventivamente e autonomamente di tutto 
ciò che si ritiene necessario e indispensabile, ma un’esperienza 
ciclopica maturata sul campo. Solo così si capisce la necessità di 
mappare la rischiosità di alcuni insediamenti per disporre la 
prevenzione, si capisce l’urgenza ex ante di disporre verifiche e 
interventi così come e quanto attrezzare prima certi luoghi e certe 
zone.
Insomma, il rinforzo degli ormeggi e degli ancoraggi va fatto prima 
che arrivi la tempesta, anche se questa è semplicemente possibile. Per 
questo, all’indomani del 24 agosto bisognava predisporre un piano 
straordinario e ridondante di presenze, assistenze, consulenze e 
provvidenze in ognuno, anche il più isolato di quei luoghi. Quindi, che 
piaccia o no, sono tanti quelli che hanno avuto la sensazione che 
dall’alto della catena dei comandi ci fossero smagliature e 
sottovalutazioni. Non ci riferiamo ovviamente alla quantità di uomini, 
di tutte le forze, compresi i volontari, che hanno operato da eroi 
incessantemente con una volontà e un coraggio da leoni, ci riferiamo a 
quelli della “stanza dei bottoni”. Ecco perché in questi casi non serve 
invitare ad evitare le polemiche ritenendole strumentali se non peggio, 
anzi. È troppo facile parlare dei successi e sottacere gli errori quando
 le evidenze sono pubbliche. La protezione dei cittadini per essere 
compiutamente tale deve nascere prima e ovunque, deve poter arrivare 
dappertutto per essere attiva al più piccolo segnale, deve poter avere 
qualsiasi supporto a semplice richiesta. Del resto il tempo in questi 
casi è la variabile fondamentale, per gli alloggi, per i soccorsi, per 
la prevenzione degli abusi edilizi, per la messa in sicurezza 
idrogeologica, per la sicurezza dei cittadini. In fondo è vero o non è 
vero il suggerimento di quell’antico e sapiente adagio che dice: “Chi ha
 tempo non aspetti tempo”.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca - 25 gennaio 2017
fonte: http://www.opinione.it 
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