Matteo Renzi capisce di essere stretto alle corde e nel confronto di merito sul referendum evita di addentrarsi nelle argomentazioni e si limita, nelle ormai quotidiane apparizioni in televisione, a ripetere come un mantra che il quesito scritto sulla scheda elettorale è abbastanza chiaro e netto: si tracci una X sul “Sì” - proclama - se si vuole abolire il bicameralismo paritario, ridurre le spese e le poltrone, ed avere una reale governabilità; se invece si vuole restare fermi nella palude si voti “No”. E il classico sistema di parlare solo di poche e semplici cose, presentate come il toccasana di ogni problema, presumendo che vengano percepite immediatamente dagli elettori (senza porsi tra l’altro il problema della semina di concime sul terreno caro a Beppe Grillo ed ai pentastellati) per tenersi lontano dalla vera natura e dai veri obiettivi che ci si pone con l’attuale riforma costituzionale. Questo atteggiamento oltre ad essere indice di cattiva educazione nei confronti degli interlocutori, dimostra quanto sia pericoloso il Matteo di Rignano.
Parlare di risparmi (che non ci sono), parlare di taglio delle poltrone (in misura veramente insufficiente), o di fine del ping-pong (che è solo elemento di propaganda) è come buttare la palla fuori campo, facendolo apparire, almeno spera, per quello che non è, e spostando la discussione dai timidi accenni alla deriva autoritaria e liberticida, che sta dentro le maglie degli articoli “riformati”, al volgare e qualunquistico “taglio delle poltrone”. Del resto cosa ci si può aspettare da un apprendista dittatore che sta lavorando per realizzare il proprio inconfessabile obiettivo? Non certamente la verità. Per questo Renzi crede sia opportuno spostare l’attenzione su altro.
Sugli articoli della riforma, finalizzati al consolidamento del potere renziano, il più pericoloso è l’articolo 90 che, pur essendo uguale a quello della attuale Costituzione, ha assunto, con la riduzione del Senato a 100 unità e il mantenimento della Camera a 630, un diverso e terribile potere. La modifica del quorum necessario per tenere sotto scacco il Presidente della Repubblica, infatti, passa dai 476 (che sono il 51 per cento degli attuali parlamentari), ai 368 previsti dalla riforma liberticida. Se l’Italicum dà al partito che vince il ballottaggio ben 340 deputati che Renzi e Grillo individueranno sulla base della fedeltà assoluta dei prescelti, non sarà una impresa difficile trovare al Senato almeno altri 28 fedelissimi. Il risultato è quello di un Mattarella senza protezione.
Ma se le cose stanno così e i numeri parlano chiaro, non si capisce perché il fronte del “No” non dice chiaramente come stanno le cose dichiarando apertamente che Renzi è un pericolo per la Repubblica e deve essere sbattuto fuori. È lui che sta attentando alla Costituzione dopo averci giurato sopra. Non sarebbe, comunque, una gran perdita per l’Italia che, in questi 1000 giorni di renzismo (con la promessa di una riforma al mese mai mantenuta), è stata riempita di promesse a iosa e di mance e mancette che, rasentando il voto di scambio, hanno fatto volare il debito pubblico dal 116 per cento del Pil lasciato dal Cavaliere all’attuale 132 per cento. Siamo ormai nella fase finale della campagna elettorale sul referendum costituzionale e non è ininfluente, per il dopo 4 dicembre, una vittoria del No non di stretta misura, ma realizzata con largo margine, cioè sopra al 60 per cento. Nel primo caso l’imbroglione resterà in sella a galleggiare e continuerà a far danni, nel secondo caso il Presidente della Repubblica non potrà far finta di niente. Dovrà prendere atto che il feeling tra l’attuale Premier e gli italiani è finito e seppellito, e bisognerà voltare pagina.
Il tempo per approntare la nuova legge elettorale e via al voto. Oppure se la Corte costituzionale dinanzi alla quale pende ricorso contro l’Italicum dovesse decidere e le sue decisioni soddisfano la maggioranza del Parlamento si devono sciogliere le Camere e votare, finalmente, per un Parlamento che sostituisca la vergogna di quello attuale infestato di voltagabbana. Avanti, quindi, intensificando la raccolta dei consensi attorno al “No” che oggi è l’unico baluardo contro la casta dei professionisti della politica, delle banche e dei poteri forti. L’Italia, la mattina del 5 dicembre, dovrà finalmente potersi svegliare dal lungo letargo che l’ha pervasa.
di Giovanni Alvaro - 26 novembre 2016
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