Tu chiamala se vuoi, incoerenza. O, se si preferisce, pantomima.
Continua e indefessa. Peccato, perché qualcuno ci aveva veramente
creduto che Matteo Renzi avesse potuto alzare la voce,
“sbattere i pugni sul tavolo”, con l’euroburocrazia e con quella
politica della Commissione europea che a volerla rappresentare non viene
altra immagine in mente che quella di un cappio al collo. Eppure il
premier aveva parlato chiaro: “abbbiamo messo il primo veto a Bruxelles –
aveva detto tre giorni fa a Catania – perché non accettiamo che con i
nostri soldi si alzino i muri”. Ecco, abbiamo scherzato. Alla fine
l’Italia ha preferito semplicemente astenersi, una mossa decisamente
timida e soprattutto permissiva rispetto a quanto annunciato.
Solo fumo – Ma la domanda nasce spontanea: c’è da
sorprendersi? Niente affatto. Ormai Renzi ci ha abituato a
repentinicambi di passo. IncoeRenzi, appunto. Qualche esempio? Presto
detto. Prima della “presa” del Pd, l’attuale premier diceva: “Se vinco
io, mai più larghe intese”. Sappiamo bene com’è andata a finire. Rimarrà
storico, poi, l’#enricostaisereno, diventato ormai slang di uso comune
da assimilare al più classico dei “giuda”, subito seguito dalla promessa
infranta di un Renzi al Governo solo dopo un voto popolare. Come non
dimenticare ancora le promesse di rottamazione e di una Rai svuotata dai
partiti. A guardare oggi i cda delle società pubbliche e i direttori
delle tre reti del servizio pubblico, resta tanto amaro, misto a un
sapore di presa per i fondelli. Sapore sadico, peraltro, dato che
puntualmente ci si ricasca. È successo col ponte di Messina, promesso in
pompa magna all’anniversario della Salini e poi cassato già nelle bozze
della Stabilità; è successo col referendum, per il quale Renzi prima ha
blaterato di un eventuale fine del Governo in caso di vittoria del No e
poi si è rimangiato tutto. A lungo il premier ha promesso Piroette.
Anzi, piroenzi. E che dire dell’ultimo “spottone” regalato agli
elettori? Decontribuzione totale a chi assume al Sud, ha detto il
premier. Magari. Siamo tutti qui in attesa che la misura venga
concretamente adottata. Peccato però che il Mezzogiorno, al di là delle
parole, non si sia dimostrato (almeno per ora) una priorità per questo
Governo. Il tanto blasonato Masterplan non ha portato ad alcun effetto
concreto. Quel chr resta sono le foto e i video delle firme tra Governo e
Regioni sbandierate come fosse un traguardo storico. Pubblicità.
Elettori gabbati – E già, perchè non si può negare
che Renzi sia un grande comunicatore. Ma nella misura in cui i suoi
restano solo annunci, il comunicatore è un populista. Lo scrive, nero su
bianco, il politologo Mauro Calise nel suo ultimo libro (“La democrazia del leader”):
“a tutti coloro che insistono a chiedersi in cosa consista il renzismo,
la risposta più semplice è che il principio costitutivo è data dalla
fiducia nel leader”. Una fiducia, continua Calise, che è data “non dai
risultati che è in grado di conseguire”, ma per quelli che “si mostra
capace di far, più o meno vagamente, intravedere”. E non è un caso che
un sociologo di primissimo piano come Paolo Mancini (“Il post partito”)
dica chiaramente che quello di Renzi è “populismo all’ennesima
potenza”, perché crasi di quello berlusconiano (che si è mosso sulla
comunicazione televisiva) e quello grillino (web). Ma l’effetto
direttamente immediato è che si finisce col tradire propri elettori, col
lasciarli senza punti di riferimento, spaesati da promesse fatte e poi
puntualmente disattese. Grillo e gli avversari di Renzi possono solo
ringraziare. Se non fosse che, bontà loro, Cinque Stelle e centrodestra
sono un tantinello più sconquassati del Pd. E gli unici a rimetterci,
manco a dirlo, sono gli elettori. Cornuti, mazziati e spaesati.
fonte: http://www.lanotiziagiornale.it
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