DUE PESI E DUE MISURE
Parla angela Del Vecchio, docente di diritto internazionale all'università Luiss di Roma
Del caso marò «all’umiliazione subita dall’India quando limitò le
immunità diplomatiche del nostro ambasciatore nel marzo 2013», fino
all’atto compiuto dal governo italiano richiamando l’ambasciatore al
Cairo per il caso di Giulio Regeni: relazioni diplomatiche e dignità
nazionale sono al centro di una conversazione con la professoressa
Angela Del Vecchio, docente di diritto internazionale all’università
Luiss Guido Carli.
Professoressa, che rilevanza ha richiamare per consultazioni l’ambasciatore?
«Italia ed Egitto non hanno chiuso le relazioni. Il nostro governo ha
richiamato a Roma l’ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari».
È una misura che segna l’incrinarsi dei rapporti?
«Il richiamo per consultazioni è una misura frequente. Significa che
nei rapporti tra due stati ci sono delle difficoltà rilevanti. Nel caso
dell’Egitto la una situazione è complessa».
Il rientro dell’ambasciatore Massari...
«Non è una misura particolarmente grave. L’ambasciatore viene
richiamato e si consulta alla Farnesina con il ministro degli Esteri:
riferirà a Paolo Gentiloni sulla situazione legata al caso Regeni».
Per lanciare un messaggio più forte che strumenti ci sono?
«La rottura delle relazioni diplomatiche. L’ultimo caso si è registrato
dopo l’attacco degli islamisti al consolato americano a Bengasi, con la
morte dell’ambasciatore Usa in Libia, Christopher Stevens. Come
reazione Washington ha interrotto le relazioni con la Libia. Un
messaggio politico».
Torniamo all’inchiesta Regeni.
«L’Italia è insoddisfatta dei rapporti con l’Egitto, le istanze del
governo hanno difficoltà ad essere recepite dalla controparte, al punto
che è stata avanzata un’altra rogatoria internazionale per accertamenti e
prove. Mentre il governo egiziano non ha richiamato il proprio
ambasciatore a Roma».
Nella contesa con l’India per i marò, l’Italia poteva essere più incisiva?
«Nel caso di Latorre e Girone bisognava fare ben altro. Nel marzo 2013
abbiamo subito una offesa gravissima con la limitazione delle immunità
diplomatiche dell’ambasciatore Mancini, un provvedimento che non si
applica nemmeno in tempo di guerra. Lì sarebbe stato significativo
richiamare il nostro diplomatico».
Perché?
«Si tratta di un caso che si studia nelle università e rappresenta
un’umiliazione unica per la dignità nazionale di un paese. La libertà di
movimento di un diplomatico è una immunità riconosciuta che risale
addirittura alla Repubblica Veneta».
Il governo di Mario Monti cosa avrebbe potuto fare?
«Doveva convocare a Roma l’ambasciatore. Se il rientro di Mancini in
Italia fosse stato impedito dall’India, l’Italia doveva ricorrere alla
Corte Internazionale di Giustizia, per una violazione delle norme sulle
relazioni diplomatiche più antiche che ci sono».
L’immobilismo dell’esecutivo ha avuto conseguenze con l’India?
«Certo. La Corte suprema di Nuova Delhi e il ministero dell’Interno
indiano hanno ritirato il provvedimento ma l’Italia è rimasta immobile,
una posizione molto debole».
Il silenzio di Roma...
«Ha indebolito la posizione italiana. Siamo rimasti inermi di fronte a
violazioni gravi del diritto diplomatico e consolare. L’India ha pensato
di poter essere meno rispettosa nei nostri confronti. L’Italia non è
apparsa né forte né dignitosa».
Il 13 aprile c’è una nuova udienza della Suprema corte indiana: si deciderà della proroga del permesso di Latorre.
«C’è da attendersi che si prosegua nel blocco di ogni procedura
giudiziaria per i fucilieri di Marina, stante la procedura arbitrale».
Si attende anche il responso del Tribunale de l’Aja sulla richiesta italiana di rimpatrio di Girone.
«Difficile fare previsioni. In Olanda i magistrati decideranno secondo il diritto internazionale».
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