l'Occidentale -
Dal primo giorno della scomparsa al rinvenimento del cadavere di Giulio
Regeni, visiting student all’American University del Cairo, i giornali
dell’establishment hanno subito puntato il dito contro Al Sisi. Mentre i
due tecnici della Bonatti uccisi i primi di marzo in Libia sono stati
immediatamente dimenticati, media, blog, social network si sono
mobilitati contro l’Egitto.
L’ambasciatore Massari ha dichiarato al Corriere il 6 febbraio che
Regeni era stato seviziato e torturato e di avere temuto una fine
terribile fin dal giorno della scomparsa, quinto anniversario di piazza
Tahrir. L’amico di Regeni Gennaro Gervasio – diceva l’ambasciatore – gli
aveva telefonato preoccupato perché aveva atteso invano Regeni per
quasi due ore e temeva fosse caduto vittima del regime.
Il generale Al Sisi, il salvatore dell’Egitto dalla dittatura dei
Fratelli Musulmani, lo scudo contro il terrorismo islamista, il grande
alleato dell’Italia, è diventato all’improvviso il nuovo Hitler. Mai i
media si sono tanto impegnati per la morte di un cittadino italiano,
tenendo sotto schiaffo governo e magistrati egiziani, e auspicando, come
la blogger della Stampa, Francesca Paci, una rivoluzione contro Al
Sisi.
Per Francesca Paci, autrice dell’Islam sotto casa, e per tanti
blogger e giornalisti di sinistra Regeni è diventato il martire da
gettare in faccia ad Al Sisi e si sono moltiplicate le notizie di
movimenti giovanili e sindacali in marcia contro il dittatore. Poi, il
richiamo dell’ambasciatore e l’irritazione egiziana per la
politicizzazione dell’omicidio. Il contenzioso tra il governo Renzi e
l’Egitto sta diventando complesso, a tratti fumoso, perché il governo
Renzi accusa l’Egitto di non volere consegnare i tabulati telefonici, ma
i magistrati italiani hanno il pc usato da Regeni per telefonare e
quasi 600mila file che non hanno mai passato agli egiziani.
È singolare che giornali “british” come il Corriere non abbiano mai
rivelato in questi mesi l’esistenza di un vasto network italiano di
riviste online, blog, osservatori, a cui partecipano anche docenti di
università italiane, dal 2014 particolarmente attivo in Egitto per
contattare e mobilitare dissidenti e sindacalisti, convinti di poter
fare la rivoluzione. Uno degli attivisti più impegnati, il globetrotter
del marxismo in Egitto, è appunto Gennaro Gervasio, docente alla
British University del Cairo, l’amico di Regeni che telefonò a Massari,
anche autore di un libro sulle arab spring, intitolato Le rivoluzioni
della dignità.
Se si legge l’enorme quantità di articoli e interviste di questo
network, di cui “il manifesto” è il riferimento teorico principale, è
chiaro che quest’armata Brancaleone sperava di fare la rivoluzione
d’Egitto. E un martire è sempre utile per lanciare una rivoluzione.
Anche se per gli egiziani i marxisti italiani erano e sono probabilmente
l’ultima preoccupazione. Turismo accademico chiacchierone e
squattrinato.
Poiché si sa che la rivoluzione di Gheddafi contro la monarchia
filobritannica fu preparata dall’ambasciata di Libia a Roma il 12
dicembre 1969, lo stesso giorno della strage di piazza Fontana, e che il
golpe contro Bourghiba per insediare Ben Ali fu opera di Craxi,
Andreotti e il Sismi, non si capisce lo scandalo se l’intelligence
egiziana avesse sorvegliato l’ambasciata italiana al Cairo, filmando chi
entrava e usciva. È regolare routine sorvegliare e intercettare le
ambasciate straniere in tutto il mondo, perché le ambasciate sono anche
luoghi dove si ricevono dissidenti e oppositori.
Il governo Renzi minaccia ora di boicottare il turismo in Egitto, ma
Al Sisi ha ricevuto in questi giorni il sovrano saudita che ha
annunciato un ponte sul mar Rosso che collegherà Egitto e Arabia saudita
e i due Paesi hanno firmato accordi di investimenti per vari miliardi
di euro. Dal 2013 l’Arabia Saudita e altri Stati del Golfo hanno
finanziato generosamente l’Egitto. La Francia ha annunciato un contratto
miliardario per forniture militari, la russa Lukoil comprerà da Eni il
20% di Zohr, la tedesca Siemens ha firmato ieri un contratto per
modernizzare le ferrovie egiziane.
Gli egiziani non avranno certo problemi a sostituire le imprese
italiane. Per il turismo, poi, l’Egitto può contare sui ricchi sudditi
dell’Arabia saudita, alleato storico del Regno Unito, dal quale i
sauditi sono aiutati nella guerra in Yemen insieme a truppe egiziane. La
Russia di Putin e Lavrov, alleata di Iran e Siria, tiene al rapporto
con l’Arabia saudita per stabilizzare la sua zona d’influenza e porsi
come mediatore autorevole in Medio Oriente.
Fa tristezza l’ottuso cinismo con cui è stata sfruttata la morte del
ragazzo di Fiumicello, poiché la politicizzazione della fine di Regeni
ha avuto solo la funzione di tentare di azzoppare Al Sisi, perché
alleato di Haftar di Tobruk in Libia. In questa ennesima sceneggiata
del circo politico-mediatico, l’obiettivo è solo la Libia, la folle,
assurda speranza che la Libia persa nel 1945, riagguantata nel 1969,
tradita, bombardata e persa nel 2011 possa rientrare nell’area di
influenza italiana. Solo un establishment alla deriva può coltivare
simili illusioni.
Non è necessario essere Sherlock Holmes per sapere che di fronte a un
omicidio s’indaga subito su amici, conoscenti e ambiente di lavoro.
Poi, chiunque sia stato visiting scholar o visiting professor in una
città straniera, anche in città difficili, sa che tutta la vita ruota
intorno all’università, dalla pc, alla mensa, alle amicizie, ma anche
per chiedere aiuto. Se è vero, è strano che dopo solo due ore che Regeni
mancava, l’amico non si sia rivolto ai colleghi e amici della British
University del Cairo o dell’American University in cerca di aiuto, ma
abbia subito pensato fosse stato sequestrato dai servizi segreti di Al
Sisi e telefonato all’ambasciatore. Giulio Regeni era solo un
dottorando, anche come attivista era l’ultima ruota del carro, “il
manifesto” neppure voleva i suoi articoli e pubblicava con pseudonimo.
Quindi, se i servizi segreti di Al Sisi avessero voluto davvero
accoppare qualcuno dell’armata Brancaleone del Cairo, avrebbe fatto
fuori l’amico Gervasio, famoso globetrotter del marxismo in Egitto. Di
fronte agli sciacalli dell’armata Brancaleone della rivoluzione e della
ragion di stato si prova infinita pena per il ragazzo col gattino.
- Daniela Coli - Martedì, 12 Aprile 2016
- fonte: http://www.lsblog.it
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