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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

13/04/16

CASO REGENI - Ma l'Italia si mobilita per Regeni o contro Al Sisi?



l'Occidentale - Dal primo giorno della scomparsa al rinvenimento del cadavere di Giulio Regeni, visiting student all’American University del Cairo, i giornali dell’establishment hanno subito puntato il dito contro Al Sisi. Mentre i due tecnici della Bonatti uccisi i primi di marzo in Libia sono stati immediatamente dimenticati, media, blog, social network si sono mobilitati contro l’Egitto.
L’ambasciatore Massari ha dichiarato al Corriere il 6 febbraio che Regeni era stato seviziato e torturato e di avere temuto una fine terribile fin dal giorno della scomparsa, quinto anniversario di piazza Tahrir. L’amico di Regeni Gennaro Gervasio – diceva l’ambasciatore – gli aveva telefonato preoccupato perché aveva atteso invano Regeni per quasi due ore e temeva fosse caduto vittima del regime.
Il generale Al Sisi, il salvatore dell’Egitto dalla dittatura dei Fratelli Musulmani, lo scudo contro il terrorismo islamista, il grande alleato dell’Italia, è diventato all’improvviso il nuovo Hitler. Mai i media si sono tanto impegnati per la morte di un cittadino italiano, tenendo sotto schiaffo governo e magistrati egiziani, e auspicando, come la blogger della Stampa, Francesca Paci, una rivoluzione contro Al Sisi.
Per Francesca Paci, autrice dell’Islam sotto casa, e per tanti blogger e giornalisti di sinistra Regeni è diventato il  martire da gettare in faccia ad Al Sisi e si sono moltiplicate le notizie di movimenti giovanili e sindacali in marcia contro il  dittatore. Poi, il richiamo dell’ambasciatore e l’irritazione egiziana per la politicizzazione dell’omicidio. Il contenzioso tra il governo Renzi e l’Egitto sta diventando complesso, a tratti fumoso, perché il governo Renzi accusa l’Egitto di non volere consegnare i tabulati telefonici, ma i magistrati italiani hanno il pc usato da Regeni per telefonare e quasi 600mila file che non hanno mai passato agli egiziani.
È  singolare che giornali “british” come il Corriere non abbiano mai rivelato in questi mesi l’esistenza di un vasto network italiano di riviste online, blog, osservatori, a cui partecipano anche docenti di università italiane, dal 2014 particolarmente attivo in Egitto per contattare e mobilitare dissidenti e sindacalisti, convinti di poter fare la rivoluzione. Uno degli attivisti più impegnati, il globetrotter del marxismo in Egitto,  è appunto Gennaro Gervasio, docente alla British University del Cairo, l’amico di Regeni che telefonò a Massari, anche autore di un libro sulle arab spring, intitolato Le rivoluzioni della dignità.
Se si legge l’enorme quantità di articoli e interviste di questo network, di cui “il manifesto” è il riferimento teorico principale, è chiaro che quest’armata Brancaleone  sperava di fare la rivoluzione d’Egitto. E un martire è sempre utile per lanciare una rivoluzione. Anche se per gli egiziani i marxisti italiani erano e sono probabilmente l’ultima preoccupazione. Turismo accademico chiacchierone e  squattrinato.
Poiché si sa che la rivoluzione di Gheddafi contro la monarchia filobritannica fu preparata dall’ambasciata di Libia a Roma il 12 dicembre 1969, lo stesso giorno della strage di piazza Fontana, e che il golpe contro Bourghiba per insediare Ben Ali fu opera di Craxi, Andreotti e il Sismi, non si capisce lo scandalo se l’intelligence egiziana avesse sorvegliato l’ambasciata italiana al Cairo, filmando chi entrava e usciva. È regolare routine sorvegliare e intercettare le ambasciate straniere in tutto il mondo, perché le ambasciate sono anche luoghi dove si ricevono dissidenti e oppositori.
Il governo Renzi minaccia ora di boicottare il turismo in Egitto, ma Al Sisi ha ricevuto in questi giorni il sovrano saudita che ha annunciato un ponte sul mar Rosso che collegherà Egitto e Arabia saudita e  i due Paesi hanno firmato accordi di investimenti per vari miliardi di euro. Dal  2013 l’Arabia Saudita e altri Stati del Golfo hanno finanziato generosamente l’Egitto. La Francia ha annunciato un contratto miliardario per forniture militari, la russa Lukoil comprerà da Eni il 20% di Zohr, la tedesca Siemens ha firmato ieri un contratto per modernizzare le ferrovie egiziane.
Gli egiziani non avranno certo problemi a sostituire le imprese italiane. Per il turismo, poi, l’Egitto può contare sui ricchi sudditi dell’Arabia saudita, alleato storico del Regno Unito, dal quale i sauditi sono aiutati nella guerra in Yemen insieme a truppe egiziane. La Russia di Putin e Lavrov, alleata di Iran e Siria, tiene al rapporto con l’Arabia saudita per stabilizzare la sua zona d’influenza e porsi come mediatore autorevole in Medio Oriente.
Fa tristezza l’ottuso cinismo con cui è stata sfruttata la morte del ragazzo di Fiumicello, poiché la politicizzazione della fine di Regeni ha avuto solo la funzione di tentare di azzoppare Al Sisi, perché alleato di Haftar di Tobruk in Libia. In questa ennesima  sceneggiata  del circo politico-mediatico, l’obiettivo è solo la Libia, la folle, assurda speranza che la Libia persa nel 1945, riagguantata nel 1969, tradita, bombardata e persa nel 2011 possa rientrare nell’area di influenza italiana. Solo un establishment alla deriva può coltivare simili illusioni.
Non è necessario essere Sherlock Holmes per sapere che di fronte a un omicidio s’indaga subito su amici, conoscenti e ambiente di lavoro. Poi, chiunque sia stato visiting scholar o visiting professor in una città straniera, anche in città difficili, sa che tutta la vita ruota intorno all’università, dalla pc, alla mensa, alle amicizie, ma anche per chiedere aiuto. Se è vero, è strano che dopo solo due ore che Regeni mancava, l’amico non si sia rivolto ai colleghi e amici della British University del Cairo o dell’American University in cerca di aiuto, ma abbia subito pensato fosse stato sequestrato dai servizi segreti di Al Sisi e  telefonato all’ambasciatore. Giulio Regeni era solo un dottorando, anche come attivista era l’ultima ruota del carro, “il manifesto” neppure voleva i suoi articoli e pubblicava con pseudonimo.
Quindi, se i servizi segreti di Al Sisi avessero voluto davvero accoppare qualcuno dell’armata Brancaleone del Cairo, avrebbe fatto fuori l’amico Gervasio, famoso globetrotter del marxismo in Egitto. Di fronte agli sciacalli dell’armata Brancaleone della rivoluzione e della ragion di stato si prova infinita pena per il ragazzo col gattino.

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