La
vicenda delle indagini su Tempa rossa, che ha portato all’arresto del
compagno della ormai ex ministro Federica Guidi, va ben
contestualizzata. Sia per capire l’inchiesta che per comprendere cosa è
questo governo e quali sono le sue prospettive.
Il primo filone di indagine
riguarda l'impianto Eni di Viggiano (Potenza). Questa parte
dell'indagine riguarda la gestione dei rifiuti. Ed è qui che
l’ipotesi di reato è quella di disastro ambientale. Quella che Renzi ha
liquidato in tv con la battuta “ma quale disastro ambientale qui non è
mai stata estratta una goccia di petrolio”. Il problema è che non siamo
al Bagaglino: l’accusa al centro oli dell’Eni di Viggiano non è roba da
bar è cosa piuttosto precisa. E’ quella di aver smaltito rifiuti
speciali pericolosi come se fossero non pericolosi. Per questo
sono state sequestrate, dal Noe, migliaia di cartelle cliniche della
Basilicata per studiare l’incidenza della mortalità per tumore in quella
complessiva del territorio. Nell’ipotesi di disastro
ambientale ci sta anche quella di ampio sforamento dei limiti di
inquinamento dell’aria e, siamo citando Avvenire, all’accusa di
nascondere “la causa dei malori [dei lavoratori] evitando addirittura
d’aprire la procedura d’infortunio sul lavoro”. Tutto questo è
stato nascosto, per quanto possibile, dall’ombrello mediatico renziano
(che ha inondato lo schermo delle battute del premier) e minimizzato dai
media amici. Tra l’altro in Italia ci sarebbe anche un ministro
dell’ambiente, quello che aspettava la pioggia quando le metropoli
soffocavano o l’autodenuncia della Volkswagen i giorni dello scandalo
della casa tedesca, che stavolta ha preferito il silenzio.
Il secondo filone di indagine, ha al centro l'iter che ha portato all'autorizzazione del giacimento Tempa Rossa della Total.
Gli indagati sono 23, l’ex compagno della Guidi, mentre sono scattate
le manette nei confronti dell'ex sindaco di Corleto, Rosaria Vicino,
esponente del Pd lucano. Secondo l'accusa, l’ex compagno della Guidi
"sfruttando la relazione di convivenza che aveva col ministro allo
Sviluppo economico - si legge dalle carte dei magistrati messe a
disposizione in rete - indebitamente si faceva promettere e otteneva da
Giuseppe Cobianchi, dirigente della Total" le qualifiche necessarie per
entrare nella "bidder list delle società di ingegneria" della
multinazionale francese, e "partecipare alle gare di progettazione ed
esecuzione dei lavori per l'impianto estrattivo di Tempa Rossa". Inoltre
amministratori locali chiedevano e ottenevano dalle società che stavano
lavorando al progetto Tempa Rossa assunzioni e altri tipi di utilità. Questo è lo scandalo che è finito sui media, più di quello ambientale, e che ha fatto saltare la poltrona della ministro Guidi.
A questi primi due filoni si è
poi aggiunto un terzo fronte, che per competenza potrebbe lasciare la
procura di Potenza e approdare in Sicilia: si tratta dell'indagine sul
porto di Augusta. Qui è indagato anche il capo di Stato
maggiore della marina, Giuseppe De Giorgi, e riguarda un sistema "do ut
des", silenzio sulle modalità di trasporto di materiali in cambio di uno
sblocco di 5,4 miliardi di fondi alla Marina, in grado
oltretutto di assicurare, secondo gli inquirenti, "vantaggi
convergenti" ai componenti della presunta associazione a delinquere: De
Giorgi, il compagno dell'ex ministro Guidi, Gianluca Gemelli, il capo
ufficio bilancio della Difesa e consulente del ministero per lo Sviluppo
Economico, Valter Pastena, e il facilitatore Nicola Colicchi. E qui siamo ai clan che si incrociano con i clan, in una alleanza per la spoliazione delle risorse.
Ad esempio la famiglia dell'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, esprime il
figlio Gabriele collaboratore del sottosegretario dell'Interno Domenico
Manzione e allo stesso tempo finanziatore della Fondazione Big Bang del
segretario del Pd nel 2014: (1.050 euro registrati sul sito). E la
famiglia de Giorgi si tocca con la famiglia Manzione, perché la sorella
Antonella è a capo del dipartimento Affari giuridici e legislativi della
presidenza del consiglio, portata da Firenze nel 2014 proprio da Renzi.
Il potere renziano, mostra quindi una struttura clanica che non
dovrebbe lasciare indifferente chi studia il potere politico o chi vuole
contrastarlo. Ma la ricerca e il conflitto hanno spesso modelli di
rappresentazione del potere o schematici o troppo romantici. Non è certo
la prima volta che il potere politico è in mano a dei clan che si
scontrano o si alleano.
Niente male per quello che viene
definito il Texas italiano: ipotesi di disastro ambientale, pieno
coinvolgimento del ministero dello sviluppo, e di quello dei rapporti
col parlamento (già coinvolto nello scandalo Banca Etruria), del capo di
stato maggiore della Marina. Abbastanza perchè il premier sia
stato costretto a intervenire, assumendosi la responsabilità politica di
quanto accaduto, occupando i media, e urlando ai quattro venti che le
multinazionali del petrolio se investono “fanno bene all’Italia”. Certo,
la retorica dell’energia verde, delle rinnovabili a Renzi piace. Ma la
realtà è fatta di inchieste su tangenti, favori alle multinazionali e
disastri ambientali. Tra l’altro non è mancata la polemica sulla
magistratura. A differenza del periodo aureo berlusconiano, dove si
accusavano i giudici “comunisti” (sic) di ogni cosa dall’esistenza dei
buchi neri a quella della jella, Renzi è stato chiassoso nelle forme e
sottile nei contenuti. Il punto è che il potere del petrolio, una
commodity che ha perso 100 dollari di valore a barile in un anno e
mezzo, è ancora in grado di condizionare vicende ed equilibri dei
governi. Specie nelle strutture claniche di potere dove gli scandali
servono per registrare i rapporti di potere favorendo vecchi o nuovi
soggetti rispetto all’equilibrio politico in corso. E qui, con le
rivelazioni fatte filtrare attraverso la Guidi, sul tipo di bande
presenti nel governo e su come si fronteggiano, di materia per uno
scontro tra clan ce n’è quanta se ne vuole.
Ma sarà la vicenda Tempa rossa a far cadere il governo?
Certo, se per Renzi c’è il rischio che il quorum al referendum del 17
aprile (semplicemente mai apparso sui media, e qui si capisce come
funziona la democrazia...) venga toccato non è forse quello, per il
governo, il problema più grande. Perchè il referendum di ottobre, sulle riforme istituzionali, rischia di essere una Waterloo per Matteo Renzi.
Ma il punto vero, quello su cui un governo indebolito dagli scandali
rischia sul serio, è legato al tipo di potere che non si esprime tramite
elezioni ma tramite moneta. Stiamo parlando delle banche, istituto che
oltretutto sta ricevendo ristrutturazioni paragonabili solo a quelle che
ha subito la grande fabbrica fordista. La borsa di Milano, per adesso,
sta prezzando positivamente l’ipotesi di accordo tra governo e banche
private sul futuro del sistema bancario stesso. Se il governo tiene su
questo, e sugli sgravi al bilancio ottenuti da Bruxelles, allora per
Renzi Tempa rossa e affini possono passare in secondo piano. Avrebbe
ottenuto qualcosa di serio per una parte importante del capitalismo
italiano, con la benedizione di Bruxelles e Francoforte. Altrimenti la
guerra tra bande nel governo farà da preludio ad un meritato cupio
dissolvi di un governo comico dagli effetti tragici. Certo, le parole di
Draghi, sul rischio di nuovi choc finanziari, non incoraggiano. Ma in
politica, come dire, un problema alla volta.
redazione, 9 aprile 2016
fonte: http://www.senzasoste.it
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