Parla
la vedova di Pietro Raccagni, il macellaio di Pontoglio ucciso l'anno
scorso da una banda di albanesi. "Vaprio D'Adda? Troppo buonismo"
Parla
la vedova di Pietro Raccagni, il macellaio di Pontoglio ucciso l'anno
scorso da una banda di albanesi. "Vaprio D'Adda? Troppo buonismo"
Era l'8 luglio dell'anno scorso. Federica e il marito erano a letto nell'abitazione di Pontoglio, in provincia di Brescia.
All'improvviso i rumori, il cane che abbaia: i coniugi si
alzano e scendono di corsa in taverna. Qui c'è l'incontro fatale con
quattro rapinatori incappucciati che, si scoprirà poi, sono clandestini
albanesi con una lunga scia di precedenti penali.
«Ho visto Pietro
girare l'angolo, era davanti a me, l'ho perso di vista per un istante,
poi ho sentito il colpo, è caduto all'indietro, ha battuto la testa, di
fatto è morto in quel momento. A 53 anni. Ma vorrei chiarire che sono
stati loro a colpirlo in modo selvaggio, sono stati loro ad assalirlo.
Una persona deve potersi difendere se viene aggredita in casa sua».
La
signora Raccagni interrompe per un attimo l'intervista, c'è da servire
un cliente. Un minuto e la conversazione riprende: «Vede, in quei minuti
terribili, anzi in quei secondi, non puoi calibrare più di tanto le tue
reazioni: ti trovi faccia a faccia con uno che ti minaccia e, se hai la
pistola, può essere che tu prema il grilletto. Non è per il gusto di
uccidere, ci mancherebbe, anche a me spiace che il pensionato di Vaprio
abbia ammazzato un ragazzo giovane, però quello non doveva entrare in
casa sua. Le vittime devono essere tutelate e invece...».
La
signora si concentra e riprende: «Siamo al paradosso che i quattro
albanesi penetrati nella mia abitazione sono in carcere per omicidio
preterintenzionale e vengono processati con il rito abbreviato che
garantisce lo sconto di un terzo su un capo d'imputazione già morbido.
Invece il pensionato di Vaprio d'Adda è indagato per omicidio
volontario. Io capisco che si indaghi e si facciano tutti gli
accertamenti, ma non è che uno, quando si trova davanti un tizio al
buio, sta lì a fare ragionamenti come fosse a un convegno. No, agisce
d'istinto, può sparare, se ha la pistola, può scappare, può reagire in
altro modo, fare di tutto. Io mi sono messa a urlare davanti a loro,
avrebbero potuto uccidere pure me».
È inarrestabile, Federica
Raccagni: «Avesse avuto una pistola, chissà, forse mio marito si sarebbe
difeso e sarebbe ancora qui. Meglio un cattivo processo che un buon
funerale. E invece l'hanno ammazzato e adesso il loro avvocato sostiene
che è stato un incidente e io non mi fido di questo Stato e temo di
vederli presto liberi. No, io non voglio la vendetta, ma la certezza
della pena. E sto con quei poveracci che hanno reagito, hanno risposto e
magari hanno ferito o ucciso i ladri. Lo Stato capovolge i ruoli;
sembra difendere più i ladri che le vittime, questo è inconcepibile,
siamo arrivati all'incredibile: Ermes Mattielli è stato condannato a
risarcire due nomadi che avevano tentato di derubarlo».
La
macelleria di Erbusco era stata rinnovata da poco quando Pietro è andato
incontro al destino. «È stata una mazzata - conclude la signora
Raccagni - la nostra vita è stata sconvolta. Pietro era da trent'anni la
colonna portante di questo negozio, adesso andiamo avanti noi: io, i
miei due figli, due persone che ci aiutano. Ma è dura».
La vedova
si commuove, la voce s'incrina, questa volta parla a fatica, in bilico
fra sentimenti diversi e contrastanti: «Dopo quello che è successo,
avevo pensato di prendere il porto d'armi. Poi ho cambiato idea: che
altro può capitarmi ancora? E comunque, se dovessi sparare, poi mi
troverei in mezzo ai guai».
fonte: http://www.ilgiornale.it
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