Perché continuare a cianciare politicamente sulla più comoda giurisdizione anziché battersi per la loro innocenza? Perché non si fa chiarezza su chi ha impartito l’ordine alla Lexie di entrare a Kochi? Perché c’è stato nottetempo il contrordine per farli rientrare a Delhi dopo il permesso pasquale del 2013? Perché l’Arbitrato è stato avviato con quasi tre anni di ritardo? Perché i tre governi hanno proceduto senza convinzione e determinazione facendo solo entropia, con risultati nulli? Soprattutto perché, dopo oltre tre anni, non esiste ancora uno straccio di accuse formali nei loro confronti? Perché…!?
Dell’Arbitrato internazionale e del recente verdetto dell’ITLOS, il Tribunale del Mare di Amburgo, si è scritto ampiamente in un precedente articolo; la decisione presa da tale consesso di “sospendere ogni qualunque azione e iniziativa da parte italiana ovvero indiana, e ogni processo in corso per evitare di inasprire ulteriormente la situazione” e di rinviare la decisione secondaria che conteneva la richiesta italiana di far rientrare il FCM Girone in Patria, “non sussistendo motivi di urgenza”, è stata valutata nel suo complesso corretta e coerente con la situazione in atto e circoscritta all’ambito dei poteri di quel Tribunale. La via maestra e legittima dell’Arbitrato è, in questo momento, l’unica che consentirà di chiarire il pernicioso contenzioso con l’India, con l’auspicio che il Tribunale Arbitrale attribuisca la competenza della giurisdizione all’Italia , con il rientro dei 2 FCM , per fronteggiare un giudizio ed un processo equo.
Spiace soltanto che si sia perso tanto tempo nell’attivare formalmente il predetto Arbitrato; oltre 2 anni e mezzo di tira e molla, altrimenti – forse- i nostri fucilieri sarebbero già rientrati nei ranghi del San Marco. Abbiamo perso tempo e assistito a violazioni, balletti e contraddizioni in parte importanti e influenti sulle vicende dei 2 Fucilieri di Marina; si può credere al loro ripetuto urlo di innocenza o non credergli per questioni di principio; si può essere con loro o contro di loro per motivi ideologici, ma – come sostiene Toni Capuozzo nella sua puntuale panoramica sui 2 FCM, di cui al bel libro inchiesta “Il segreto dei 2 Marò”– in conclusione e con la necessaria onestà intellettuale “chiedetevi com’è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano ancora stati rinviati a giudizio?”: la risposta più ovvia è che, dopo aver letto, studiato e recepito le varie e stridenti contraddizioni, ed i “fatti” occorsi, i 2 FCM siano estranei al sinistro, e quindi del tutto innocenti.
E non come conseguenza di un garantismo tout-court, nè basato su amicizia o perché italiani, piuttosto quale risultato di un approccio razionale, pragmatico, analitico e logico delle varie vicende occorse; in altri termini si tratta di far emergere la verità vera da quella interminabile sequela di interrogativi sollevati e approfonditi, condensati in quel tomo interessante e inquisitorio che, senza sconti per nessuno, porta comunque a confermare l’ipotesi di innocenza. Che, va detto, si è inspiegabilmente stravolta nel corso del tempo, quasi “camaleontizzata” in colpevolezza per strani interessi politici, anche individuali ed economico-industriali: è paradossale che una “grande democrazia” qual è l’India, abbia tenacemente perseguito, anche con l’inganno, la loro detenzione con violazioni di regole di civiltà di ogni genere e disconoscendo, talvolta con disprezzo e noncuranza, le norme internazionali del Diritto delle genti: un segnale democratico anomalo, contrario ad uno Stato di diritto, di moderna barbarie. Tanti dei dubbi, delle perplessità e delle storture della intricata odissea erano emersi a spizzichi e bocconi da una stampa distratta se non assente, ma senza una visione di insieme, senza indagare più di tanto e senza un link di collegamento che, ora, rendono chiara la loro storia anche al cittadino normale. Con un linguaggio asciutto, chiaro e scevro da ammennicoli, sono cronologicamente descritte le vicende che da oltre tre anni e mezzo coinvolgono i 2 FCM, con poche luci e tante ombre, trascurando volutamente aspetti etici e moralismi, ma basandosi su “facts and figures” e terminando ogni capitolo con interrogativi accorti e pungenti: perché continuare a cianciare politicamente sulla più comoda giurisdizione anziché battersi per la loro innocenza? Perché non si fa chiarezza su chi ha impartito l’ordine alla Lexie di entrare a Kochi? Perché c’è stato nottetempo il contrordine per farli rientrare a Delhi dopo il permesso pasquale del 2013? Perché l’Arbitrato è stato avviato con quasi tre anni di ritardo? Perché i tre governi hanno proceduto senza convinzione e determinazione facendo solo entropia, con risultati nulli? Soprattutto perché, dopo oltre tre anni, non esiste ancora uno straccio di accuse formali nei loro confronti? Perché…!?
L’autore si pone giustamente questi e tanti altri interrogativi che qui tralasciamo per non appesantire troppo il testo, e alla quasi globalità cerca di fornire un razionale, senza fantasie e senza illusioni, senza spinte in avanti: un giornalismo rispettabile non solo per i contenuti, ma per l’onestà intellettuale che traspare soprattutto dalla obiettività nell’indagine. Finalmente un’informazione aperta, schietta, talvolta cruda che dispensa più dubbi di certezze, senza mai pararsi dietro la facciata del “politicamente corretto”, e ben lontano dal conformismo sociale a cui siamo abituati dalla gran parte dei media nostrani. Sia ben chiaro che qui non si vuole fare una diagnosi severa e sbrigativa dei media nostrani e del loro modo di fare informazione poiché sarebbe poco corretto e anche ingiusto, ma piuttosto elogiare chi esce dalla curva di Gauss, fuori da quel 75%, che non vogliono fare inchieste scomode, non vanno mai contro l’establishment ma curano “le poltrone”, condividono quasi sempre le decisioni del governo, non criticano le leggi del Parlamento, né uomini politici e vertici militari. Capuozzo non svela segreti più di tanto, ma ha il coraggio di affrontare verità scomode, corredandole delle possibili notizie pertinenti che, nel loro insieme, consentono al comune cittadino – e non solo all’elitario che conosce a fondo le problematiche- di farsi una propria autonoma opinione dei fatti; cioè fornisce al comune lettore gli strumenti metodologici e non ideologici per l’indipendente interpretazione dell’informazione con la I maiuscola: e questo, in un mondo prono ed asservito come il nostro, non è poco! L’odissea dei 2 Fucilieri di Marina è piena di dubbi, ambiguità e reticenze per cui chi le descrive deve “volare alto” per evitare di essere vittima delle stesse affermazioni, rischiando pericolosamente addirittura di diventarne complice; nel caso in esame si può serenamente affermare che non si rinviene alcuna forma di partigianeria o complicità, né sul piano politico, né nei confronti dei due poveri fucilieri verso cui, tuttavia, c’è un profondo rispetto e stima dovuti anche a pregresse esperienze sul campo, nei teatri afgani.
Gli elogi all’autore sono dovuti, meritati e senza piaggeria; di seguito vengono ora affrontati alcuni argomenti e “momenti” dell’odissea dei 2 FCM che inducono a riflessioni e commenti specifici, con una critica costruttiva ben lontana dalla sterile polemica, ma anche con visioni e tagli non sempre “soft”. Con un approccio “bottom-up”, partendo cioè dalle osservazioni meno importanti e del tutto minori, si avverte in alcuni passaggi e nell’uso di acronimi tipicamente militari, un certo scollamento semantico con quel mondo: sarebbe bastata forse una visione joint con qualche Ufficiale per eliminare quegli errori, si ripete minori, in un contesto di tale amplitudine e complessità. E’ il caso del COI, Comando Operativo Interforze che, in alcune frasi viene etichettato erroneamente come Coordinamento Operativo Interforze, il cui Comandante è il Generale di Corpo d’Armata Bertolini (e non Bartolini) che svolge un incarico di grande e indubbio prestigio, mentre non è condivisibile nel mondo interforze l’assunto e la percezione che anche il Vice del COI lo sia, come invece affermato. E’ il caso di CINCNAV, il Comando in Capo della Squadra Navale che non ha un Vice di Capo di Stato Maggiore; c’è Il Capo di Stato Maggiore di CINCNAV che è il capo dello Staff e può surrogare il CINC in certe situazioni, ma non ne è il Vice, il Vicario. Esiste poi una fregata classe Maestrale Zeffiro, e non Zaffiro, che assiste nel bacino somalo ed in pieno Oceano Indiano al sequestro della Savina Caylyn, e via dicendo. Tralasciamo ora le questioni minori per salire di livello con uno step-up ma, per favore, iniziamo a chiamare i Fucilieri di Marina col loro giusto nome; non più ‘Marò’, che sono ben altra cosa rispetto ai Fucilieri del San Marco, storico reggimento fatto da specialisti ad alto profilo professionale al pari delle Forze Speciali!
L’inizio dell’odissea dei 2 FCM è incentrata sulla cd. “Inversione di rotta della Lexie” del 15 febbraio 2012; dopo palleggiamenti, dichiarazioni e ritrattazioni nostrane sui media dell’epoca su chi aveva dato l’ordine di invertire la rotta e dirigere per il porto di Kochi – al di là di una avvertita migliore definizione dei compiti del NMP (Nuclei Militari di Protezione costituiti dai predetti FCM) – le prefigurate ipotesi vanno meglio circoscritte, costituendo quel momento l’inizio ed il “peccato originale” della sventura dei 2 FCM.
Risulta acclarato che la catena militare CINCNAV- COI- CaSMD, vertice Difesa, come poi confermato dall’allora Ministro Di Paola, non abbia posto alcun veto all’ingresso della nave a Kochi e, stante la fluida situazione, il Comandante della Lexie –Vitielli- abbia comunque deciso di entrare, anche avendo a mente i prioritari interessi mercantili con l’India. Risulta anche che il Miniesteri, dalle dichiarazioni di Terzi –allora Ministro pro-tempore- fosse del tutto contrario a tale inversione di rotta che portava la nave nelle loro acque territoriali e quindi sotto la giurisdizione indiana: peccato che sia l’Unità di crisi, sia la Farnesina nella persona del Ministro, siano stati informati con circa 5 ore di ritardo (come risulta da una mail inviata), quando la frittata era ormai stata fatta, e la Lexie era già all’interno del porto di Kochi. Molto è stato scritto, soprattutto dai media nostrani, e assai di meno da quelli indiani, che la nave è stata oggetto di una ingannevole richiesta che è servita, ad ogni buon conto, a costituire un alibi ed una cortina fumogena per giustificare chi, invece e con una buona dose di ingenuità, non ha negato l’ingresso. L’ABC delle regole e dell’etica della diplomazia impone che, a prescindere da quale inconveniente o sinistro si tratti, se si verifica in spazi internazionali, MAI si debbono lasciare quelle zone in cui vige, a tutela del personale, il Diritto internazionale, cacciandosi nelle acque territoriali; si prende tempo, si valuta con cura e con maggiori elementi la situazione, senza spogliarsi di quella sacrosanta e prevista “copertura”!
Non basta applicare la massima dilettantesca ”Male non fare, paura non avere”; può essere una condizione necessaria ma non sufficiente per entrare; tant’è! Anche se, va doverosamente riconosciuto che se la Lexie avesse avuto conoscenza e coscienza di aver commesso un duplice omicidio, nessuno mai avrebbe dato l’ordine di rientrare così ingenuamente. E se così non fosse, ma come sostiene la stampa indiana fosse vero che nessun inganno è stato perpetrato nei confronti della Lexie, e che la stessa è stata oggetto di una vera e propria “caccia” illecita perché in acque internazionali da parte dei mezzi aeronavali della loro Guardia Costiera, costringendola con la forza a dirigere verso Kochi? In tal caso crollerebbe il castello dell’inganno e del veto insieme, facendo naufragare l’alibi insieme con la nostra ingenuità; sarebbe però ancor più grave l’infrazione commessa dall’India sul piano del Diritto internazionale per la cattura di una nave italiana in acque fuori dalle TTW, con un inseguimento illegittimo e con l’uso della forza! Probabilmente sono vere entrambe le ipotesi, nel senso che gli indiani hanno inizialmente provato a convincere la Lexie anche con richieste subdole e ingannevoli ma, visto qualche tentennamento nell’invertire la rotta, hanno inviato le motovedette e l’aereo della Guardia Costiera per “convincerli”: comunque si considerino tali fatti, sia l’inganno ovvero il rientro coatto, siamo di fronte a comportamenti indiani meglio definibili “pirateschi” e al di fuori di ogni regola della comunità internazionale. Analogo atteggiamento piratesco indiano si rinviene quando la Lexie va all’ormeggio a Kochi il 19 febbraio e sale a bordo la polizia armata –si parla di una sessantina di poliziotti- che, con la forza, come se avesse da fare con delinquenti, costringeva i fucilieri a scendere, li arrestava seduta stante e sequestrava le armi del nostro Stato loro affidate: qui, caro Capuozzo, è inutile porsi il problema di chi ha dato la “luce verde da Roma”; chi poteva opporsi al “sequestro più che arresto” forzoso dei 2 FCM a cui non è stato neppure consentito di andare in bagno? Pirati indiani e ponziopilati italiani, questo sì, senza che l’Italia abbia mosso un dito, né abbia avuto un qualsiasi rigurgito di orgoglio per tutelare l’onore dei fucilieri e, insieme, il proprio onore come Nazione! Altro che “grande democrazia quest’India elefantiaca! Speriamo solo che i giudici del Tribunale Arbitrale ne tengano debito conto per togliere all’India ogni velleità sulla giurisdizione: questi fatti hanno una rilevanza, in termini di “gross violation” dei diritti umani universalmente riconosciuti, assai più delle disquisizioni dei vari azzeccagarbugli sul Diritto internazionale, sulle discussioni sulla zona contigua, e perfino sul pieno riconoscimento della immunità funzionale! L’ipotesi dell’inganno, e della correlata ambiguità di assunzione del “comando” in situazioni del genere, ha scatenato –col senno di poi- i politici nostrani in una serie di bagarre da osteria, trascurando la genesi sacrosanta della nascita dei NMP che, lo si ricorda, operavano già dal 2005 (Nave Granatiere, agosto 2005) a bordo delle fregate per il contrasto della pirateria nel Corno d’Africa, dopo gli attacchi ai nostri mercantili “ Cielo di Milano” e” Jolly Smeraldo”. Ricordo doverosamente che la Marina Militare, a fronte di un immobilismo statuale, e sempre più conscia di dover tutelar gli interessi nazionali, in termini di protezione degli equipaggi italiani, ha proposto l’avvio dei NMP con l’impiego naturale di teams del San Marco, già sperimentati su unità navali militari; a parte il famoso “senno di poi”, magari andavano meglio definiti certi aspetti di comando in situazioni critiche, e anomale come quelle occorse, ma dobbiamo anche ricordare che quella legge 130 dell’agosto 2011 fu approvata in pratica all’unanimità… La pirateria è un gran business, non tanto per quei disgraziati pirati “manovali”, quanto per i capi delle loro organizzazioni criminali; non lo è di meno per le compagnie di Assicurazione londinesi. Una polizza normale per mercantili che attraversano l’Oceano indiano oscilla fra i 400 e 500 mila dollari al giorno che, con il passar del tempo si raddoppiano per quei tre/quattro giorni di transito in prossimità del Corno d’Africa e di Aden, prima di imboccare Suez. In media transitano 80 navi al giorno, cioè circa 25000 in un anno: ci si rende conto del business? Nel libro si afferma che se si vuol rinunciare a passare attraverso tali forche caudine e preferire il periplo dell’Africa, il costo sarebbe incrementato dai 500 ai 750 mila euro in più per ogni nave in transito: tale valutazione appare del tutto incongrua nel senso che da tempo gli attacchi avvengono anche in pieno Oceano (basta ricordare il sequestro della Savina Caylyn avvenuto già nel 2011 a circa 1000 km dalle coste somale!) e le polizze si sono quindi adeguate anche ben al di fuori da Aden. Anche i costi aggiuntivi, passando per il periplo, sarebbero incommensurabili e sicuramente superiori di quelli scritti; basti pensare ai soli costi di nolo che per ogni giorno sono salatissimi e moltiplicarli per 20-25, tanti sono i giorni in più di mare per circumnavigare l’Africa, per affermare che i costi vivi sono decuplicati, con una lievitazione sensibile anche di quelli della merce trasportata e con una tardiva, talvolta inaccettabile, disponibilità sui mercati. Ma il business non è solo quello delle compagnie di Assicurazioni o dei capi criminali che hanno gruzzoli da favola in Svizzera e alle Cayman; il business ha giocato un ruolo primario anche nelle decisioni più importanti, come nel rientro coatto dei 2 FCM dopo il permesso pasquale del 2013, con il condizionamento legato alla commessa degli elicotteri Agusta EH-101 (poi comunque naufragato) ed altri contratti” in being”, all’export dell’amianto, all’acquisizione dell’ILVA di Taranto da parte dello spregiudicato tycoon indiano Mittal, e via dicendo: tutto questo ha condizionato le giuste decisioni e tutto è volato sopra le teste dei 2 FCM che, evidentemente, valevano assai meno in termini monetari e industriali. Un tristissimo evento è stato il loro rientro a Pasqua 2013, una Caporetto inattesa che è piombata sulle loro teste, e su tutti noi, come una doccia fredda: un marchio che resterà negli annali di storia come un primitivo baratto in cui il danaro ed il business hanno prevalso sulla vita di due nostri figli, indiscutibilmente fra i migliori e quasi sicuramente innocenti. Infine ci sono ancora almeno due aspetti che, per quanto delicati, richiedono alcuni commenti: il cd. Rapporto Piroli e gli Ammiragli che hanno “fatto carriera”.
Il Rapporto Piroli, che sarebbe meglio definire in gergo militare come Inchiesta sommaria o preliminare, solleva osservazioni di merito e contenuto, ma anche di riservatezza o Wiki-Leaks, che dir si voglia. Il rapporto, stilato appena possibile subito dopo ogni sinistro, dovrebbe essere la fotografia di quanto accaduto, della sua dinamica, di fatti e non supposizioni, ove possibile qualche testimonianza “a caldo”: è simile al rapporto della Polizia in caso di grave incidente stradale. Soprattutto “se c’è il morto” ci sarà un’inchiesta approfondita, a seguire nel tempo, la cd. Inchiesta Formale, con ogni possibile dettaglio, testimonianze, interrogatori, considerazioni, fino ad arrivare alle cause più probabili ed alle conseguenti conclusioni in termini di colpevolezza, seguite da opportune raccomandazioni affinché il caso non si ripeta: ma non in quella “sommaria”, perché lo dice la parola stessa, sarebbe del tutto improprio. Invece, secondo l’articolo uscito improvvidamente su “Repubblica” oltre un anno dopo l’evento, a firma di Vincenzo Nigro, si riporta inopinatamente che i nostri del San Marco hanno sparato e sono colpevoli, pur non avendo armi del calibro 7,62 ma 5,56 come risulta dalla farsesca iniziale perizia balistica indiana. Che, pur confondendo il calibro con la circonferenza, riesce a far riscontrare – con quale formula magica non si sa- le matricole dei fucili personali della sparatoria individuando gli autori in due poveri volontari di truppa del team imbarcato (con tanto di nomi e cognomi: Andronico e Voglino), anziché Latorre e Girone che, quindi, sarebbero ancora una volta, innocenti ma detenuti. Ovviamente si prende, nel rapporto, per oro colato ciò che gli indiani avevano “imbastito” con la famigerata e incredibile perizia balistica, andando contro ogni norma sulle modalità di compilazione di tale rapporto, ed anche in contrasto con ogni più elementare logica e tutela di parte: per assurdo la difesa gioca a favore dell’accusa, prendendo atto delle affermazioni farlocche e pretestuose, indiane. Nessuno ha aperto bocca, né è stata avviata un’inchiesta per la violazione di sicurezza nell’aver pubblicato comunque un documento “riservato”, e che “ puzzava di zolfo” vista l’uscita dopo oltre un anno dalla compilazione: un Wiki-leaks che altrove sarebbe stato indagato e punito severamente, ma da noi tutto silenzio! E, dunque, qual è stata la strategia sottesa, se c’è stata, e quale scopo recondito aveva in serbo? E’ quasi impensabile che con quel pezzo s’intendesse convincere gli indiani a “liberare” i 2 FCM Latorre e Girone, detenuti fino allora, in quanto il rapporto identificava i veri colpevoli “sparatori” negli altri 2 volontari di truppa: frutto di un giornalismo asservito a via XX settembre, o un pericoloso mix di autostima, ingenuità e demenzialità che si scaricano, comunque, a massa sul San Marco? Mah!
‘Dulcis in fundo’ , anche se vengono fatte all’inizio del libro, sono le accuse nei confronti di numerosi Ammiragli che avrebbero “fatto carriera” sfruttando la vicenda dei 2 Fucilieri, elencandoli per nome, cognome ed incarico ricoperto: ciò è solo parzialmente vero. E’ ben noto che si parla di Ammiragli arrivati all’apice della loro carriera, di tre stelle che – al momento dell’evento, il 15 febbraio 2012- ricoprivano incarichi di grande prestigio dopo una carriera in cui le Commissioni di Avanzamento gli avevano “contato i peli” prendendo atto delle loro indiscusse qualità morali, di carattere e professionali, espresse sempre in modo eminente. Quindi, se mai, si può disquisire del “perché” tale evento non abbia giocato un qualche ruolo e peso non nelle carriere di chi aveva la diretta responsabilità delle decisioni prese o non prese, che comunque si trovava ormai al massimo livello di grado, ma nelle nomine successive di Vertice che sono notoriamente “politiche”. Le nomine peraltro erano già state fatte e formalizzate da qualche tempo; una settimana dopo, il 23 febbraio l’Ammiraglio Binelli Mantelli assumeva regolarmente il compito di Capo di Stato Maggiore della Marina, provenendo da CINCNAV, dal quale dipendeva il team del San Marco imbarcato sulla Lexie; l’Ammiraglio De Giorgi lo sostituiva al Comando della Squadra Navale, provenendo dall’Ispettorato delle Scuole, quindi fuori ed estraneo dalla linea operativa di competenza. Dunque, nessuna nomina “privilegiata” nell’ immediatezza dell’evento visto sia le competenze specifiche, ma anche la tempistica in gioco; ad onor del vero alcuni Ammiragli hanno “pagato” nelle successive valutazioni di Vertice, non tanto per specifiche colpe, ma per aver forse dimostrato di non aver reso al massimo livello nei diversi compiti affidatigli, non escludendo anche chi è stato coinvolto nella gestione del sinistro in questione. Se l’Italia fosse un Paese serio, nel corso dell’anno successivo a tale evento, il Governo avrebbe dovuto avviare una Commissione di Inchiesta per chiarire le cause, le decisioni e certe responsabilità eventualmente ascrivibili a chi, nel momento del sinistro, si trovava nei posti decisionali, ed adottare i conseguenti provvedimenti correttivi, frenando o se del caso cambiando le nomine successive. Ma siccome i primi a doversi assumere precise responsabilità erano i politici del momento, nulla è stato fatto all’argomento, e il sistema è andato avanti “sull’onda lunga”, tutto secondo il Manuale Cencelli, come da tradizione, e come se il caso dei 2 FCM non fosse mai avvenuto: questo non va bene; è profondamente ingiusto e anche poco onorevole. Tanti sono “ i perché” sollevati molto opportunamente nel corso di questa tragedia da Capuozzo; troppe sono le incongruenze e i comportamenti ondivaghi e colpevolizzanti mostrati dalla nostra classe politica in tre anni e mezzo dal fattaccio; inaccettabili sono le violazioni dell’India sia nei confronti di un altro Stato, l’Italia, sia nei confronti di due soldati; infinite sono le dimostrazioni di innocenza implicita o esplicita dei 2 FCM Latorre e Girone: se è vero che finora ha prevalso l’arroganza della “grande democrazia” indiana, “il loro teorema” barbaro e incredibile della colpevolezza sembra incrinarsi dopo il verdetto del Tribunale del Mare di Amburgo, e si spera crolli completamente con quello Arbitrale dell’Aja dando infine all’Italia la competenza della giurisdizione, e riporti così i nostri 2 FCM in Patria. Infine, dovrà svolgersi il processo per stabilire giuridicamente la loro innocenza, se non la loro completa estraneità a quel maledetto sinistro; la risposta più logica e giusta si trova, già insita, nell’ultima riflessione-statement di Capuozzo “ come è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano ancora rinviati a giudizio?” E, allora, a maggior ragione dovremo chiarire una volta per tutte, senza ambiguità, ma con tutte le garanzie del caso, con l’avvio parallelo al processo, di una rigorosa Commissione Parlamentare, che faccia emergere senza melina gli errori fatti, le decisioni prese, le responsabilità politiche e tecniche: sarebbe senza dubbio una bella dimostrazione di democrazia di uno Stato di Diritto, garantista, che non ha più “segreti”, ma che privilegia soprattutto la vera informazione, aperta a tutti i suoi cittadini.
Giuseppe Lertora - 11 settembre 2015
fonte: http://www.liberoreporter.it
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