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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

18/09/15

Siria. Profughi, Isis e guerra: potrebbe essere Putin a levare le castagne dal fuoco ad Obama. Ma non gratis


Putin obama faccia grande 

Il teatro siriano vede non uno ma più conflitti in corso. Alcuni sono palesi, come la sollevazione delle opposizioni contro Bashar al-Assad, la lotta dei curdi contro il Daesh (Isis), la guerra dell’esercito regolare contro al-Qaeda e contro il Daesh, ed alcuni meno evidenti, come l’atavica lotta giocata su altri scacchieri tra Qatar e Arabia Saudita, quella fra al-Qaeda e Isis, fra Turchia e curdi, fra sciiti e sunniti e fra Hezbollah e Israele, il quale ha colpito in più occasioni convogli di armi diretti dalla Siria in Libano.
Vi è poi l’attrito fra Russia e Usa. Se si immagina una linea orizzontale, gli Usa hanno proprie basi militari in tutti i paesi dal Marocco al Kirghizistan, con esclusione solo di Siria e Iran (fino a poco fa anche di Afghanistan e Iraq). Se invece ci si rifà ad una linea verticale, si trovano le basi della Russia, oltre che nel proprio territorio, in Crimea (Sebastopoli), in Egitto e a Tartus, in Siria: lì le due linee confliggono, e confliggono quindi gli interessi geostrategici delle due potenze.
Sminuito de facto il ruolo dell’Esercito libero siriano, che controlla poche porzioni di territorio a nord, la situazione in Siria è arrivata ad essere insostenibile per l’esercito di Damasco a causa del Daesh, il quale, nonostante la Turchia abbia affermato di aver chiuso le porte al transito dei foreign fighter e delle armi indirizzate allo Stato Islamico, si è andato ulteriormente irrobustendo, segno che vi è chi continua a finanziarlo e ad armarlo.
Per la Russia di Vladimir Putin è divenuto quindi improcrastinabile il soccorso all’alleato Bashar al-Assad, dal momento che le forniture di armi e gli osservatori militari non sembrano più essere un elemento sufficiente a evitare che sull’intero paese sventoli la bandiera nera dello Stato Islamico.
Se nelle logiche della Casa Bianca Bashar al-Assad rimane un dittatore da rovesciare (in un primo momento la cosa vedeva d’accordo il Cremlino), in quasi cinque anni di guerra le carte in tavola sono cambiate, e l’opinione pubblica europea si trova ad avere a che fare con il problema profughi più che con il tasso di democrazia della Siria.
Non è ancora chiaro a quale tipo di intervento il presidente russo stia pensando, anche se i segnali fanno rimandano qualcosa di più incisivo dei raid della coalizione anti-Daesh, fino ad oggi pressochè inutili. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha già fatto sapere che “Se verrà fatta (da Damasco) una richiesta, naturalmente verrà discussa e considerata nell’ambito dei contatti e del dialogo bilaterale”. In realtà la richiesta del ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem è già stata fatta, ma a Mosca preme non creare una situazione che porti ad un’escalation su scala globale, per cui il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha sentito oggi al telefono il segretario Usa alla Difesa Ashton Carter: lo ha comunicato il portavoce del Pentagono Peter Cook, riferendo di colloqui per discutere dei rispettivi ruoli nel conflitto in Siria.
Sul fatto che il Daesh sia un esperimento finito male di Usa, Qatar e Turchia per combattere al-Assad è ormai cosa arcirisaputa, è un argomento che abbiamo già trattato su Notizie Geopolitiche: lo ha detto persino l’ex Segretario di Stato Usa Hillary Clinton, ammettendo che l’Isis “è stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler mettere in piedi una guerriglia anti al-Assad credibile. La forza di opposizione che stavamo creando era composta da islamisti, laici e da gente nel mezzo: l’incapacità di fare ha lasciato un grande vuoto che i jihadisti hanno ormai occupato. Spesso sono stati armati in modo indiscriminato da altre forze e noi non abbiamo fatto nulla per evitarlo”; lo ha ribadito il pluridecorato generale francese Vincent Desportes, docente presso la facoltà di Scienze politiche di Parigi, il quale fa affermato: “Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Diciamolo chiaramente, perché ciò comporta delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interessi politici a breve termine, altri soggetti – alcuni dei quali appaiono come amici dell’Occidente − hanno contribuito, per compiacenza o per calcolata volontà, a questa creazione e al suo rafforzamento, ma le responsabilità principali sono degli Stati Uniti”; è sfuggito all’allora ministro dello Sviluppo tedesco Gerd Mueller, subito ripreso da una furiosa Angela Merkel, il quale è intervenuto sul canale televisivo pubblico ZDF affermando: “Un suggerimento: chi finanzia queste truppe dell’Isil? Il Qatar”; lo ha affermato il ministro degli Esteri iraniano, Mohamed Javad Zarif, all’Assemblea delle Nazioni Unite il 18 settembre 2014, quando ha definito l’Isis “un Frankestein tornato per divorare i suoi creatori”; ed al nostro giornale Hassan Ben Brik, uno dei massimi esponenti di Ansar al-Sharia e già combattente in Siria, ha spiegato che i foreign fighter sono recati in Siria grazie al via libera della Turchia (vedi).
Inoltre in primis gli Usa hanno commesso il grave errore di non preventivare che i jihadisti avrebbero approfittato della situazione proprio per strutturarsi in una forza indipendente e organizzata, potendo contare anche sui moltissimi militari e pubblici amministratori dell’ancien régime iracheno, messi da parte dopo la sconfitta di Saddam Hissein.
Una situazione ingarbugliata per Barak Obama, il quale potrebbe accettare che sia proprio l’amico-nemico Vladimir Putin a togliergli le castagne dal fuoco. Ovviamente in cambio di una Siria che resti sotto l’influenza russa e magari di chiudere definitivamente i conti per la crisi della Crimea.

di Enrico Oliari –  18 settembre 2015
fonte: http://www.notiziegeopolitiche.net

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