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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

16/02/15

IN LIBIA A GIOCARCI LA FACCIA.



L’Italia, afferma il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, è pronta a fare la sua parte e non intende sottrarsi alle sue responsabilità. Si parla evidentemente della Libia, dove la situazione va peggiorando.

I negoziati condotti dall’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino León, non hanno alcun impatto sul terreno. Gli scontri armati si moltiplicano mentre il quadro conflittuale si destruttura rapidamente, mettendo in ombra i due schieramenti più noti, che si riconoscono l’uno nel Parlamento che siede a Tobruk (riconosciuto internazionalmente) e l’altro in parti del vecchio Parlamento di Tripoli.

Non si era mai trattato di raggruppamenti coerenti e coesi, quanto del temporaneo convergere degli interessi di centinaia di bande e micro-gruppi dietro alla leadership politico-militare di pochi più decisi signori della guerra, ma ora sembriamo vicini allo sfascio generale, a maggior gloria dei terroristi puri e duri, quelli tradizionalisti di Al-Qaida (Ansar Al-Sharia), in perdita di velocità, e quelli vicini a Daesh (lo pseudo-califfato).

Quest’ultimo in particolare sembra in fase crescente, con la conquista almeno temporanea di un terminale petrolifero e l’ottenuto riconoscimento da parte del “califfo” dei suoi tre Wilayat libici (Al-Barqah, ad oriente, Al-Tarabulus, ad occidente e Al-Fizan a Sud).

È evidente che bisognerà fare qualcosa per controllare e ridurre la minaccia, ma che cosa, con chi e come? Tutto questo deve ancora essere chiarito.

Possibili alleati con preferenze
L’unica cosa che Gentiloni ripete continuamente è che intendiamo muoverci solo nell'ambito legale multilaterale, preferibilmente quello stabilito dalle Nazioni Unite. Il Consiglio di Sicurezza non però sembra vicino ad esprimersi. Ci sono alternative, ma rimane comunque la domanda di fondo: con chi e per fare che?

In Libia sono già attivi svariati attori internazionali, legittimi e illegittimi, e ognuno ha i suoi obiettivi. Ad esempio è presente l’Egitto, assieme agli Emirati Arabi Uniti e all'Arabia Saudita. Questi paesi sono certamente interessati a combattere Daesh, che è anche operativo nel Sinai, contro le truppe egiziane, ed in genere questi paesi vogliono la messa al bando dei movimenti politici islamici ispirati ai Fratelli Mussulmani.

Il problema è che è difficile immaginare una conclusione positiva dei conflitti libici che non veda la collaborazione di una parte almeno dei movimenti politici di tale ispirazione, anche se dovrà essere più chiara la divisione tra terroristi e non.

La Turchia ha attivamente aiutato, contribuito ad armare e sostenuto politicamente i Fratelli Mussulmani di Misurata e di Tripoli, arrivando anche a subire imbarazzanti vicinanze con i terroristi di Ansar Al-Sharia. Proprio per questo ha pessimi rapporti con l’Egitto e i sauditi, ma potrebbe diventare un passaggio obbligato per definire un eventuale obiettivo politico comune a più schieramenti.

In ogni caso bisognerà evitare alleanze troppo motivate ideologicamente che potrebbero facilmente portare a una spartizione dei fatto della Libia in due o tre territori, ognuno in preda alla sua forma locale di guerriglia e sostanzialmente ingovernabile. Lo spettro della Somalia è vicino.

Alleati europei cercasi, specie se capaci
Essenziale è anche capire che cosa faranno i nostri alleati europei. L’Italia non può né deve andare in Libia per conto suo, magari con una generica benedizione statunitense, e poi trovarsi a mediare con i turchi da una parte e gli egiziani dall'altra: è la ricetta di un disastro annunciato, a tutti i livelli.

D’altro canto deve avere il supporto deciso e consistente di almeno un paio di altri grandi paesi europei: sarebbe bello se ci fosse anche la Francia (ammesso di riuscire a stabilire un piano politico comune), ma ci dovranno comunque essere la Germania e magari la Spagna e la Polonia. Capisco che altri vedano al loro orizzonte essenzialmente l’Ucraina, ma i problemi del Mediterraneo non sono certo né meno urgenti, né meno gravi.

Le opzioni militari possono essere svariate, ma l’ideale sarebbe quello di ottenere un accordo per nuove elezioni politiche da condurre sotto il controllo delle Nazioni Unite, o quanto meno dell’Unione Africana, con la garanzia delle forze della missione internazionale, che dovrebbe poi lasciare rapidamente il paese.

Il parallelo potrebbe essere quello con la “Missione Alba” che conducemmo in Albania in un momento di dissoluzione dello stato e riuscì a spezzare il circolo vizioso, dando inizio ad un nuovo ciclo molto più “virtuoso”.

A differenza di quell'esempio, che quasi non vide l’uso effettivo della forza, questa volta è probabile che la lotta al terrorismo debba vedere alcune operazioni militari di una certa consistenza e sicuramente importanti attività di sorveglianza delle frontiere meridionali e dell’intera regione desertica.

Tuttavia, in questo caso, sarebbe bene non immaginarsi un avversario molto più potente di quello che in realtà non sia. Tutto dipenderà però dalla bontà e dalla tenuta dell’accordo politico iniziale tra le parti che avranno accettato di invitarci a operare nel loro paese.

Se non c’è accordo, stare sulla difensiva
Se tale accordo si rivelasse impossibile, le alternative sono molto meno piacevoli e soddisfacenti. In particolare potrebbe divenire non solo legalmente più difficile, ma strategicamente non opportuno, dispiegare forze sul territorio libico e bisognerà adottare una strategia essenzialmente difensiva.

Questo non significa rintanarsi in casa in attesa degli attacchi avversari, ma preoccuparsi molto meno delle conseguenze che le nostre scelte avranno sulla Libia e sul suo futuro: primum vivere.

Un rigido blocco aero-navale, ad esempio, potrebbe essere accompagnato da incursioni e altre operazioni sul territorio libico per assicurarne la tenuta e sventare eventuali attacchi.

Potrebbe anche essere opportuno, in collaborazione con i paesi confinanti della Libia, intervenire massicciamente e/o selettivamente contro gruppi di contrabbandieri di armi e di uomini e in genere per bloccare ogni flusso trasfontaliero incontrollato.

Analogamente intensa e invasiva dovrebbe essere l’attività di intelligence. Tutto ciò sarebbe giustificato dalla incapacità o non volontà delle autorità libiche di controllare i nostri nemici, ma inevitabilmente renderebbe anche più difficile distinguere tra amici e nemici, con conseguenze negative per tutti.

Questi sono i due estremi opposti di un eventuale intervento in Libia: di gestione della crisi il primo, strettamente difensivo il secondo. Vedremo se andremo nell'una o nell'altra direzione, o ne tenteremo qualcun’altra. Una cosa però sembra certa, non sarà possibile dimenticarsi un’altra volta della nostra vecchia quarta sponda.

Stefano Silvestri è direttore di AffarInternazionali e consigliere scientifico dello IAI. 

di Stefano Silvestri - 16 / O2 / 2015
fonte: http://www.affarinternazionali.it


Stefano Silvestri
16/02/2015


Stefano Silvestri
16/02/2015

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