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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

17/02/15

CASO MARO' - ''15 Febbraio 2015: 3 anni di vergognosa odissea per i 2 Marò. E la Libia?''


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Da quel famigerato 15 febbraio 2012 in cui furono impelagati impropriamente, in un incidente tuttora oscuro, i nostri 2 Fucilieri di Marina sono ora nelle mani giuridiche e politiche dell’India che, con abusi, soprusi e balzelli continua a tenerli in pugno, mentre l’Italia ha sostanzialmente dimostrato di non curarsene se non con qualche telefonata e dichiarazioni di opportunità. Un triennio durante il quale è stata più volte lamentata la latitanza mediatica forse imposta dalle linee editoriali delle principali testate, più probabile dai politici, per i quali “era bene pensarci, ma non parlarne…” per non irritare gli indiani. Ciò, mentre non si curava della palese –urticante solo per alcuni italici- assenza di informazione sulla vicenda, delle informazioni nebulose e parziali che non hanno mai consentito di avere chiarezza sulla dinamica di quell’evento, né sui responsabili ai vari livelli che l’avevano provocata ovvero avvallata fin dall’inizio, e neppure nelle alterne vicende occorse che non hanno visto né alcuna presa di posizione seria e concreta dei nostri governanti, né quindi alcuna ipotesi di soluzione in qualche misura accettabile in questo nefasto triennio. Per contro si deve prendere atto dell’inconsistenza dell’operato di tre diversi governi succedutisi con quattro ministri degli Esteri che hanno via via ceduto buona parte della nostra sovranità nazionale, riducendola a brandelli, quando non al ridicolo, nonostante che il Diritto Internazionale e le Convenzioni del mare concedessero all’Italia tutte le facoltà, il sacrosanto diritto e tutte le ampie prerogative per la gestione della sorte dei due nostri concittadini. Anche l’immunità funzionale dei soldati operanti in missioni governative comandate fuori dal territorio nazionale, come stavano svolgendo i due FCM Latorre e Girone, non è mai stata sostenuta in modo pervicace e risolutivo, quando già di per sé, a prescindere dalla pur evidente internazionalità del sinistro, fosse stata lapalissiana la sua ammissione bilaterale. Tutto è dipeso dalla decisione presa quel 15 febbraio di tre anni fa; un grave errore quello di autorizzare e, comunque, non vietare l’ingresso dell’Enrica Lexie ad entrare nelle acque territoriali indiane, e poi nel porto di Kochi: un assenso condiviso dalla linea di Comando della Difesa e dalla società armatoriale, per ammissione dello stesso ministro della Difesa (Di Paola) pro-tempore con un grano di ritardo di 8 mesi, mentre di avviso assolutamente contrario era la Farnesina che però fu informata con 5 ore di ritardo, come sostiene lo stesso ex-Miniesteri Terzi. In effetti, per tale decisione, sussistono motivazioni contrastanti, ma apparentemente entrambe logiche, anche se non parimenti giuste; la prima: non avendo nulla di cui scolparsi, perché i 2 fucilieri si erano comportati secondo le regole, e pur avendo avuto un incontro con sospetti pirati intorno alle 16:00, poi sventato e risolto senza conseguenze né per la nave né per l’equipaggio del peschereccio, era abbastanza pacifico e ragionevole aderire alle richieste della Guardia Costiera indiana; la seconda che è un “must” del ministero degli Esteri di qualunque paese al mondo: nel caso di qualsivoglia incidente o diatriba occorsi in acque internazionali, non bisogna MAI lasciarle, ma restare negli spazi internazionali in attesa dei chiarimenti e delle risoluzioni diplomatiche del caso! Nell’evento in specie se avessimo aderito, col senno di poi, alla regola aurea della diplomazia, mettendo in secondo piano il buon senso orientato al mantenimento delle buone relazioni e dei traffici con gli indiani, i 2 FCM sarebbero rientrati in Patria ed avrebbero subìto, ammesso che l’India li avesse denunciati con specifiche e provate accuse, un regolare processo in Italia. D’altronde nelle acque internazionali, comunque fuori da quelle territoriali, su una nave italiana, con bandiera nazionale e con attori italiani, il Diritto-dovere di giudicarli è solo e soltanto italiano!
Errori ed omissioni hanno caratterizzato l’intero triennio; in occasione del Natale 2012 fu concesso ai 2 FCM un permesso di 15 giorni; l’Italia li restituì senza che la nostra magistratura esercitasse il divieto di espatrio essendo accusati di omicidio volontario. Più grave ancora è stata la decisione di farli rientrare dopo il permesso pasquale per le votazioni del 2013, quando la Corte Suprema di Delhi, dopo aver avocato a sé il giudizio, togliendolo al Kerala, e avendo incaricato la NIA delle indagini –polizia antiterrorismo- venivano di fatto trattati come terroristi con la previsione perfino della pena capitale: anche in quel caso, voltagabbana nottetempo dei nostri politici e omissioni della nostra giustizia, hanno dato corpo ad un combinato disposto per un vergognoso rientro in India, senza che l’Italia esercitasse minimamente i suoi diritti (e anche doveri!). In tale circostanza era palese come, anche per gli indiani, tale permesso non fosse necessario perché avrebbero potuto tranquillamente votare in ambasciata a Delhi; era un grimaldello diplomatico per poter trattenere i nostri FCM in Patria, uscendo così da una situazione complicata e compromessa italo-indiana: noi invece siamo stati così bravi e machiavellici da rispedirli in India, nonostante fosse “pending” pure la pena di morte!
Difficile trovare termini adeguati per definire il nostro comportamento! Sarebbe stato dignitoso vedere un’etica espressa da uno Stato non prono, non ambiguo, che difendeva a spada tratta quei diritti e quei valori tipici di una democrazia; uno Stato del diritto contro i soprusi e gli inganni e che sapesse farsi valere quando era in gioco la dignità e l’onore dei propri figli-soldati. Ora non cerchiamo baratti o scambi ignominiosi; lasciamo riposare e decantare quelle idee balzane che hanno frullato nella testa di alcuni “creativi” a cui ben poco importa della dignità di quei due FCM; quindi, non facciamoci intimorire e avviamo l’Arbitrato obbligatorio già promesso a suo tempo –quasi un anno fa- sia dalla Mogherini che dalla Pinotti, in quanto ci sono tutte le condizioni, visto il rifiuto reiterato di Delhi di accettare il “nostro diritto”. L’allegato VII alla UNCLOS, ratificato anche dall’India, prevede la nomina “d’autorità” del componente del Collegio di Arbitrato obbligatorio, qualora uno dei Paesi coinvolti rigetti la richiesta d’Arbitrato, ed un giudizio terzo, fuori dall’India.
Le intenzioni della classe politica si sono rivelate poco incisive e sempre in bilico fra mantenere una certa diplomazia e buone relazioni economico-industriali con l’India, mettendo in secondo piano la sovranità nazionale, e sorvolando su soprusi scarsamente accettabili: siamo passati dal “riportarli a casa al più presto… alla nostra unica titolarità a processarli, al presunto avvio dell’internazionalizzazione, fino a promettere l’auspicato arbitrato obbligatorio, quindi al rinnovato dialogo da condurre con la massima cooperazione…” e, infine, con la frustata del neo Presidente della Repubblica Mattarella che esorta “al massimo impegno per riportarli a casa…”.
Ma se, come ha correttamente sostenuto la ministra Pinotti, “il processo compete di diritto all’Italia e i nostri militari non possono essere giudicati in India perché il fatto è avvenuto in acque internazionali…” aggiungendo inoltre che “in tali condizioni di immunità funzionale negletta, sarà messo a repentaglio lo stesso status dei militari italiani impiegati in missioni internazionali…” bisognerà da un lato insistere a tutti i livelli per tale riconoscimento e, a questo punto, richiedere l’arbitrato senza ulteriori timori di disturbare il conduttore Modi. Con la speranza, ormai affievolita da continui e sonori schiaffi in faccia, che anche l’India tetragona subisca l’onta di vedersi sottratto, di diritto o per forza, finalmente il processo ai 2 FCM.
Tuttavia l’affermazione della Ministra, se rapportata con la recentissima dichiarata disponibilità all’invio di un cospicuo contingente di 5000 nostri militari in Libia per combattere il Califfato e quegli sciagurati dell’ISIS, sotto egida ONU, pone alcune riflessioni soprattutto in una missione delicata e che non si configura come peace-keeping, ma necessariamente come peace-enforcing , in base all’art.42 della Carta delle N.U., che prevede, quindi, l’uso di armi adeguate per ripristinare la pace, ma anche di soldati che siano minimamente tutelati nelle operazioni estere, come da lei affermato!
Non mettiamoli a repentaglio! Avranno le armi adeguate per la guerra “sulla quarta sponda” e il giusto status militare dopo l’evento dei 2 FCM, oppure andremo alla Brancaleone maniera? E, se come pare, l’ISIS continua a ipotizzare non solo lanci di missili verso gli infedeli dell’Occidente, sostenendo che loro ormai sono a sud di Roma…, ma in concreto oggi stesso hanno minacciato con le armi il personale di una motovedetta della nostra Guardia Costiera che stava soccorrendo numerosi migranti in difficoltà, noi abbiamo le armi necessarie, dopo i vari e cospicui tagli che anche di recente sono andati a scapito dell’efficienza e dell’efficienza delle Forze Armate? Vista la magrezza e il continuo improprio assottigliamento del budget, quanto tempo potrà durare il conflitto in termini di disponibilità di armamento? E quanto dovremo attendere per avere un accordo su una “coalition” per una tale rischiosa missione, e la benedizione dell’ONU per il ruolo che dovrà essere di “combat” senza ambiguità o ipocrisie, mentre loro avanzano verso la Tunisia e probabilmente con qualche ulteriore minaccia o addirittura blitz verso l’Italia? Perché non facciamo rapidamente un accordo con l’Egitto che soffre delle stesse minacce e problematiche, e nell’attesa delle lungaggini e proverbiale indecisione della catena di comando dell’ONU, la smettiamo con le ipocrisie ed i bla, bla romani, ma andiamo a difendere direttamente almeno i nostri interessi istituzionali e quelli delle nostre aziende, (ENI e coloro che hanno imprese in Libia…), come farebbero altre Nazioni in simili contingenze anche impiegando forze speciali per i punti sensibili, come ambasciate e piattaforme petrolifere, ecc.: altrimenti se lasciamo campo libero a quei farabutti, saranno guai. Problematiche molto diverse, ma anche per la Libia, dopo la destituzione del dittatore Gheddafi avvenuta il 20 ottobre 2011, oltre 3 anni fa, siamo stati inermi ad osservare lamentando l’abnorme e incontrollato flusso di migranti senza interventi concreti, sperando che tutto si auto risolvesse: con assenza di decisioni , “parenti” per alcuni versi, di quelle “parallele” inerenti la vicenda dei 2 Marò, in questi ultimi 3 anni!
Speriamo solo che io sia in errore su tutto il fronte… e che Dio ci salvi !

Giuseppe Lertora - 16 febbraio 2015
fonte: http://www.liberoreporter.it

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