Stracciato il precario equilibrio dei tre poteri con il superamento dell’art.68 della Costituzione, assistiamo da troppo tempo allo strapotere della magistratura che, in taluni casi, ha assunto una funzione oggettivamente supplente del vuoto lasciato dalla politica e, in altri, un ruolo esorbitante in grado di esercitare interventi distorsivi del costituzionale potere primigenio che la costituzione attribuisce alla sovranità popolare.
Un Paese lacerato che si ritrova, infine, a dover fare i conti con quell’ircocervo dell’Unione Europea, formalmente rappresentato dal Parlamento ubiquitario tra Bruxelles e Strasburgo, e sostanzialmente esercitato dalla Commissione europea e dalle diverse magistrature sovranazionali e, giù per li rami, dalle complesse e articolate tecnostrutture comunitarie.
Se facciamo un confronto tra l’Italia del 1948, quella che poté esprimersi elettoralmente a Costituzione repubblicana approvata, e quella odierna, dovremo riconoscere lo stato di grave degenerazione sistemica cui siamo giunti.
Nel 1948, DC e PCI, i partiti che esprimevano le culture politiche prevalenti del Paese, erano espressione di quasi l’80% dell’intero corpo elettorale, con straordinaria capacità di rappresentanza degli interessi e dei valori delle classi, gruppi sociali e movimenti presenti nella società italiana. Oggi, PD e ciò che resta del Pdl, rappresentano meno di un terzo dell’intero corpo elettorale, considerata l’astensione dal voto di quasi il 50% degli elettori.
Anomalia delle anomalie: un terzo presidente del consiglio non eletto, è il segretario di un partito che rappresenta meno di un terzo dei voti espressi, ossia meno del 15% dell’intero corpo elettorale, e controlla, di fatto, l’intero potere di tutte le istituzioni pubbliche italiane.
Pensare che con il patto del Nazareno, da molti considerato scellerato, si possa procedere alle modifiche del sistema costituzionale, attraverso ripetuti colpi d’ariete con l’art.138, da un Parlamento delegittimato e da una maggioranza che è sostanziale minoranza nel Paese, è semplicemente delirante, frutto della semplificazione di quei due giganti fiorentini del pensiero politico: Matteo Renzi e Denis Verdini.
Da tempo sosteniamo che serve un cambiamento radicale di sistema che può essere fatto, tuttavia, o democraticamente, con un Parlamento costituente eletto a suffragio universale rappresentativo di tutte le componenti politiche, sociali e culturali del Paese; oppure ci si arriverà, ahimè, per strade violente e non compatibili con le regole di una democrazia funzionante.
Non saper leggere ciò che accade a livello sociale, economico e culturale nel Paese è il risultato di una pochezza politica delle attuali componenti in campo, ognuna delle quali sta vivendo un travaglio dolorosissimo, solo in parte reso esplicito, ma che, sin dalle prossime elezioni europee è destinato ad esplodere in forme ancora difficilmente prevedibili.
Facciamo nostra l’analisi di Aldo Canovari sulle tre Italie in cui oggi si ritrova l’assetto sociale del Paese:
- “La prima è quella costituita da una cupola di privilegiati (grosso modo, in base ai parametri di calcolo adottati, circa 500 mila – 1.000.000 di persone), che occupano posti elevati in organismi pubblici centrali o territoriali di natura politica, giudiziaria, amministrativa, posti super-retribuiti e per di più sicuri e garantiti. E’ quella stessa cupola che nel corso degli ultimi decenni ha realizzato sperperi e folli deficit.
- La seconda è costituita dal gran numero dei dipendenti pubblici di livello medio-basso, i quali sono pagati poco, costretti spesso, contro la loro volontà, a non essere produttivi, il cui privilegio (non trascurabile) è quello della sicurezza del posto, unita spesso alla gratificazione di poter esercitare un qualche potere sui cittadini privati.
- La terza è costituita da quei tanti cittadini che producono effettivamente ricchezza (piccoli e medi industriali, artigiani, commercianti, professionisti, chi svolge un’attività autonoma in genere e i milioni di individui che lavorano alle loro dipendenze).
Tutti costoro operano nelle condizioni di rischio tipiche di ogni attività privata medio-piccola: fallimento se imprenditori; perdita del lavoro-licenziamento se dipendenti. Li potremmo chiamare, ricorrendo a un’analogia non troppo forzata con la situazione dell’Ancien régime intorno agli anni 1760-1786, membri servili della società, soggetti alla cosiddetta taglia reale, in quanto sudditi di rango inferiore.”
Una teoria dei tre stati che trova il suo corrispettivo nello sgretolamento della rappresentanza sociale, culturale e politica degli interessi e dei valori di riferimento di quegli stessi attori sociali. Prima, i grandi partiti esprimevano le culture prevalenti esistenti in Italia e rappresentavano gli interessi di blocchi sociali omogenei e consistenti; oggi, rischiano di rappresentare solo la parte prevalente della prima classe, quelli della casta, una parte minoritaria della seconda, quella dei diversamente tutelati, mentre” il terzo stato” è ridotto ad astenersi o a farsi rappresentare, un tempo dalla Lega, e adesso dal Movimento Cinque Stelle.
Servirebbero i Voltaire, Diderot e D’Alambert dell’89, in grado di dare voce e autorevolezza a questo moderno “terzo stato”; si tenta, invece, di far passare la vulgata del Nazareno, e la prova del nove si avrà con le elezioni europee del 25 Maggio.
Credo che gli italiani non si faranno gabbare, avendo consapevolezza che, allo stato in cui siamo giunti, servirà, prima gli stati generali ( elezioni politiche senza i trucchi dell’Italicum) e poi, la riforma della Costituzione e dell’intero assetto dello Stato in una nuova Europa. Passaggi indispensabili se vogliamo evitare che, dopo gli stati generali, arrivi la Pallacorda e poi, la presa cruenta della Bastiglia…
Ettore Bonalberti - 19 aproile 2014
fonte: http://www.formiche.net/
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