Signor Capo della Polizia
chi le scrive, prima di assumere la direzione de Il Tempo, ha trascorso gran parte della sua esistenza professionale facendo il cronista di strada e l’inviato speciale. In queste vesti ha provato a raccontare con obiettività i fatti che gli scorrevano davanti. Un bel giorno - si fa per dire – finisce catapultato nella bolgia di Genova, città assediata, impaurita, presidiata da elicotteri, blindati, robocop in uniforme e cavalli di frisia. Abituato, per sfida e per cultura a ritrovarsi spesso dalla parte sbagliata, pensai di procedere controcorrente rispetto alla totalità dei colleghi impegnati a celebrare i proclami di guerra dei cattivi maestri in tuta bianca: e così, dopo essermi beccato sul fianco una manganellata tirata alla cieca da un agente al primo contatto con gli antagonisti, un po’ prevenuto chiesi a quei poliziotti la possibilità di seguirli come un’ombra, di registrare le loro sensazioni, di raccontare l’altra faccia degli scontri che avrebbero fatto storia. Non mi dissero di sì, e nemmeno di no. Non lo sapevo ma erano gli uomini super addestrati del famoso (“famigerato”, direbbero i no global) Settimo Nucleo, il fiore all’occhiello di tutti i reparti mobili. Mi ritrovai così in mezzo a loro a vivere un’esperienza allucinante che cambierebbe a chiunque il modo di pensare e di vedere le cose.
Trascorsi le successive sette-otto ore nell’inferno di una violenza a
senso unico - quella del Blocco Nero - che non credevo possibile. Non è
retorica, e nemmeno piaggeria, ma per abusare di Blade Runner ho visto
davvero cose che certi opinionisti e sinistri parrucconi non possono
lontanamente immaginare. Ho visto ragazzi, i suoi ragazzi, signor capo
della Polizia, piegarsi in due a colpi di pietre e bastonate. Ho visto i
caschi della Celere frantumarsi al contatto con le biglie d’acciaio. Ho
visto divise prendere fuoco insieme a chi le indossava. Li ho visti
piangere dal dolore, soffocare nei loro stessi gas lacrimogeni, chiedere
aiuto e soccorso ai compagni. Ma soprattutto li ho visti ogni volta
risorgere, rialzarsi miracolosamente, ricompattarsi a mo’ di testuggine,
battere sugli scudi per ritrovare coraggio, rincorrere ombre anche se
azzoppati, ingaggiare nuovi scontri, rispondere alle offese senza mai
infierire quando al loro posto - lo confesso - li avrei presi tutti
gratuitamente a mazzate. Li ho visti andare al macello in settanta
contro 500/600, mi sono detto ma chi glielo fa fare, ho pensato alle
loro mogli e ai figli a casa, e più avanzavano malconci e fieri verso
quel muro d’odio e più pensavo che a gente così bisognerebbe dargli
cinquemila euro d’aumento, minimo. Al termine di quella giornata ho
visto una città distrutta, bruciata, disorientata, avvolta dal fumo
nero, stuprata da migliaia di animali. Quel che ho visto l’ho raccontato
senza filtri e preconcetti. Ma l’indomani, leggendo i giornali, pensavo
d’aver vissuto un incubo coi responsabili di quella guerra civile
osannati e coccolati e i difensori dello Stato umiliati e maltrattati.
Ci fu la Diaz, è vero, con lo schifo che alcuni poliziotti senza nome
fecero all’interno. Ci fu la tragedia di Carlo Giuliani, ucciso per
legittima difesa da un carabiniere terrorizzato dall’orda di barbari
invasati sulla camionetta incastrata. Ci fu anche una gestione
dell’ordine pubblico penosa. Ma le devastazioni, i danneggiamenti, i
saccheggi, gli assalti, i pestaggi, i 20 milioni di euro di danni, i 170
poliziotti e carabinieri portati all’ospedale, che fine avevano fatto?
Ecco. La storia oggi si ripete, signor Capo della Polizia. Perché la
storia, talvolta, non insegna niente e quando concede il bis si diverte a
indurre in errore chi dovrebbe restarne immune. Dispiace che a
commetterlo, stavolta, sia stato Lei, nella fretta di dare del «cretino»
a un suo poliziotto che avrà anche sbagliato a calpestare un
manifestante (sarà la magistratura a stabilire se l’ha fatto apposta) ma
che - assieme agli altri suoi colleghi - per ore ha subìto di tutto,
come ogni giorno subiscono all’inverosimibile sui monti della Tav o allo
stadio, in un crescendo d’ansia e adrenalina senza eguali. La base del
Corpo è in rivolta per le sue parole, i sindacati di polizia l’hanno
criticata ferocemente, il prefetto di Roma ha detto cose ovvie e
naturali che i suoi uomini si aspettavano da Lei, il ministro Alfano
ieri ha difeso il Corpo con parole che da decenni non si sentivano al
Viminale. Non faccia finta di non ascoltare quelle voci. Anche se nella
sua lunga e brillante carriera ha combattuto (bene) il crimine
organizzato senza occuparsi mai della piazza, dia presto un segnale a
chi rifugge il pensiero unico della polizia cilena. Come scriveva Sun
Tzu nell’Arte della guerra, un vero leader non comanda con la forza ma
con l’esempio.
di Gian Marco Chioggi - 19 aprile 2014
fonte: http://www.iltempo.it
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