“Ragionie’: ragionamme!”. Ricordate Totò? Matteo Renzi è un
po’ così. Fa mille conti, ma si dimentica poi il “ragionamento”. Quello,
tanto per capirci, così caro a Ciriaco De Mita, che insisteva con quel
suo modo dolce di avellinese a confondere le “t” con le “d”. Ma Renzi
non ha un briciolo di Magna Grecia in sé: tutta furbizia toscana e
assalto alla baionetta alle cariche più importanti. Il sogno già sognato
è quello della vetrina internazionale, delle pacche sulle spalle a
Francois Hollande e del bacino complice ad Angela Merkel. Con quale
risultato pratico, si è visto. Alla fine, l’immodesto aspirante
all’eredità dei Medici si è trovato addirittura a minacciare il veto sul
bilancio europeo, per ridare l’udito ai finti sordi di Commissione e
Germania. È proprio vero che le aspirazioni del poeta naufragano in
Patria! Perché, in fondo, l’ircocervo Partito Democratico non si è mai
evoluto, rimanendo quello delle origini: mezzo Dc “de sinistra” e metà
ex Pci storico con i suoi rottamati che si riconvertono alla bisogna in
“rottamatori del rottamatore”, in perfetta continuità con lo stile
infido e sulfureo del vecchio e mai troppo rimpianto Comitato centrale.
Tutti dicono che Matteo sia un po’ agitato da quando insegue
nevroticamente sogni di rivincita. In realtà ciò accade perché, appunto,
non sa far di conto. La prima delle addizioni sbagliate è quella di
considerare come un suo bottino personale di consensi il 40 per cento
(che, guarda caso, è l’aliquota maggioritaria residuata dalla legge
elettorale emendata dalla Corte costituzionale) di coloro che hanno
votato per il “Sì” il 4 dicembre scorso. L’altra somma incerta, non meno
strategica della prima, gli direbbe che divisi e scissi si conquistino
più consensi di quelli che otterrebbe un Pd litigioso su tutto, tenuto
assieme con gli spilli da snervanti compromessi e trattative interne
che, come si sa, da quelle parti durano lo spazio di un mattino. Matteo
del resto fa i conti con il “dopo”: se la sinistra vuole governare non
ci sono alternative (soprattutto in regime proporzionale) a una
coalizione sinistra-centro. Quindi, avanti tutta con il vaporetto che
brucia olio nel motore. Dato per perso il maggioritario (inutile in un
sistema tripolare, una volta amputato del ballottaggio), non resta che
un ritorno al Nazareno.
Prima, però, occorre di nuovo sellare il somaro recalcitrante del suo
Pd. E lo si può fare solo chiedendo un ultimo, disperato sforzo ai
militanti: Congresso per la scelta del nuovo segretario e primarie per
quella del candidato leader alla guida del Governo. Separando per
sempre, tuttavia, le due cariche. In base all’ultimo giro di giostra
della recente direzione Pd, si farà il congresso prima del voto con i
tempi che deciderà l’assemblea del Pd. Poiché Renzi ha dichiarato che
con la sua segreteria si conclude un ciclo, la conseguenza ovvia e
inevitabile sono le sue dimissioni da segretario. Poi, infine, un altro
calcolo fallato: aver insediato un supposto Re Travicello (Paolo
Gentiloni), rivelatosi ben più solido e sponsorizzato del suo da parte
dei “poteri forti”. Impossibile chiedere al gentile conte di farsi
discretamente da parte, se non mettendolo alle corde con una sfiducia
parlamentare che sarebbe un suicidio per la credibilità di governo del
Pd. Intanto, Beppe Grillo gioca con la frizione del “voto anticipato sì;
anzi no”, creando scompiglio nelle sempre più inquiete file renziane e
in quelle del tribuno Matteo Salvini.
Ma, in realtà, poiché da qui a un anno si andrà comunque al voto, il
popolo italiano aspetta la sua classe politica screditata al rimbalzo
del gatto morto della legge elettorale. O la politica ritroverà in
merito un sussulto di dignità, o il Paese cadrà nella paralisi e nel
caos. E non sarà di certo colpa dei cittadini!
di Maurizio Bonanni - 15 febbraio 2017
fonte: http://www.opinione.it
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