La cronaca “europea” della scorsa settimana è stata segnata dalle
dichiarazioni, poi parzialmente rimangiate, del cancelliere tedesco
Angela Merkel su una “Europa a due velocità” da formalizzare già al prossimo vertice di Roma. I media
hanno sbrigativamente tradotto le posizioni della Merkel con l’ossimoro
di una “doppia moneta unica”, una per i paesi del nord ed un’altra per i
paesi del sud. Non sono mancati i consueti commenti circa l’influenza
della campagna elettorale in Germania su questa presa di distanze della
Merkel dalla consueta dogmatica dell’Unione Europea.
In realtà i tedeschi sono scontenti dell’Ue perché gli è stato fatto
credere che il crollo dei loro redditi sia causato dalla necessità di
sacrificarsi per soccorrere i cosiddetti Piigs. Dato che così non è,
alla Merkel basterebbe consentire un aumento dei salari in Germania per
fare tutti contenti, all’interno come all’esterno. Un aumento della
domanda in Germania stimolerebbe l’economia
dei paesi Ue più in difficoltà e il contestuale aumento del costo del
lavoro nella stessa Germania renderebbe le merci tedesche un po’ meno
competitive, diminuendo così il destabilizzante surplus commerciale
tedesco.
Ma ciò non accadrà, poiché l’Ue non era affatto nata per favorire l’integrazione economica dell’Europa.
Gli interessi erano soltanto finanziari e militari. La deflazione
causata dall’euro rende più forti i creditori nei confronti dei
debitori, e quindi va a favore delle multinazionali finanziarie. Gli Usa
sono stati determinanti nella nascita dell’euro e nella sua
conservazione, poiché l’euro consente di compattare in funzione
anti-russa paesi che, come l’Italia, rischiavano di farsi risucchiare
economicamente nell’orbita della Russia. Sino a qualche anno fa gli Usa erano disposti a pagare il prezzo salato che l’euro comportava in termini di depressione dell’economia
mondiale. Pare che non siano più disposti oggi, dato che le merci
tedesche hanno invaso il mercato statunitense a causa della
sottovalutazione dell’euro rispetto all’effettivo potenziale dell’economia della Germania. D’altro canto il presunto “disimpegno” americano in Europa potrebbe davvero cambiare qualcosa? E’ vero che gli Usa
non sono riusciti a mettere Putin all’angolo, che i costi dei loro
impegni militari sono mostruosi, ma sembra esserci la necessità di una
riorganizzazione della gerarchia internazionale senza la quale il
“protezionismo coloniale” avrebbe qualche difficoltà.
Senza una ostentazione di forza militare da parte degli Usa,
altri paesi potrebbero rispondere a loro volta col protezionismo. Certo
è che l’Ue e l’euro sarebbero travolti non tanto dai dazi ma da una
svalutazione del dollaro che, per ora, non è arrivata. Non sarebbe comunque la prima volta che gli Usa distruggono ciò che essi stessi hanno creato perché non gli fa più comodo. Nel 1919 il presidente Usa,
Woodrow Wilson, impose la nascita della Jugoslavia per impedire
all’Italia il controllo del Mare Adriatico. Per sostenere la sua
posizione Wilson non esitò ad accusare l’Italia di imperialismo (per la
serie del bue che dice cornuto all’asino). La stessa Jugoslavia negli
anni ‘90 è stata poi distrutta dagli Usa
in concerto con la Germania e, grazie ad una notevole manipolazione
mediatica, anche le “sinistre radicali” furono indotte a plaudire al
“risveglio etnico” che dissolveva stati che erano apparsi prima
inamovibili.
Pur collocata dagli Usa
sul maggiore scranno della Ue, la Germania non ha mai mostrato di
credere realmente in questa costruzione. Nel 2003 tramontava l’illusione
del governo francese di poter usare l’euro per acquistare direttamente
materie prime sui mercati internazionali, poiché l’invasione Usa
dell’Iraq servì appunto a punire Saddam Hussein per il fatto che
vendeva petrolio in cambio di euro invece che di dollari. Nello stesso
2003 il governo tedesco lanciò il piano Hartz per ridurre i salari in
Germania. Il governo tedesco non si accontentava quindi del vantaggio
che l’euro consentiva alle merci tedesche, ma apiva addirittura una
corsa a comprimere il costo del lavoro in modo da accumulare il maggior
surplus commerciale possibile. Ciò indica che i governi tedeschi non
hanno mai creduto alla sopravvivenza dell’Ue e dell’euro; e che l’Ue
e l’euro, nati come armi da guerra contro la Russia, venivano usati
dalla Germania anche per deindustrializzare il suo principale
concorrente commerciale, cioè l’Italia, non a caso bersaglio preferito
della Commissione Europea.
La Germania non deve neanche affannarsi più di tanto per raggiungere
il suo scopo, poiché ci pensa la lobby dello spread. La moneta “unica” è
infatti un inganno. La moneta è composta di banconote e di debito
pubblico, cioè di titoli del Tesoro: nel caso dell’euro le banconote
sono controllate dalla Banca Centrale Europea, mentre i titoli del
Tesoro sono ancora emessi dagli Stati, che però pagano interessi
diversi. In questa tenaglia è stata stritolata la Grecia e si può
stritolare l’Italia. Risulta quindi fuori luogo la sorpresa suscitata
dalla minaccia della Commissione Europea di mettere l’Italia in
procedura d’infrazione per il famoso “zero virgola due”. La Brexit e
“CialTrump” non hanno per niente indotto Juncker e colleghi a maggiore
prudenza e buonsenso poiché la Commissione Europea, e l’apparato che la
supporta, non si pongono affatto problemi di sopravvivenza dell’Ue, ma
ragionano esclusivamente in base agli interessi della lobby dello
spread, cioè la lobby di finanzieri internazionali che esige alti
interessi sul debito pubblico da paesi che sono ancora in grado di
pagarli, come l’Italia.
L’Unione Europea
è un allevamento di lobbisti e costituisce il paradiso delle porte
girevoli tra cariche pubbliche e carriere nel privato, e il tutto è
rigorosamente documentato da tempo, con dovizia di dettagli. La porta
girevole che ha portato l’ex presidente della Commissione Europea,
Manuel Barroso, alla dirigenza di Goldman Sachs dovrebbe costituire una
preoccupazione urgente per tutti gli “europeisti”, i quali insistono
invece a distrarci con voli pindarici. Ma gli europeisti non esistono, i
lobbisti invece esistono, eccome. La delegittimazione delle istituzioni
europee è tale che oggi la vera domanda che tutti si pongono è in quali
multinazionali finanziarie concluderanno felicemente la loro
carriera
gli autori della lettera dello “zero virgola due”, Juncker e Moscovici.
A proposito di lobbisti mascherati, ci si è chiesti da più parti come
si collochi l’ultima sortita del Super-Buffone di Francoforte in questo
contesto di sfaldamento dell’Ue. Mario Draghi farnetica di
trecentoquaranta miliardi di euro di tangente da versare per permettere
all’Italia di uscire dall’euro, quando ormai sarebbe evidente che è
l’euro che sta uscendo dall’Europa.
La farneticazione del presidente della Bce contiene comunque un
messaggio recondito, e cioè che la vita dell’euro dovrà perpetuarsi
oltre la sua morte, con una scia di ulteriori sacrifici da imporre a
lavoratori e risparmiatori. La risposta immediata a Draghi dovrebbe
essere quella di sottrarre il debito pubblico ai cosiddetti “mercati”
(cioè la lobby dello spread) per usare i titoli del Tesoro solo
all’interno, per effettuare i pagamenti della pubblica amministrazione e
per mettere al sicuro il risparmio delle famiglie. Si tratta di una
vecchia proposta, ripresa qualche giorno fa – non si sa quanto
seriamente – anche dalla Lega. A rendere improbabile una tale misura di
autonomia finanziaria non sono soltanto gli enormi rischi personali di
chi dovrebbe adottarla, ma anche il fatto che lo spread e l’austerità si
avvalgono di una lobby interna, tutta italiana, che lucra sugli alti
interessi del debito pubblico, sul credito al consumo (e sul relativo
recupero crediti), sul caporalato istituzionalizzato, sulle
privatizzazioni e sull’intermediazione per la svendita all’estero dei
patrimoni immobiliari.
(“Dopo i sacrifici per entrare nell’euro e i sacrifici per restare nell’euro, i sacrifici per uscire dall’euro”, dal blog “Anarchismo.Comidad” del 9 febbraio 2017).
fonte: http://www.libreidee.org
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