Per
essere politicamente corretti non si dovrà più, parlando di
immigrazione, usare la parola “clandestino”. Suona male, potrebbe essere
offensiva. L’intellighenzia spiega a noi, poveri mortali, che bisognerà dire “non regolare”.
Leggiamo sul Giornale la notizia che sul foglio d’ordini del politicamente corretto,
Repubblica, è stata pubblicata una lettera in cui un gruppo di
“intellettuali” (già questa definizione mi fa venire la diverticolite)
si duole perché nel “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo
del contrasto all’immigrazione illegale”, sottoscritto dall’Italia e
dall’evanescente governo libico (che, sia detto per inciso, sarebbe
bello capire quale autorità effettiva riesca a esercitare) compare più
volte la parola “clandestino”.
Orrore, orrore, dicono gli “intellettuali”. Questa parola è brutta,
contiene un “giudizio negativo aprioristico”. Meglio sarebbe, per non
scuotere la delicatezza d’animo delle frotte che sono impegnate a
invadere le nostre città e a distruggere quel poco di civiltà che qua e
là è rimasta, usare termini più sfumati, come “irregolare” o magari “non
regolare”.
Anzitutto, cosa vuol dire “clandestino”? Ricorriamo all’autorevole Vocabolario Treccani, che ci spiega: “clandestino agg. [dal lat. clandestinus (der. dell’avv. clam «di nascosto»), attrav. il fr. clandestin]. – 1. Che è fatto di nascosto, e si dice per lo più di cose fatte senza l’approvazione o contro il divieto delle autorità: giornale, foglio c.; edizione c., tipografia c.; bisca c. …” e potete andare avanti nella lettura del vocabolario cliccando qui.
Ora, qualcuno potrebbe obiettarmi che perdo il mio tempo con
questioni di poco conto: lasciamo che questi “intellettuali” si
dilettino con queste disquisizioni; noi abbiamo cose più serie di cui
occuparci.
Già, però la cosa è seria, perché, se è vero che le disquisizioni
sulle parole più o meno offensive sono in genere una solenne idiozia, è
anche vero che con questa solenne idiozia si è via via modificato il
linguaggio, fino a rendere accettabili le cose inaccettabili,
definendole con parole o con giri di parole che ne sfumassero sempre più
la negatività.
“Clandestino”. Come ci spiega il Treccani, è un aggettivo che
definisce ciò che è fatto di nascosto e, come tale, facilmente si può
presumere che sia vietato. Infatti, se compio un atto che non è
illecito, perché devo farlo “di nascosto”, ossia “clandestinamente”?
Gli italiani hanno le scatole piene di essere invasi quotidianamente
da migliaia e migliaia di stranieri che per lo più sono accomunati dalla
voglia di campare a spese nostre e che per lo più sono islamici?
Incominciamo a edulcorare la faccenda. Ora definiamoli solo
“irregolari”. Meglio ancora, “non regolari”, che è l’anticamera per
arrivare ai “diversamente regolari”.
Di esempi di idiozia in marcia nel linguaggio, ne abbiamo tanti.
Alcuni sono, tutto sommato, inoffensivi. Nessuno sa spiegare perché mai
un “invalido” sia diventato un “diversamente abile”, o perché uno
“spazzino” sia diventato un “operatore ecologico”.
Ma altre distorsioni del linguaggio sono invece servite per togliere
la carica negativa alla parola corretta che definiva un fatto
inaccettabile e farlo così diventare pian piano accettato.
Esempi? Facile.
“Aborto”. Parola brutta. Dall’approvazione della famigerata legge 194, si parla di interruzione volontaria di gravidanza,
dove quel “volontaria” è anche tanto bello, perché evoca quella
“libertà” in nome della quale si possono commettere un sacco di
porcherie.
“Invertito, frocio”. Che parole brutte! Ed ecco che diventano “gay”,
parola cinguettante, che tra l’altro sta per “allegro”, “gaio”.
Cos’abbiano da essere allegri gli infelici che si trastullano con la
sodomia, è un mistero. Però è un fatto che usando una parolina così
gioiosa, la diffusione e la propaganda dell’omosessualità sono ormai
entrate, come suol dirsi, nel nostro quotidiano.
“Puttana, prostituta”. Orrore! Vuoi mettere che bello usare la parola “escort”, con quel che di esotico che affascina?
E
non sono che tre esempi di mutazione del linguaggio che hanno reso
accettabili cose che da sempre erano considerate negative, riprovevoli.
Un altro esempio? La morte fa paura, e poi se si parla di morte
magari c’è ancora qualche noioso iper-conservatore che viene ad ammonire
sulla vita eterna, su ciò che bisogna fare per arrivare in Paradiso.
Roba fastidiosa; allora basta abolire la “Morte”. E infatti ormai
nell’uso corrente si parla di “fine vita”.
Ora ci viene prescritto di non usare più la parola brutta “clandestino”, e suoi derivati.
Probabilmente la prossima vittima del prossimo stupro ad opera di un
immigrato, più o meno regolare, più o meno clandestino, dovrà star bene
attenta a cosa dirà e soprattutto sottoscriverà nella denuncia. Che non
le scappi di usare la parola “clandestino”, che contiene un “giudizio
negativo aprioristico”. Potrebbe venir querelata dallo stupratore che,
in base ai dettami della neolingua, si sentirebbe offeso nella sua
dignità.
Basta con la parola “clandestino”. Meglio “irregolare”, per passare a
“non regolare” e infine, non stupirebbe, a “diversamente regolare”.
Così tutto si sfuma, tutto diventa parte di una quotidianità allucinata ma passivamente accettata.
Colloquio (per ora) immaginario:
“Come mai dormi in automobile?”
“Sai com’è, il mio appartamento è stato occupato da una dozzina di immigrati diversamente regolari”.
“Ah, beh, allora…”
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