L’accusa, in soldoni, sarebbe
quella di aver violato la legge 352/1970, definendo il referendum
“confermativo di legge costituzionale” e non “di revisione
costituzionale”: differenza non da poco visto che secondo l’articolo 16
di detta legge nel secondo caso devono essere dettagliatamente elencate
le norme sottoposte a modifica, mentre nel primo è sufficiente indicare
la materia disciplinata dalla legge costituzionale oggetto di
referendum.
È passata poco più di una settimana dalla pubblicazione del decreto presidenziale di indizione del referendum costituzionale,
che ha fissato la data dello stesso al prossimo 4 dicembre, e già da
giorni- come se già le moine attorno al referendum non riempissero
abbastanza le colonne dei giornali del Paese- è scoppiato il putiferio,
soprattutto con riguardo all’inusuale formulazione del quesito
referendario. Il testo che ci troveremo di fronte fra meno di due mesi
nelle cabine elettorali assomiglia, a guardarlo bene, più a un tendenzioso e ingannevole spot pubblicitario
che a un equilibrato quesito referendario su una legge di revisione
costituzionale. Esso invita infatti i cittadini a esprimere il proprio
assenso o dissenso alla legge costituzionale che concerne, in ordine
sparso e puramente casuale, “Disposizioni per il superamento del
bicameralismo paritario, riduzione del numero dei parlamentari,
contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, soppressione
del CNEL e revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”. E
formulato così il quesito, come dissentire dal nobile intento che anima
la riforma? Quei signori che fanno propaganda per il No devono essere
sicure mante dei gufi cattivi che odiano Matteo Renzi e vogliono
distruggere qualsiasi cosa egli faccia.
Ovvio che la realtà non è questa e che il quesito,
vistato dalla Corte di Cassazione e recepito per decreto dal polveroso
Mattarella, è formulato in maniera sfacciatamente faziosa. Ecco che,
come accennavamo all’inizio, intorno a esso si è subito alzato un gran
polverone che è andato a sommarsi al già cospicuo polverone che a causa
del referendum avvolge da settimane il dibattito politico italiano.
Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana hanno infatti presentato pochi
giorni fa ricorso al Tar del Lazio contro Presidenza della Repubblica,
Presidenza del Consiglio e Ministero della Giustizia. L’accusa, in
soldoni, sarebbe quella di aver violato la legge 352/1970, definendo il referendum “confermativo di legge costituzionale” e non “di revisione costituzionale”:
differenza non da poco visto che secondo l’articolo 16 di detta legge
nel secondo caso devono essere dettagliatamente elencate le norme
sottoposte a modifica, mentre nel primo è sufficiente indicare la
materia disciplinata dalla legge costituzionale oggetto di referendum.
Da qui è seguito un simpatico e tragicomico scaricabarile tra cariche
dello Stato, con la prima e la quarta carica della Repubblica che hanno
rimesso con gran stile la patata bollente nelle mani della Cassazione.
Se Palazzo Chigi si è infatti subito tirato fuori dalla disputa, con
Renzi che si è affrettato a dichiarare che il quesito è stato scelto
dalla Cassazione (e fin qui non gli si può dar torto), anche il
Quirinale ha tenuto a specificare che Mattarella ha soltanto firmato il decreto d’indizione,
recependo automaticamente anche il quesito. Anche il Colle si è sfilato
dunque dalla contesa, come se il Presidente della Repubblica fosse un
insignificante impiegato ministeriale, un passacarte qualsiasi che
vidima e firma pratiche burocratiche delle quali ignora il contenuto, e
dunque la colpa, alla luce di tutto ciò, è senza ombra di dubbio della
Cassazione, dalla quale però non sono arrivate dichiarazioni.
Dunque la Corte di Cassazione ha partorito di sua sponte un quesito
così esageratamente sbilanciato e incompleto che, tra l’altro, richiama
aspetti del tutto arbitrari della riforma (ricorda infatti l’abolizione
del CNEL ma non parla del nuovo sistema di elezione del Presidente della
Repubblica, o delle nuove disposizioni in materia di iniziativa
legislativa popolare) o forse al Palazzaccio di Piazza Cavour c’è qualche “talpa” renziana?
Pochi giorni fa è apparsa su molti giornali la notizia che il primo
presidente della Suprema Corte Giovanni Canzio ha visto prolungato il
suo incarico prolungato di un anno e mezzo tramite decreto di Matteo
Renzi. A ogni modo entro la fine della prossima settimana dovrebbe
arrivare la sentenza del Tar sulla richiesta avanzata da M5S e Sinistra
Italiana, e allora sapremo se potremo votare il 4 dicembre o se il voto
sarà rimandato a data da destinarsi.
di
Alessandro Di Marzio - 8 ottobre 2016
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