E’ assurdo pensare che la riforma della Costituzione sia motivata da una riduzione dei costi. Innanzitutto non si capisce come una riduzione dei costi possa riguardare l’Organo di massima espressione della democrazia rappresentativa e cioè il Senato. Comunque, come ha dimostrato la Ragioneria Generale dello Stato, il risparmio non è affatto di 500 milioni di euro, come affermato dalla Ministra Boschi, ma di 51 milioni di euro, una cifra irrisoria specie se rapportata all’effetto che produce: una diminuzione della rappresentanza politica a uno dei suoi maggiori livelli.
Inesatta è anche l’affermazione secondo la quale la trasformazione del Senato,
ridotto a cento senatori nominati (non si sa ancora da chi) e scelti (a
parte i 5 nominati dal Presidente della Repubblica) tra i consiglieri
regionali e i sindaci, ridurrebbe i tempi per l’approvazione delle
leggi. Infatti, sono previste molte materie nelle quali Camera e Senato
devono votare entrambi, ma con procedure diverse: alcuni
costituzionalisti parlano di 12 procedure, altri di 6, altri infine di
4. Comunque, il Senato può sempre chiedere di intervenire sulle leggi in
corso di approvazione da parte della Camera dei deputati
e forte è il pericolo di contrasto di vedute. Per questi casi la legge
costituzionale di revisione parla di un accordo tra il Presidente della
Camera e quello del Senato. Ma se questa intesa (come è molto
prevedibile) non si raggiunge, come si definisce la controversia? Sarà
necessario ricorrere alla Consulta con un allungamento dei tempi di almeno un anno.
Non corretta è anche è la tesi secondo la quale questa modifica
costituzionale servirebbe per cambiare la situazione di stallo in cui si
trova la nostra società. E’ esatto l’inverso, poiché questa riforma, come presto vedremo, serve per “mantenere lo status quo”, non per “cambiarlo”.
Ciò premesso e venendo alla valutazione del testo che è sottoposto al nostro esame referendario,
si dovrebbe dire che, a parte gli innumerevoli errori e contraddizioni
che esso contiene, sono tre le reali modifiche che esso, considerato nel
suo complesso, apporta alla Costituzione vigente: l’accentramento dei
poteri nell’esecutivo; la trasformazione del Senato in una camera di rango inferiore
alla Camera dei deputati; l’annientamento (ed è questa la modifica più
rilevante) della garanzia della revisione costituzionale prevista
dall’art. 138. Ed è da tener presente che la modifica del Senato è
espressa a chiare lettere, mentre le altre due modificazioni sono il
frutto nascosto di modifiche che hanno oggetti diversi.
Sino al voto del 4 dicembre Interris.it, senza prendere una
posizione, ospiterà i sostenitori del “Sì” e del “No” al referendum, per
consentire ai lettori di farsi liberamente una propria opinione a
riguardo
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