“L’Italia è bella, amo l’Italia, ringrazio tutti, siamo un bel popolo”.
Le prime parole di Salvatore Girone, marò, di nuovo italiano. Un
cazzotto in faccia alla Repubblica di Arlecchino, servitore di due
padroni, pusillanime.
Divisa perfetta, saluto militare a chi ha le chiavi della patria in mano, a chi ne regge il trono ma non ne rappresenta l’anima.
La schiena dritta di Salvatore Girone ricorda quella strana, antica sensazione di (cosa significhi) essere italiani. Riporta ad una dignità superiore che un tempo abitava queste terre, non solo popolate da mafiosi e corrotti, da disonore e pessimi esempi, da paraculi, strozzini e raccomandati. Da vigliacchi.
Gli italiani la schiena dritta ce l’hanno sempre avuta. Ce lo siamo dimenticati, sicuro, perché abbiamo perso l’abitudine all’italianità, a ricordarci di noi e della nostra storia, dei suoi uomini, confusi nell’idolatria della Tecnica. Essa non conviene, evidenzia la pochezza dell’oggi, non produce denari e rinforza lo spirito nazionale, non si può fare.
La compostezza è una vittoria, di questi tempi. Poteva essere un Girone infernale di polemiche. L’abbandono, la pochezza diplomatica, la svogliatezza, le prese per il culo – contro i marò, un vero e proprio tormentone, dalle pagine Facebook, alle imitazioni tv, fino alle frasi scritte sui muri -, le accuse. Così non è stato. Non è da dare più nulla per scontato nell’Italia del Sacro Toscano Impero di Renzi, nulla, neanche quando sei ingiustamente detenuto in terra straniera, neanche quando non hai colpe, neanche quando sei fedele alla Repubblica, alla Costituzione, alla Bandiera. A meno che tu non sia Giuliana Sgrena, Vanessa e Greta, o un prodotto del progressismo, meno romantico, meno nostalgico, meno teatrale, secondo loro. L’odio, la frustrazione, avrebbero dovuto calcare la scena, come ignobilmente accade per ogni foglia che si muove al vento, da queste parti. Ma non c’è stata soddisfazione per i macellai mediatici, né per il regime del belpensare. Non offrirsi alla strumentalizzazione, non cadere nella sciatta superficialità, mantenendosi integro fino in fondo. Militare, fedele. Non nutrire la bestia italica.
La schiena dritta di Salvatore Girone ricorda quella strana, antica sensazione di (cosa significhi) essere italiani. Riporta ad una dignità superiore che un tempo abitava queste terre, non solo popolate da mafiosi e corrotti, da disonore e pessimi esempi, da paraculi, strozzini e raccomandati. Da vigliacchi.
Gli italiani la schiena dritta ce l’hanno sempre avuta. Ce lo siamo dimenticati, sicuro, perché abbiamo perso l’abitudine all’italianità, a ricordarci di noi e della nostra storia, dei suoi uomini, confusi nell’idolatria della Tecnica. Essa non conviene, evidenzia la pochezza dell’oggi, non produce denari e rinforza lo spirito nazionale, non si può fare.
La compostezza è una vittoria, di questi tempi. Poteva essere un Girone infernale di polemiche. L’abbandono, la pochezza diplomatica, la svogliatezza, le prese per il culo – contro i marò, un vero e proprio tormentone, dalle pagine Facebook, alle imitazioni tv, fino alle frasi scritte sui muri -, le accuse. Così non è stato. Non è da dare più nulla per scontato nell’Italia del Sacro Toscano Impero di Renzi, nulla, neanche quando sei ingiustamente detenuto in terra straniera, neanche quando non hai colpe, neanche quando sei fedele alla Repubblica, alla Costituzione, alla Bandiera. A meno che tu non sia Giuliana Sgrena, Vanessa e Greta, o un prodotto del progressismo, meno romantico, meno nostalgico, meno teatrale, secondo loro. L’odio, la frustrazione, avrebbero dovuto calcare la scena, come ignobilmente accade per ogni foglia che si muove al vento, da queste parti. Ma non c’è stata soddisfazione per i macellai mediatici, né per il regime del belpensare. Non offrirsi alla strumentalizzazione, non cadere nella sciatta superficialità, mantenendosi integro fino in fondo. Militare, fedele. Non nutrire la bestia italica.
Mantenere la schiena dritta, essere esempio. Non essere ospite di Barbara D’Urso.
Quando tutto non avrà più un senso, da Aosta a S.Maria di Leuca, ce ne ricorderemo. Per oggi, noi pochi altri, rimarremo cantori poveracci di un’anima che ci appartiene.
Quando tutto non avrà più un senso, da Aosta a S.Maria di Leuca, ce ne ricorderemo. Per oggi, noi pochi altri, rimarremo cantori poveracci di un’anima che ci appartiene.
Nell’Italia di Falcone e Borsellino, dei martiri di Nassiriya, nelle
parole estreme di Fabrizio Quattrocchi, nel richiamo all’ordine del
comandante Gregorio De Falco, nei voli nello spazio di Samantha
Cristoforetti, nella schiena dritta di Salvatore Girone, voglio vedere
la generazione di un nuovo esempio, di uomini, che nutra le nuove leve
di italiani e gli ricordi l’onore, l’umanità, la dignità nel caos di
questa incredibile farsa spacciata per patria, in questi 2000 vuoto a
perdere, in cui muoiono gli esempi collaudati, le certezze di
un’identità, di un’epoca. Anni in cui comunque stiamo facendo la storia
ma senza accorgercene come fosse un fatto estraneo al nostro tempo, a
noi, come se la storia si fosse fatta solo nel passato o fosse solo
l’ennesima notizia, l’ennesima breaking news. Estranei a noi stessi,
perdiamo pezzi, costretti ad adorare il ricordo, ricordare la morte,
ignorare il presente.
fonte: http://blog.ilgiornale.it/ricucci/
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