Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo
Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato
dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e
“nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria
statale italiana, temutissima da Germania
e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia
dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di
continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche
centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo
colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di
Berlino. La Germania
si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia
come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare
l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a
patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro
concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di
togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
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Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».
Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia
nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici,
prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo
dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei,
stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica
propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette
Sorelle”. E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del
compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde
Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br
di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni
dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc
era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti:
«Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco
tempo prima». Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo
Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti
dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti
inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del
giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva
scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia
nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”)
avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa.
Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
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Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a
partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e
preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li
acquista più, i tassi sono saliti e la finanza
pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria
passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno
possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di
introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi
avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una
visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale».
Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese
acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da
soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una
ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50
gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè
investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma
nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli
di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più
facendo
investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi.
Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
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Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia
reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie
peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla
perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto,
dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite
delle banche
stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille
miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale.
«Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo
della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche
allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro
per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi
sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la
storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per
certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori,
studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste
operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici.
Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato:
nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva
le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega
Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia
reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere
nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da
questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come
sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal
2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».
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Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la
Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda
effettivamente in questa Europa
se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero
«raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore
di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in
Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del
patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano
criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg,
Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono
tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si
riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il
problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati».
L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali
allo scopo di poter aumentare il potere
di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale».
Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la
penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg
agli “Illuminati”. «Negli Usa
c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush,
padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è
chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno
agevolati nella loro ascesa».
Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia
una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con
Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy,
secondo Galloni, gli Usa
«sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse
«ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente
“ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica
della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui
l’Italia è stata una straordinaria protagonista. L’odiata Germania?
Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di
importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora
che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno
a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori
della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy
d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche
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potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.
Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa,
tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le
controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il
paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni
sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere
l’inflazione? Falso: gli Usa
hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare
spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in
un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a
partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma
della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia.
Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle
multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare
sul mercato interno può essere l’inizio della fine della
globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore,
quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini,
quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima
di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno:
lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità
finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese
muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni
– perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di
bilancio è un crimine».
Scritto il 02/5/13
fonte: http://www.libreidee.org/2013/05/italia-potenza-scomoda-dovevamo-morire-ecco-come/
fonte: http://www.libreidee.org/2013/05/italia-potenza-scomoda-dovevamo-morire-ecco-come/
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