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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

12/03/14

Narendra Modi, l’uomo che può rilanciare l’India e piacere alla Cina




Nazionalista indù, liberista, accettato a Pechino, il premier del Gujarat è il grande favorito alle elezioni indiane di aprile-maggio. Anche se le ombre sul suo ruolo nei massacri anti-musulmani del 2002 non sono state fugate.


 
 
[Il premier del Gujarat e favorito alle prossime elezioni indiane Narendra Modi. Fonte: shrinews.com]
Il 27 febbraio 2002, nella località indiana di Godhra (Gujarat), un gruppo di estremisti musulmani diede fuoco a un treno che trasportava un gruppo di pellegrini indù di ritorno da Ayodhya, una città dell’Uttar Pradesh dove, una decina di anni prima, la distruzione di una moschea aveva scatenato una serie di scontri in cui erano morte circa 2 mila persone.

Ben 99 persone persero la vita nell’attentato contro il treno
. Vari gruppi indù del Gujarat indissero immediatamente uno sciopero generale (bandh). Seguirono giorni di intensa violenza, con numerosi episodi di tortura e stupro. I morti furono oltre mille, 18 mila le abitazioni distrutte e circa 200 mila i musulmani sfollati. In diverse località la polizia non fece nulla per fermare le violenze. In alcuni casi, come si legge in un rapporto di Human Rights Watch sull’accaduto, gli agenti “supportarono attivamente” i massacri.

Il governo dello Stato del Gujarat era già allora nelle mani di Narendra Modi, il favorito alle prossime elezioni indiane. Gli avvenimenti del 2002 resteranno una macchia indelebile nella carriera politica del leader del Bharatiya Janata party (Bjp), oltre che una delle pagine più buie della recente storia indiana.

Le violenze costarono quasi il posto a Modi, salvato in extremis dal suo partito. Molti gli rimproverano tuttora di non aver fatto abbastanza per fermare il massacro: avrebbe potuto vietare lo sciopero generale, imporre immediatamente il cessate-il-fuoco, oppure ordinare alle Forze di polizia un'azione più decisa a difesa della comunità musulmana. In un rapporto sulle violenze del 2002, la commissione indiana per i diritti umani descrisse la risposta dello Stato del Gujarat “un fallimento totale”.

Fu molto dura anche la reazione di parte della comunità internazionale: nel 2005, gli Stati Uniti revocarono il visto d'ingresso a Modi, ritenendolo responsabile della deprecabile performance delle istituzioni statali nella gestione degli scontri. Circa 200 persone sono state condannate per il ruolo avuto durante le violenze di quei giorni. Nel 2012 una speciale commissione d’inchiesta nominata dalla Corte suprema indiana ha assolto Modi da tutte le accuse, ma persistono molte ombre su quegli avvenimenti e numerosi dubbi sulle effettive responsabilità del leader del Bjp. Tanto più se si considera il suo background ideologico.

Come tutti i membri del suo partito, Modi ha militato per anni nel gruppo nazionalista indù “Rashtriya Swayamsevak Sangh” (Rss), di cui il Bjp è il braccio politico. Pilastro fondamentale dell'ideologia nazionalista indù è il concetto di '“Hindutva“, che non è riducibile alla sola sfera religiosa ma si estende sino a comprendere quello di lealtà territoriale, anteponendo, dunque, la fedeltà alla patria indiana e alle tradizioni indù a ogni altra cosa. Più volte, in passato, membri dell'Rss sono stati accusati di incitare all'odio religioso. Da ultimo, in un'intervista rilasciata al mensile indiano The Caravan, Swami Aseemanand - in carcere con l'accusa di aver pianificato tra il 2006 e il 2008 almeno 3 attentati contro i musulmani, con un bilancio di 82 morti e decine di feriti - ha accusato i vertici dell'Rss di aver fornito il loro appoggio a questi attacchi terroristici, a condizione di non esserne coinvolti direttamente.


Negli ultimi anni, tuttavia, le ambizioni di governo hanno spinto Modi ad adottare una retorica conciliante, spingendo ai margini del suo discorso politico ogni tematica suscettibile di alimentare divisioni e controversie e costruendo la sua immagine pubblica sui successi economici ottenuti alla guida del Gujarat. [l'articolo continua dopo la carta]


[Carta di Laura Canali tratta da Limes 6/09 "Pianeta India"]

Alla vigilia delle elezioni politiche, pare che la sua missione abbia avuto successo. Anche l'Occidente ha deciso di mettere da parte ogni perplessità di carattere etico e di stabilire legami con quello che potrebbe diventare il futuro leader dell'India. L’incontro avvenuto il 12 febbraio tra Modi e l’ambasciatore americano a Nuova Delhi, Nancy Powell, ha di fatto posto fine all'ostracismo inflittogli da una parte della comunità internazionale, riabilitandone definitivamente l'immagine pubblica.

A fine febbraio, l’istituto americano Pew Research Center ha pubblicato i risultati di un sondaggio svolto in India che sembrerebbe lasciare davvero poco spazio ai dubbi. Quasi 8 intervistati su 10 hanno dichiarato di vedere favorevolmente Narendra Modi: un indice di gradimento molto superiore rispetto a quello ottenuto da uno dei principali leader indiani, Rahul Gandhi (50%). Buoni consensi sono stati raccolti anche dal suo partito (63%), mentre il Congress party (19%) sembra inesorabilmente avviato verso una delle peggiori performance elettorali di sempre. Se è vero che i sondaggi si rivelano spesso inaffidabili - a maggior ragione se effettuati in un paese con oltre 800 milioni di elettori - e che una buona performance del “terzo fronte” (ombrello sotto il quale sono raccolti numerosi partiti regionali) potrebbe sbarrargli la strada verso il governo nazionale, Narendra Modi è certamente l’uomo da battere alle prossime elezioni, previste per aprile-maggio di quest'anno.

Il leader del Gujarat è il più moderno tra i politici indiani, come dimostrato dalla sua grande attenzione per i social media (ha più di 3.5 milioni di follower su Twitter) e per la comunicazione in generale. Nel 2009 ha ingaggiato la seconda più grande agenzia di pubbliche relazioni degli Stati Uniti, la Apco Worldwide, per promuovere in tutto il mondo l’immagine del Gujarat come meta degli investimenti internazionali.

Nato da un’umile famiglia del Gujarat - suo padre vendeva il tè presso una stazione ferroviaria - Modi è riuscito a scalare i vertici della politica locale e nazionale in un paese in cui l’appartenenza di casta riveste un ruolo ancora molto importante. Il leader del Bjp è diventato un modello di successo, capace di esercitare grande fascino sulle masse, tanto che i suoi comizi radunano migliaia di persone. La sua immagine è da molti venerata quasi alla stregua di quella di una divinità indù. Il compito che potrebbe essere chiamato ad assolvere è a dir poco impegnativo: riportare l’India sui livelli di crescita sostenuti e farne una grande potenza.

Il “suo” Stato, il Gujarat, rappresenta un modello di sviluppo economico molto apprezzato anche fuori dai confini indiani. Definito dall’Economist il “Guangdong indiano” (in riferimento a una delle più ricche province della Repubblica Popolare Cinese), il pil del Gujarat è cresciuto durante il governo di Modi a un tasso medio di circa il 10%, ben al di sopra di quello nazionale. Con solo il 5% del totale della popolazione indiana, questo Stato assorbe circa il 16% della produzione manifatturiera nazionale e ¼ del totale delle esportazioni. Tra i principali successi rivendicati da Modi vi sono lo sviluppo delle infrastrutture (in particolare, della rete elettrica) e la semplificazione delle procedure burocratiche, con una conseguente riduzione della corruzione. Rispetto al resto dell'India, il Gujarat è stato contraddistinto negli ultimi 12 anni da livelli di governance ben più elevati: ciò ne ha favorito lo sviluppo economico ed è valso a Modi il sostegno dei businessmen indiani.

In questi anni, Modi è stato capace di creare un legame molto forte con l'establishment economico dell'India, facendo del Gujarat il destinatario di investimenti interni ed esteri. Centinaia di uomini d'affari provenienti da ogni parte del mondo si riversano ogni due anni nel Gujarat per prendere parte al summit economico “Vibrant Gujarat”, evento creato da Modi nel 2003 allo scopo di promuovere gli investimenti. Colossi globali come Ford, General Motors e Tata hanno aperto stabilimenti nel Gujarat, beneficiando di un regime fiscale favorevole e di altre agevolazioni ad hoc.

I critici di Modi gli rimproverano uno stile autoritario e una scarsa attenzione per le esigenze della popolazione locale. La sua ascesa, tuttavia, è fortemente legata ai fallimenti del modello di sviluppo economico inclusivo adottato in questi anni dal Congress party, divenuto oramai sinonimo di populismo e corruzione. Il governo guidato da Manmohan Singh non ha saputo mantenere le grandi aspettative createsi attorno al paese negli anni passati, rivelandosi incapace di adottare quelle riforme strutturali di cui l'India tuttora necessita. Complice la crisi economico-finanziaria globale, dal 3° trimestre del 2011 il tasso di crescita del pil indiano è costantemente inferiore al 5%, ben lontano dal 9,3% fatto registrare nell'anno fiscale 2010-11.

Modi ha costruito la propria immagine in forte contrasto rispetto all'immobilismo mostrato negli ultimi anni dal Congress party e dai suoi alleati. Noto per essere un instancabile lavoratore e un amministratore integerrimo, il leader del Gujarat rappresenta per molti indiani la sola speranza di tirar fuori il paese dalla difficile situazione economica in cui si trova attualmente. Come dichiarato da Ratan Tata (capo onorario dell'omonima compagnia) “dà fiducia sapere che quel che Modi dice che sarà fatto, poi viene fatto davvero”. Il parlamento uscente passerà alla storia come quello che ha approvato il minor numero di leggi a fronte di uno scenario che, al contrario, richiedeva prontezza d'azione e coraggio politico. Come spesso accade in situazioni simili, la popolazione finisce con l'affidare le proprie speranze a figure quasi messianiche, leader decisionisti e talvolta autoritari, capaci di parlare alla “pancia” dell'elettorato. Leader simili a Modi, per intenderci.

Con motti come “minimal government, maximum governancee “government has no business to do business”, il leader del Bjp sembra essere riuscito a conquistare anche la fiducia della finanzia internazionale. Lo scorso novembre l'agenzia americana Goldman Sachs ha alzato il rating dell'India da underweight a marketweight, proprio in previsione di una possibile affermazione di Modi alle prossime elezioni.

A dire il vero, i contenuti dell'agenda economica del capo del Gujarat appaiono ancora piuttosto vaghi. Potrebbe, tuttavia, trattarsi di una scelta ben ponderata, che avrebbe come obiettivo quello di consentire a Modi di competere sul piano della demagogia con i suoi principali rivali politici. Oltre a una prevedibile maggiore apertura del paese agli investimenti esteri, quel che appare più probabile, alla luce della sua esperienza al governo del Gujarat e dalle politiche adottate dall'ultimo esecutivo guidato dal Bjp, è che venga messo a punto un esteso programma di privatizzazioni tale da consentire al paese di reperire i fondi necessari per lo sviluppo senza dover adottare misure impopolari come tagli al welfare.

L'obiettivo principale di Modi sarebbe quello di creare un vero e proprio “marchio India” da esportare in tutto il mondo, puntando sullo sviluppo e la valorizzazione delle cosiddette 5 “T”: tecnologia, turismo, tradizione, commercio (trade) e talento.

L'economia dovrebbe rappresentare anche il pilastro centrale della politica estera di un eventuale governo Modi. Sebbene nelle ultime settimane il leader del Bjp abbia adottato una retorica sempre più marcatamente nazionalista, condannando, in particolare, la politica espansionistica cinese, il suo successo dipenderebbe in larga parte dai risultati ottenuti in campo economico. Un deterioramento dei rapporti con Pechino non gioverebbe all'India, rappresentando piuttosto un serio ostacolo allo sviluppo economico di Delhi.

Proprio la Cina è stata tra i primi a intuire le possibilità di successo del leader del Bjp, come dimostrato dalla visita di quest'ultimo a Pechino: nel 2011 fu accolto con gli onori che di solito si riservano ai capi di Stato. La retorica anti-cinese, che rappresenta una costante delle campagne elettorali indiane, non si traduce necessariamente in una reale ostilità nei confronti dell'Impero del Centro. Al contrario, è possibile che nel caso di una vittoria di Modi si assista a un'intensificazione delle relazioni tra i due paesi in ambito commerciale, senza che ciò comporti, tuttavia, una riduzione della spesa militare. Come dichiarato dallo stesso Modi, l'obiettivo della politica estera indiana deve essere quello di trovare un equilibrio tra shanti (pace) e shakti (potenza).

Più delicata potrebbe rivelarsi la gestione dei rapporti con il Pakistan. In questi mesi, Modi ha criticato l'approccio del governo di Manmohan Singh nei confronti di Islamabad, giudicandolo troppo tenero. In vista del ritiro delle truppe internazionali dall'Afghanistan, Islamabad e Nuova Delhi cercheranno in ogni modo di estendere la propria influenza sul paese, con un inevitabile aumento delle tensioni bilaterali. Non è da escludere l'ipotesi che alcuni dei gruppi terroristici pakistani operanti a Kabul e dintorni decidano di riorientare le proprie attività in funzione anti-indiana. Già nel corso del 2013 si è assistito a un significativo aumento dei tentativi di infiltrazione di terroristi nel Jammu e Kashmir. Un eventuale attentato terroristico come quelli compiuti a Mumbai nel 2008 (166 morti) e, più di recente, nel 2011 (26 morti) costringerebbe un governo eventualmente guidato da Narendra Modi a rispondere all'attacco in maniera molto decisa, con il rischio di un nuovo conflitto armato.

Il successo del leader del Gujarat alle prossime elezioni, dunque, aprirebbe scenari ancora difficili da decifrare. Una politica economica meno demagogica consentirebbe all'India di tornare su livelli di crescita più sostenuti, offrendo ai mercati internazionali grandi opportunità di investimento. Un approccio pragmatico in politica estera potrebbe preludere a una più intensa integrazione regionale, a beneficio di tutta l'area. In ogni caso, non mancherebbero gli elementi di rischio, molti dei quali sottratti, almeno in parte, al controllo dei decisori politici.

Durante un comizio tenuto il 23 gennaio a Gorakhpur, Narendra Modi ha chiesto agli indiani 60 mesi di tempo per dare loro un futuro di pace e felicità. Il responso delle urne non tarderà a farsi conoscere.
di Daniele Grassi (12/03/2014)
 
fonte: Repubblica.it/limes

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