Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo via email all'indirizzo edomed94@gmail.com Saranno immediatamente rimossi. L'autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.


Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

06/05/16

Caso Marò - L’Italia umiliata/ Le imbarazzanti analogie tra il caso marò e il caso Regeni

th-8


La decisione del Tribunale Internazionale costituito presso la Corte Permanente dell’Arbitrato dell’Aja di consentire il rientro in Italia del Fuciliere di Marina Salvatore Girone, se confermata e resa effettiva, sarebbe la prima vera buona notizia di questa vergognosa vicenda che si trascina da oramai da più quattro anni.
Trattandosi di una buona notizia è subito arrivato, immancabile, il tweet di Renzi (che in predenza si era tenuto ben lontano dal problema) anche se è solo di recente che il suo governo, dopo avere pasticciato e cincischiato come i precedenti, ha imbroccato la strada giusta, vale a dire quella dell’arbitrato internazionale.
il Tribunale Internazionale ha preso una decisione 10 mesi dopo la richiesta italiana di arbitrato a fronte dei 4 anni e due mesi forzatamente trascorsi in India da Salvatore Girone.
Viene da chiedersi, quindi, come mai l’arbitrato sia stato richiesto così tardi, visto che secondo il diritto internazionale era l’unica via possibile, oltre che, come si è visto, la più efficace.
Per rispondere alla domanda, non si può fare a meno di ripercorrere l’incredibile e vergognosa sequenza di errori, superficialità, incapacità ed incompetenza che hanno caratterizzato la vicenda.
Una vicenda dalla quale la credibilità internazionale dell’Italia è uscita a pezzi, come possiamo constatare anche nel caso, condotto in modo altrettanto improvvisato e dilettantesco, della controversia con l’Egitto per la tragica morte di Giulio Regeni.
Dei tre governi che hanno gestito, in modo sempre inadeguato, la questione marò (salvo la recente ma pur sempre tardiva svolta di Renzi), la poco invidiabile palma del peggiore va senz’altro al governo Monti, principale responsabile dell’accaduto e dal quale sono state prese le decisioni più vergognose nonostante, oltretutto, ministro della difesa fosse proprio un Ammiraglio.
Una sequenza di errori e incompetenza che ha coinvolto tutta la gestione, sia politica che tecnica, del problema, a cominciare dalla sciagurata decisione di far rientrare la Enrica Lexie nel porto indiano di Kochi sottovalutando, o non rendendosi conto, della situazione e delle conseguenze apparse, però, immediatamente evidenti al momento dell’attracco della petroliera.
Sul piano del diritto la questione sarebbe relativamente chiara: l’incidente (ammesso che ne siano effettivamente responsabili i militari italiani, il che non è del tutto certo) sarebbe accaduto in acque internazionali, su una nave battente bandiera italiana (quindi territorio italiano a tutti gli effetti) con (asserita) responsabilità di militari nell’espletamento di doveri istituzionali e quindi quali organi dello Stato, che in quanto tale ne deve rispondere, protetti da immunità funzionale.
L’India, però, paese teoricamente “amico”, assume subito un atteggiamento di grave prevaricazione: ignorando del tutto la Convenzione sul diritto del mare del 1982, ratificata tanto dall’Italia quanto dall’India, e non riconoscendo unilateralmente alcuna immunità funzionale sequestra senza le necessarie formalità le armi di ordinanza presenti sulla nave (proprietà del Governo Italiano) e arresta come due comuni malfattori Salvatore Girone e Massimiliano Latorre con la pretesa di processarli sul posto per “omicidio”.
L’inchiesta della Polizia del Kerala che segue, nella quale le autorità italiane sono ammesse solo come “osservatori”, resta al di sotto del livello minimo ammissibile di credibilità e serietà.
Basti dire che tutte le prove, dopo i sommari esami dei periti locali, vengono distrutte: bruciato il peschereccio, bruciati i corpi delle vittime, distrutti o scomparsi i proiettili, dei quali sarà impossibile ricostruire le traiettorie. (Alcune palesi incongruenze delle “perizie” indiane emergeranno proprio nelle udienza dell’arbitrato).


Il governo Monti? incapaci e codardi

Di fronte alla condotta, apertamente ostile e non conforme al diritto internazionale, dell’India il governo dei tecnici, male assistito dalla diplomazia, sbanda incapace di trovare il bandolo della matassa e subisce senza nessuna capacità di reazione.
La linea adottata è ondivaga e inconcludente: si contesta a parole la giurisdizione indiana ma ci si costituisce nei relativi giudizi (il che comporterebbe un implicito riconoscimento della sua legittimità), viene offerto un risarcimento alle famiglie delle vittime (con implicita ammissione di responsabilità) nel maldestro tentativo di ridurre la tensione, si evitano accuratamente provvedimenti sul piano diplomatico e ci si limita a cercare di mitigare le pretese della controparte che pretenderebbe di imprigionare i due marò come delinquenti comuni in un carcere locale, ottenendo solo di trattenerli in stato di fermo in una guest house adiacente, mantenendo l’uniforme.
Purtroppo la questione si intreccia, nello stesso periodo, con una brutta storia di elicotteri e bustarelle che coinvolge Finmeccanica e alti funzionari indiani, forse corrotti per portare a casa un super contratto, e il governo Monti, che evidentemente privilegia il senso degli affari al senso dello Stato, non vuole indispettire la controparte nella speranza di salvare il mega affare.
Naturalmente sarà un fallimento anche su questo fronte: l’India rispedirà al mittente gli elicotteri e si terrà i marò.
I rapporti economici con l’india sono comunque molto rilevanti e sono fortissime le pressioni degli ambienti imprenditoriali per non fare arrabbiare i potenziali clienti; non a caso la linea viene dettata più dal Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera che, come niente fosse a crisi iniziata, guida delegazioni di imprenditori in cerca di affari, che da quello degli Esteri Giulio Terzi di Santagata.
La questione subisce quindi una grottesca escalation nei meandri della inaffidabile giustizia indiana che porta, a fronte della sempre più colpevole impotenza del governo italiano, ad applicare retroattivamente ai militari italiani una legge speciale antiterrorismo che prevede addirittura la pena di morte.
Protagonista negativo di questa fase della vicenda è Staffan de Mistura, diplomatico ONU nominato vice ministro degli esteri, che viene incaricato di seguire il dossier con poteri speciali.
Ovviamente l’azzimato aristocratico italo svedese non sarà capace di combinare niente se non ingarbugliare ulteriormente la faccenda in un confuso ed inutile viavai tra Roma e Nuova Delhi mendicando inservibili e fumose rassicurazioni sulla non applicazione della pena di morte ai marò, come se la soluzione del problema fosse addolcire in qualche modo l’atteggiamento di tribunali privi di giurisdizione.
Solo ad aprile del 2014 l’inconcludente personaggio sarà finalmente rimosso dal governo Renzi.
Nullo è anche il peso dell’Italia sul piano internazionale: nessun alleato spende una parola, il segretario dell’ONU (sotto la cui egida operava la missione anti pirateria dei nostri militari) Ban Ki Moon, se ne lava elegantemente le mani e Lady Ashton, responsabile della politica estera dell’UE, rilascia addirittura un comunicato in cui definisce “contractors” (cioè guardie private) i nostri militari.
A quanto pare nessuno a Bruxelles era stato in grado di spiegarle che si trattava di militari delle forze armate italiane che espletavano compiti di istituto.
Si arriva così al punto più basso e vergognoso della vicenda: il 21 marzo 2013 il governo tecnico, oramai a fine corsa, annuncia che i marò, rientrati temporaneamente in Italia, non sarebbero tornati in India.
La reazione indiana è violentissima: calpestando la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, ai sensi della quale la persona diplomatica è “inviolabile”, il governo indiano impone all’ambasciatore italiano di non lasciare il Paese e dichiara di non riconoscergli l’immunità diplomatica.
Un atto inaudito e senza precedenti che costituisce una gravissima violazione del diritto internazionale.
Il governo tecnico, però, invece di reagire si cala le braghe e senza tanti complimenti rispedisce in fretta e furia i due sfortunati militari in bocca al “nemico”.
Un episodio indegno che, come troppo spesso avviene nella storia italiana, mette a nudo l’inadeguatezza di un’intera classe dirigente di fronte a problemi seri che riguardano l’interesse nazionale.
Stando alla ricostruzione poi resa pubblica dall’allora ministro degli esteri Terzi di Santagata (l’unico a dimettersi) sarebbero state, ancora una volta, le pressioni esercitate da Corrado Passera in nome degli affari a determinare il voltafaccia del governo nonostante le solidissime argomentazioni giuridiche a favore della decisione di trattenere in patria i marò.
Sta di fatto che la vicenda, oramai divenuta farsa, ebbe comunque effetti disastrosi sulla credibilità italiana (il che non aiuta di certo nemmeno gli affari) e che nessuno dei personaggi coinvolti ne uscì bene.
Non Mario Monti, confermatosi così capo di un governo disastroso in tutto; men che meno, soprattutto, l’Ammiraglio Giampaolo Di Paola, ministro tecnico della difesa, che senza fare una piega consegnò i suoi uomini anziché difenderli, adoperandosi affinchè tutto avvenisse nel più breve tempo possibile e senza intoppi.
Nemmeno il comandante supremo delle Forze Armate, ovvero l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ebbe niente da dire salvo chiedere ai marò di ubbidire agli ordini.
Anche buona parte della stampa nostrana fece le sua parte, sostenendo incredibilmente la posizione dell’India: dai commentatori di sinistra arrivarono editoriali di fuoco, intrisi di terzomondismo di maniera, contro la decisione di “non rispettare i patti” trattenendo in Patria i marò.
Francesco Merlo su Repubblica in un retorico editoriale intitolato “L’onore perduto della democrazia” evocò addirittura l’8 settembre, tuonando contro il disonore causato dalla “destra badogliana del tutti a casa”, rivelando peraltro una conoscenza piuttosto confusa della storia: la destra avrà tanti difetti ma non è mai stata “badogliana” (casomai vittima del tradimento badogliano) e l’8 settembre può si essere evocato nella circostanza, ma solo per descrivere l’ignavia dei capi che, restandosene ben protetti, abbandonano i loro uomini mandandoli allo sbaraglio.
Trascurando totalmente gli aspetti giuridici della questione (i pareri degli organi competenti favorevoli alla decisione di trattenere i militari salteranno fuori solo molto tempo dopo) nessuno si chiese che valore potessero avere “patti”, in realtà un banale ricatto, stipulati con un paese ostile ed inaffidabile che calpestava sistematicamente il diritto internazionale, applicava norme penali retroattive comportanti la pena di morte, revocava l’immunità diplomatica di un ambasciatore e che finirà per trattenere illecitamente per oltre quattro anni un militare straniero di un paese teoricamente amico senza essere mai stato in grado di formulare un’accusa formale.
Archiviato il Governo Monti, la musica non cambia con Enrico Letta: il ministro degli esteri Emma Bonino, sempre disposta a spendersi per le cause più disparate, non muove un dito per Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, lasciati nelle mani degli Indiani e del confuso e maldestro De Mistura.
Della Bonino sul tema si ricordano solo dichiarazioni di critica alla decisione di imbarcare militari su navi civili, manco fosse la trovata creativa di un ministro e non una legge dello Stato (DL n. 107 del 12 luglio 2011, convertito con L. n. 130 del 2 agosto 2011) approvata dal Parlamento con voto bipartisan.
Arriviamo così al governo Renzi ed ai giorni nostri: dopo avere pasticciato ancora un po’, il 17 dicembre 2014 viene richiamato l’ambasciatore e, poco meno di un anno fa, si procede finalmente ad attivare l’arbitrato internazionale, che avrebbe dovuto essere in realtà la prima cosa da fare.
Vedremo nelle prossime settimane se la decisione del Tribunale Arbitrale sarà rispettata o se, ancora una volta, le autorità indiane decideranno di calpestare il diritto internazionale.


Il caso Regeni, un altro pasticcio

La stessa pessima ricetta, fatta di improvvisazione e superficialità, sembra ripetersi, mutatis mutandis, nel caso Regeni.
Una questione dai contorni ancora oscuri, che nessuno si preoccupa di illuminare, piena di domande senza risposta.
Qui il ministro Gentiloni, pressato da giornali ed opinione pubblica, anziché trattare per canali riservati con un paese alleato in evidente difficoltà, ha preferito la spettacolarizzazione ad uso interno, lanciando minacce ed anatemi dai giornali e finendo per richiamare prontamente l’ambasciatore.
Un atteggiamento che non avvicina, né avvicinerà, alla verità che, con molta dignità, la famiglia del ragazzo sta giustamente chiedendo.
Il governo di Al Sisi ha reagito facendosi beffe dell’Italia, rifiutandosi di collaborare e imbastendo improbabili ricostruzioni dei fatti.
Questa volta il Governo Italiano, evidentemente preoccupato più di una certa opinione pubblica interna che della situazione internazionale, non ha voluto tenere conto delle implicazioni di scelte emotive e superficiali: l’Egitto oltre ad essere un importantissimo partner economico (basti pensare ai giacimenti di gas appena scoperti dall’Eni, forse non estranei all’accaduto) è (o oramai era) il principale alleato dell’Italia in un’area che il problema della Libia ha reso incandescente.
La velleitaria ed inutile linea dura di Gentiloni & C. non solo non ha ottenuto né otterrà niente per Regeni, ma ha compromesso seriamente i rapporti con Al Sisi che non ha dovuto faticare per trovare altri alleati.
La Francia, infatti, ha subito approfittato della situazione; Hollande con una solenne visita di stato, celebrata in Egitto come un avvenimento epocale, ha riempito il vuoto lasciato improvvidamente dall’Italia riempiendo anche il portafoglio con ordini di armi e forniture industriali per svariati miliardi.
Le conseguenze della maldestra politica estera del governo renziano le vedremo presto in Libia dove gli interessi francesi saldati con quelli egiziani stanno portando di fatto alla separazione di Tripolitania e Cirenaica.
Qui l’uomo forte di Francia ed Egitto, rimpinzato di armi da entrambi (1150 veicoli da combattimento sono appena arrivati dall’Egitto mentre da tempo consistenti reparti francesi affiancano le milizie di Haftar) ha quasi ultimato la conquista del territorio, smantellando i capisaldi degli integralisti islamici, che ripiegano in Tripolitania, e dirigendo verosimilmente l’attenzione verso il controllo delle installazioni petrolifere, con le compagnie francesi pronte a sfruttare la situazione ed a scalzare l’Eni, da sempre padrona del campo.
Secondo la ministra Pinotti (intervistata a Porta a Porta) non esisterebbero problemi del genere: il governo francese e il generale Haftar avrebbero assicurato di non avere mire sulla Cirenaica e di appoggiare il governo fantasma di Serraj.
La realtà è ben diversa: non esiste nessuna possibilità che Haftar, oramai padrone della Cirenaica, armato sino ai denti da Egitto e Francia e prossimo a mettere le mani sui proventi del petrolio si sottometta al debole governo di Serraj, privo di qualsiasi autorità effettiva, al momento incapace controllare anche solo alcuni quartieri di Tripoli e di uscire dalla base militare in cui è rintanato.
La spartizione della Libia e la perdita della Cirenaica a favore del duo Francia/Egitto sembrano oramai, se non già un fatto compiuto, inevitabili.
Vedremo cosa ci racconterà la Pinotti quando succederà, o magari aspetteremo il tweet di Renzi.

Nessun commento:

Posta un commento