Renzi e il referendum: dalla
personalizzazione spinta della primavera scorsa (se perdo mi dimetto) a
oggi, potrebbe esser cambiato così tanto da non essere cambiato nulla.
In mezzo ci sono stati gli avvertimenti molto preoccupati dell'ex
presidente della repubblica Giorgio Napolitano, le critiche della
minoranza dem, i mea culpa; ma il presidente del Consiglio è sempre di
più al centro della scena. Strategia deliberata o protagonismo
inevitabile? Lo abbiamo chiesto a Sara Bentivegna, docente di
comunicazione politica nell'Università La Sapienza di Roma.
Renzi è dappertutto, la personalizzazione sembra per lui una via obbligata.
Temo di sì. Siamo di fronte all'incarnazione più compiuta del governo del leader di cui parla Mauro Calise; il governo è
Renzi, è lui che dà corpo a tutti i ministri, è lui la fonte della loro
legittimazione politica. In queste condizioni non può che
personalizzare, alternando momenti di tregua per far scendere la
sovraesposizione. Ma siamo a ridosso del voto ed è un'impresa difficile.
A ridosso del voto? Si vota il 4 dicembre.
La politica è cambiata. Siamo in una campagna elettorale permanente, fatta di tappe: ora è il referendum costituzionale, ieri erano le amministrative. E' un percorso cominciato quando Renzi si è candidato a leader del centrosinistra nel 2012.
E Renzi che rischi corre?
Deve stare attento a non
raggiungere il livello di saturazione. Oggi è una presenza continua e
ossessiva sui media generalisti. Il rischio è il tormentone: prevedi la
battuta perché sapendo dove vuole arrivare, sai già cosa sta per dire.
Insomma è il pericolo del rigetto?
Sì. Inizierà probabilmente a calmierare le presenze, a usare solo alcune occasioni.
Il premier è passato
dalla personalizzazione alle astuzie retoriche: definire "spassose" le
discussioni su quanto cresce il Pil, accusare la "caccia all'uomo
mediatica" contro il Sì, dire che la"cultura del no" impedisce il
dibattito, eccetera. Qual è la matrice ideologica di questo storytelling?
E' un fenomeno che finora è
stato estraneo alle nostre campagne elettorali, perché la politica era
diversa e oggi Renzi è un perfetto interprete di quella nuova. Il metodo
della boutade, della cosa vera e non vera, è una scelta strategica
derivante anche dal fatto che la crisi di autorevolezza e legittimazione
della politica coinvolge direttamente il sistema mediatico. Perché
media e giornalisti non replicano prontamente mettendo alle strette
l'interlocutore quando resta sul vago, vagliando ciò che dice,
obbligandolo a chiarire? Se gli si lascia libertà di "narrare", il
politico ha buon gioco nel dire tutto ciò che vuole.
Renzi viene accostato a Berlusconi. A ragione o a torto?
Entrambi hanno rappresentato una
svolta nel contesto comunicativo: Berlusconi con la televisione
commerciale, Renzi con l'uso dei social media e della tv inserita nel
nuovo sistema mediale. Il resto lo fa il contesto mutato. Berlusconi
personalizzava stagliandosi su uno sfondo più tradizionale, Renzi lo fa
in un contesto in cui i partiti sono di fatto scomparsi.
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