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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

22/05/16

Non è un Paese per giovani: Italia/Istat 2016


Il Rapporto Istat 2016 fotografa gli scenari della crisi economica e sociale del paese. L’analisi si concentra sulle generazioni e rileva l’aumento delle diseguaglianze. Il 62% dei trentenni vive in famiglia e va a ingrossare l’esercito dei poveri che sale dal 9,4 al 14,2%. Sei milioni di persone vivono senza redditi da lavoro.

istat copertina


L’Istat, l’Istituto nazionale di Statistica celebra i suoi 90 anni, ma l’Italia è molto più vecchia. Non solo per la storia, ma anche per le speranze di chi la vive. E la fotografia dell’Italia che esce dai numeri Istat 2016 è innovativa -le generazioni viste nelle diversità sociali e del mondo del lavoro- ma il racconto che ne esce fa paura.
Un Paese dove le differenze di classe crescono e si rafforzano, rileva Aldo Carra su Il Manifesto. Tra il 1990 e il 2010 le diseguaglianze nella distribuzione del reddito sono aumentate da 0,40 a 0,51 nell’indice sui redditi individuali da lavoro. L’incremento più alto tra tutti i paesi per i quali sono disponibili questi dati.
Italia record per la diseguaglianza tra classi sociali col 63%, percentuale quasi doppia della Francia (37%) e Danimarca (39%). Primo in classifica -magra consolazione- il Regno Unito con il 79%, il paese della rivoluzione thatcheriana che ha rafforzato a dismisura dagli anni Ottanta in poi le differenze di classe. Ma l’Italia insegue.
Dopo la Gran Bretagna, l’Italia. Anche da noi è avvenuta un’analoga rivoluzione che ha premiato un’elite a svantaggio dei molti, peccato che nessuno abbia mai dichiarato apertamente di volerlo, al contrario della signora Thatcher. Poi l’Istat aggiunge che la povertà colpisce tre volte più al Sud che al Nord. E le diseguaglianza si moltiplicano.
Dati da scoramento. Limitiamoci ai fondamentali. Oggi precarietà di massa, domani -dicono gtli analisti gufi- porterà una povertà epocale tra gli attuali tredicenni. Inoltre, il paese è spaccato a più livelli, Sud contro Nord, tra le generazioni, tra i redditi e tra i territori. E l’indicatore sulla «grave deprivazione materiale» si è stabilizzato all’11,5% dal 2015.
L’impossibilità di trovare un reddito dignitoso per un affitto, spinge 6 giovani su 10 a vivere con i genitori fino ai 34 anni. Oltre un quarto -2,3 milioni- è disoccupati o inoccupato, neppure lo cerca. Il non lavoro, o il lavoro povero, non è una colpa, ma un problema politico. E pare certo oggi è che il paese resterà fermo per altri quindici anni.
L’Italia è il paese più invecchiato al mondo. Prevalgono gli over 64, mentre le nascite sono al minimo storico. Sui 60,7 milioni di residenti, gli over 64 sono 161,1 ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Insieme a Giappone e Germania, un altro primato. Le nuove generazioni di anziani vivono meglio del secolo scorso e dei loro genitori.
La precarietà interessa ormai due generazioni: i nati negli anni Settanta e quelli tra il 1981 e il 1995. In mancanza di una redistribuzione della ricchezza esistente, si distribuisce il reddito pensionistico. Chi è nato negli anni Ottanta, lavorerà fino a 75 anni, e con la misera pensione non sosterrà i propri figli al posto del Welfare. Bomba sociale.
Le generazioni. Fra i nati negli anni quaranta l’80% aveva vissuto la formazione di una famiglia o la nascita di figli e il vivere da soli un “evento di vita”, percorso naturale. Tra i nati negli anni settanta quella percentuale è scesa al 60%. Così nel 2015 il 70% dei giovani tra 25-29 anni ed il 54% delle coetanee vivono ancora in famiglia.

Di  21 maggio 2016 
fonte: http://www.remocontro.it

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