Il Rapporto Istat 2016 fotografa gli scenari della crisi
economica e sociale del paese. L’analisi si concentra sulle generazioni e
rileva l’aumento delle diseguaglianze. Il 62% dei trentenni vive in
famiglia e va a ingrossare l’esercito dei poveri che sale dal 9,4 al
14,2%. Sei milioni di persone vivono senza redditi da lavoro.
L’Istat, l’Istituto nazionale di Statistica celebra i suoi 90 anni, ma l’Italia è molto più vecchia. Non solo per la storia, ma anche per le speranze di chi la vive. E la fotografia dell’Italia che esce dai numeri Istat 2016 è innovativa -le generazioni viste nelle diversità sociali e del mondo del lavoro- ma il racconto che ne esce fa paura.
Un Paese dove le differenze di classe crescono e si rafforzano, rileva Aldo Carra su Il Manifesto.
Tra il 1990 e il 2010 le diseguaglianze nella distribuzione del reddito
sono aumentate da 0,40 a 0,51 nell’indice sui redditi individuali da
lavoro. L’incremento più alto tra tutti i paesi per i quali sono
disponibili questi dati.
Italia record per la diseguaglianza tra classi sociali col 63%,
percentuale quasi doppia della Francia (37%) e Danimarca (39%). Primo in
classifica -magra consolazione- il Regno Unito con il 79%, il paese
della rivoluzione thatcheriana che ha rafforzato a dismisura dagli anni
Ottanta in poi le differenze di classe. Ma l’Italia insegue.
Dopo la Gran Bretagna, l’Italia. Anche da noi è avvenuta un’analoga
rivoluzione che ha premiato un’elite a svantaggio dei molti, peccato che
nessuno abbia mai dichiarato apertamente di volerlo, al contrario della
signora Thatcher. Poi l’Istat aggiunge che la povertà colpisce tre
volte più al Sud che al Nord. E le diseguaglianza si moltiplicano.
Dati da scoramento. Limitiamoci ai fondamentali. Oggi precarietà di
massa, domani -dicono gtli analisti gufi- porterà una povertà epocale
tra gli attuali tredicenni. Inoltre, il paese è spaccato a più livelli,
Sud contro Nord, tra le generazioni, tra i redditi e tra i territori. E
l’indicatore sulla «grave deprivazione materiale» si è stabilizzato
all’11,5% dal 2015.
L’impossibilità di trovare un reddito dignitoso per un affitto,
spinge 6 giovani su 10 a vivere con i genitori fino ai 34 anni. Oltre un
quarto -2,3 milioni- è disoccupati o inoccupato, neppure lo cerca. Il
non lavoro, o il lavoro povero, non è una colpa, ma un problema
politico. E pare certo oggi è che il paese resterà fermo per altri
quindici anni.
L’Italia è il paese più invecchiato al mondo. Prevalgono gli over 64,
mentre le nascite sono al minimo storico. Sui 60,7 milioni di
residenti, gli over 64 sono 161,1 ogni 100 giovani con meno di 15 anni.
Insieme a Giappone e Germania, un altro primato. Le nuove generazioni di
anziani vivono meglio del secolo scorso e dei loro genitori.
La precarietà interessa ormai due generazioni: i nati negli anni
Settanta e quelli tra il 1981 e il 1995. In mancanza di una
redistribuzione della ricchezza esistente, si distribuisce il reddito
pensionistico. Chi è nato negli anni Ottanta, lavorerà fino a 75 anni, e
con la misera pensione non sosterrà i propri figli al posto del
Welfare. Bomba sociale.
Le generazioni. Fra i nati negli anni quaranta l’80% aveva vissuto la
formazione di una famiglia o la nascita di figli e il vivere da soli un
“evento di vita”, percorso naturale. Tra i nati negli anni settanta
quella percentuale è scesa al 60%. Così nel 2015 il 70% dei giovani tra
25-29 anni ed il 54% delle coetanee vivono ancora in famiglia.
fonte: http://www.remocontro.it
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