Al G20 il presidente russo ha
distribuito un rapporto americano che analizza i flussi di denaro
provenienti dai cittadini di questi Stati. «Sono molti i ricchi arabi
che giocano sporco.
Sono gli «angeli investitori» i cui fondi «sono semi da cui
germogliano i gruppi jihadisti» ed arrivano da «Arabia Saudita, Qatar ed
Emirati». Oggi sulla Stampa c’è una interessante corrispondenza di Maurizio Molinari da Antalya (Turchia) dove si è svolto il G20.
Molinari racconta la mossa a sorpresa del presidente russo Vladimir Putin che, al termine del summit, è stato molto esplicito nello spiegare che «l’Isis è finanziato da individui di 40 Paesi, inclusi alcuni membri del G20». E giusto per avvalorare le sue parole ha fatto distribuire ai presenti un dossier americano preparato a Washington dalla Brookings Institution in cui si analizzano dati raccolti nel 2013 e pubblicati nel 2014 che raccontano chi sono coloro che, attraverso donazioni private, foraggiano i terroristi. Follow the money, si diceva una volta. E le piste portano a cittadini del Qatar e dell’Arabia Saudita che hanno aiutato l’Isis «attraverso il sistema bancario del Kuwait».
Molinari racconta la mossa a sorpresa del presidente russo Vladimir Putin che, al termine del summit, è stato molto esplicito nello spiegare che «l’Isis è finanziato da individui di 40 Paesi, inclusi alcuni membri del G20». E giusto per avvalorare le sue parole ha fatto distribuire ai presenti un dossier americano preparato a Washington dalla Brookings Institution in cui si analizzano dati raccolti nel 2013 e pubblicati nel 2014 che raccontano chi sono coloro che, attraverso donazioni private, foraggiano i terroristi. Follow the money, si diceva una volta. E le piste portano a cittadini del Qatar e dell’Arabia Saudita che hanno aiutato l’Isis «attraverso il sistema bancario del Kuwait».
DONAZIONI PRIVATE. I governi degli Emirati,
dell’Arabia Saudita e del Qatar, a parole, condannano i terroristi. Ma
cosa fanno per bloccare gli «angeli investitori»? Molinari riporta le
parole del rapporto:
Fuad Hussein, capo di gabinetto di Massoud Barzani leader del Kurdistan iracheno, ritiene che «molti Stati arabi del Golfo in passato hanno finanziato gruppi sunniti in Siria ed Iraq che sono confluiti in Isis o in Al Nusra consentendogli di acquistare armi e pagare stipendi». «Una delle ragioni per cui i Paesi del Golfo consentono tali donazioni private – aggiunge Mahmud Othman, ex deputato curdo a Baghdad – è per tenere questi terroristi lontani il più possibile da loro». David Phillips, ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa ora alla Columbia University di New York, assicura: «Sono molti i ricchi arabi che giocano sporco, i loro governi affermano di combattere Isis mentre loro lo finanziano». L’ammiraglio James Stavridis, ex comandante supremo della Nato, li chiama «angeli investitori» i cui fondi «sono semi da cui germogliano i gruppi jihadisti» ed arrivano da «Arabia Saudita, Qatar ed Emirati».
DOPPIOGIOCO TURCO. Putin non ha messo in imbarazzo solo chi governa gli Stati suddetti. Suo obiettivo polemico è stata anche la Turchia, paese in cui, secondo il Cremlino, abitano altri «angeli investitori».
Ankara assicura di aver rafforzato i controlli lungo la frontiera ma un alto ufficiale d’intelligence occidentale spiega che «la Turchia del Sud resta la maggior fonte di rifornimenti per Isis». «Ci sono oramai troppe persone coinvolte nel business nel sostegno agli estremisti in Turchia – conclude Jonathan Shanzer, ex analista di anti-terrorismo del Dipartimento del Tesoro Usa – e tornare completamente indietro è diventato assai difficile, esporrebbe Ankara a gravi rischi interni». Lo sgambetto di Putin è stato dunque anche a Recep Tayyp Erdogan, anfitrione del summit.
Foto Ansa
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